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Considerazioni finali del curatore

Perché penso che questo libro sia autentico

Inevitabilmente la prima domanda che ci si pone prendendo in mano questo libro è: «Ma sarà tutto vero?». Ovviamente non posso affermare scientificamente (qualunque cosa questa parola significhi) che questo libro sia stato dettato da uno spirito ad un medium. L’unica cosa certa è che questa narrazione si inserisce in una tradizione florida e consolidata di libri che, secondo i loro «trascrittori», sono stati dettati da spiriti disincarnati; gran parte di tali opere, poco note in Italia, sono coerenti tra di loro per quanto riguarda il contenuto: in sostanza, per quanto riguarda la descrizione di come sarà l’aldilà.

Alcuni potrebbero pensare che non essendovi, appunto, nessuna prova scientifica della sua autenticità, quest’opera sia un falso. Questo è un discorso da approfondire. Pur se lo scientismo ha ormai mostrato i suoi gravi limiti e la sua incapacità di spiegare la realtà nella sua complessità, in pratica continua ad essere applicato: in sostanza è considerato falso e illusorio ciò che non è scientifico. Basta però una semplice considerazione per svelare la fallacia di questo ragionamento: gli esseri umani amano. L’amore è un sentimento, quindi non è misurabile; di conseguenza non è scientifico; in conclusione, secondo un ragionamento scientista, non è reale. Eppure milioni, miliardi di persone ogni giorno gioiscono e soffrono a causa dell’amore. Che è l’aspetto più profondo della vita, il sentimento per cui siamo disposti a rinunciare a volte anche alla vita stessa.

Pensiamo poi all’esistenza di Dio, l’Essere nella cui esistenza crede la stragrande maggioranza della popolazione mondiale: se nell’amore tra uomo e donna esiste un oggetto concreto del sentimento, nel caso di Dio manca anche questo; eppure anche in questo caso il «sentire» la Sua esistenza è ragione sufficiente, per moltissimi, per credere in Lui.

È ora quindi che la scienza riconosca che vi sono degli ambiti che – almeno al momento – le sono preclusi, ma che non per questo sono meno reali.

L’assenza di prove scientifiche del Mondo dello Spirito non è quindi prova della sua inesistenza. Naturalmente è vero anche il contrario: non basta credere in qualcosa perché questo qualcosa sia vero, e ciò vale anche per il contenuto di questo libro. La mia propensione per la sua autenticità deriva da alcune prove indiziarie: prima di tutto, come ho già detto, la coerenza tra quest’opera e altre dello stesso tipo; secondo, la testimonianza di numerosi racconti pubblicati sulle esperienze di pre-morte che concordano sulla sostanziale somiglianza tra mondo fisico e mondo spirituale; terzo, la logica: ammesso che un mondo dopo la morte esista, ha senso pensare che abbia molti punti di contatto con quello nel quale abbiamo vissuto, gioito, sofferto, amato, lavorato; che sia insomma un mondo più complesso, con leggi diverse, e così via, ma non totalmente diverso da quello nel quale abbiamo vissuto in fisico. Vi deve essere una continuità tra le due dimensioni e questo libro, assieme a tanti altri, sostiene questa tesi.

Vi sono poi due ultime ragioni molto soggettive che mi fanno propendere per la sua autenticità: la prima è la sua consonanza con la mia visione personale del Mondo Spirituale, e la seconda è il profondo senso di giustizia e di amore che pervade la narrazione.

Personalmente non ho mai accettato la visione tradizionale della salvezza e della dannazione intese come premio e castigo; la concezione di Franchezzo mi soddisfa profondamente perché trasmette una concezione equilibrata della giustizia e della misericordia divina. La visione del mondo che ci dona ci aiuta a dare un senso alla nostra vita fisica, illuminando alcune zone che le religioni tradizionali hanno da sempre lasciato in ombra.

Il bene ed il male

Passiamo al contenuto. Dico subito che non mi tratterrò su quanto trattato nei tre capitoli pubblicati in fondo al libro; sono capitoli che parlano di aspetti certamente interessanti del mondo dello spirito, ma sono delle semplici descrizioni; forniscono solo una conoscenza «tecnica» della struttura del Mondo dello Spirito. Il senso vero del libro risiede negli altri capitoli. Il messaggio essenziale l’ho già evidenziato nella Presentazione: l’altruismo, il bene, promuovono la crescita personale; l’egoismo, il male, non solo la bloccano, ma fanno arretrare lo spirito verso uno stato in cui addirittura perde le sue caratteristiche umane.

C’è da aggiungere che, mentre lo stato spirituale dell’uomo sulla terra può essere mascherato in vari modi, ad esempio tramite l’esibizione di ricchezza, lo sfoggio di cultura, la benevolenza interessata, le virtù pubbliche che nascondono vizi segreti, secondo Franchezzo ciò nel Mondo Spirituale non può avvenire. Nel prossimo mondo appariremo come siamo in realtà, senza la maschera che il mondo fisico ci permette di assumere.

La posizione per la quale qui sulla Terra veniamo lodati, ammirati, adulati, e per raggiungere la quale abbiamo forse fatto qualche sgambetto, nel Mondo Spirituale non ha alcun valore. Lì non vi sono infatti gerarchie, o meglio, vi è un’unica gerarchia, ed è quella dell’amore. Chi più ha dato agli altri, più è in alto nel mondo dello spirito. Da questo punto di vista assume pieno ed imprevisto valore il motto dannunziano: «Io ho quel che ho donato». Che potremmo anche trasformare in «Io sono quel che ho donato».

La differenza «operativa» fra i due mondi sembra consistere nella relativa facilità con cui possiamo trasformare - quasi ricreare - il nostro carattere in questa dimensione, facilità contrapposta alla grande difficoltà di fronte alla quale ci troveremo, per lo stesso fine, nel mondo dello spirito. In base a questa visione, il corpo fisico assume un’importanza, è il caso di dirlo, vitale. Esso diventa lo strumento indispensabile del quale Dio ci ha dotati per permetterci di crescere in modo potenzialmente rapido, ma sempre in subordine al nostro impegno ed al nostro libero desiderio.

Questa affermazione genera numerose riflessioni, tutte molto impegnative: perché siamo su questa Terra? Qual è lo scopo della vita? Perché il male? L’Autore, con onestà e umiltà, afferma che nemmeno nel mondo spirituale si conoscono le risposte a queste domande. Personalmente sono certo che prima o poi saremo in grado di avere queste risposte, ma in ogni caso mi pare che la visione che Franchezzo ci trasmette distrugga – in parte – una concezione disgraziata: quella secondo la quale il male è inevitabile, e che è indispensabile per la crescita dello spirito. Chi sostiene questa tesi afferma che la crescita può avvenire solo in proporzione, per così dire, al superamento del male da parte di ognuno di noi.

Se leggiamo attentamente vediamo che non è così (o non è solo così), secondo l’Autore. Lasciando inevitabilmente in sospeso la questione dell’origine e del perché del male, traspare dalla narrazione di Franchezzo l’idea che la crescita avvenga grazie al superamento dei propri limiti. Ora, i limiti sono impliciti nella dimensione finita nella quale viviamo, ma sono per così dire «passivi»: sono come dei gradini che, se li percorriamo, ci permettono di giungere ai piani superiori di un palazzo. I gradini di per sé non sono un male o un bene: esistono e basta; possiamo considerarli come un ostacolo, evitare quindi di affrontarli e restare al livello al quale ci troviamo, oppure possiamo percorrerli e trasformarli in questo modo in uno strumento di elevazione. Il male invece non è così. Il male è «attivo»: pone continuamente ostacoli alla crescita, spesso addirittura la impedisce, ed arriva anche ad uccidere per farlo.

È evidente che il male esiste, e se desideriamo crescere dobbiamo affrontarlo e superarlo, ma il male non è la controparte inevitabile del bene. È qualcosa che, come le principali religioni tentano di spiegare, non fa parte del piano originale di Dio per la creazione. Se esiste una logica il male, non essendo creazione del Dio assoluto, è per definizione limitato anche nel tempo. Prima o poi quindi esso scomparirà da questa terra. Se ciò non avvenisse vorrebbe dire che Dio non è un Dio assoluto: cosa che sarebbe un assurdo logico. A Franchezzo sfugge, in parte, la diversità tra male e limite, e li confonde. Vede in sostanza il male come un limite che nasce da uno squilibrio nelle facoltà umane, mentre in realtà, come ho detto sopra, ritengo siano due cose molto diverse.

L’amore per Bianca

Un altro elemento interessante del libro consiste nel motore del desiderio di crescita di Franchezzo: l’amore per Bianca. Credo che nella dimensione cultural-religiosa nella quale siamo immersi, nella quale il sesso è considerato qualcosa di impuro in sé (somma perfezione è infatti la castità sacerdotale, mentre la famiglia è quasi una seconda scelta, ed è stata vista in passato come un tollerabile rimedio alla lussuria), questa idea può essere considerata come paradossale, quasi provocatoria. La nostalgia di Franchezzo per Bianca è struggente, come la nostalgia di ogni innamorato di questa terra per la sua amata; solo chi non ha mai amato veramente può pensare che, perdendo il corpo, perderemo questo aspetto della nostra natura, e che il prossimo mondo sarà un mondo puramente etereo e contemplativo, staccato dai «desideri della carne».

In sostanza, Franchezzo non fa che affermare che la vita nel mondo dello spirito è la prosecuzione della vita sulla Terra. Ad una riflessione più attenta questa affermazione ha il sapore della logica: come ho detto, possiamo non conoscere in modo chiaro ed esaustivo il motivo della nostra vita su questo pianeta, ma se esiste un mondo dello spirito, e se nel mondo dello spirito il desiderio di Franchezzo è quello di vivere con la sua donna, in una casa, e di ritrovare suo padre ed i suoi amici… beh, allora la risposta, almeno parziale, alla domanda sullo scopo della vita, può essere una sola: la vita terrena ha lo scopo di prepararci a quella nel mondo dello spirito, un mondo nel quale si apriranno davanti a noi possibilità inimmaginabili rispetto a quelle offerteci nella piccola e limitata scuola della Terra. L’amore e la famiglia assumono da questa prospettiva un valore non più solo biologico ed affettivo, e limitato a questa dimensione, bensì un valore universale ed eterno.

L’amore di Franchezzo per Bianca è uno degli aspetti più originali di quest’opera; ci indica in modo chiaro che l’amore vero è veramente eterno. Attenzione però: il suo concetto di amore contrasta fortemente con il concetto corrente. Quando oggi diciamo «amore» in realtà spesso intendiamo «passione». Non può essere definito in altro modo qualcosa che si brucia nel giro di pochi giorni o di pochi mesi. Quanto è diverso l’amore di Franchezzo per Bianca dall’«amore» ad esempio tra personaggi del mondo dello spettacolo, che durano davvero lo spazio di un mattino. Il suo era un sentimento così potente e costante che gli ha letteralmente salvato la vita spirituale, che ha superato non solo le difficoltà legate al diverso sviluppo spirituale dei due, ma anche quelle legate alle dimensioni così diverse nelle quali hanno vissuto per tanto tempo. Ecco, forse l’elemento della pazienza e dell’accettazione reciproca è uno di quelli che più si è smarrito oggi nel rapporto tra due persone che si amano o che dicono di amarsi. Il sentimento di Franchezzo, pensandoci bene, è un elemento talmente originale che fa propendere pesantemente la bilancia verso l’autenticità del racconto.

L’influenza degli spiriti

Abbiamo letto che gli spiriti disincarnati sono attorno a noi, ci proteggono o ci ostacolano, a seconda della loro natura e del nostro comportamento. Tutto il libro è una testimonianza di questa affermazione, quindi non mi dilungo in proposito. Vorrei solo ricordare una delle frasi di Franchezzo che suona oggi, a centodieci anni dalla sua dettatura, come una profezia: «…Sotto la mia influenza, alcuni mortali avrebbero scritto dei libri, che sarebbero stati rivolti alla ragione e alla sensualità delle persone, che avrebbero avuto come effetto quello di rendere la società più tollerante ed addirittura piena di ammirazione verso le idee più rivoltanti e gli insegnamenti più abominevoli». Ma non è ciò che sta succedendo oggi? Aggiungiamo ai libri certi film, certa televisione, certi giornali, certi siti Internet, e avremo un quadro perfetto della situazione di decadenza morale nella quale viviamo. Idee come quella dei matrimoni omosessuali, o addirittura dell’adozione di bambini da parte di quelle coppie, o dell’assoluta libertà in campo sessuale, cose fino ad alcuni anni fa nemmeno immaginabili, oggi vengono accettate comunemente in nome della libertà, dei diritti umani, del «progresso». Dimenticando però che la libertà assoluta in un mondo relativo non può esistere: la natura, inclusa quella umana, funziona secondo delle regole, e quando tali regole vengono infrante il risultato non è maggiore libertà e maggiore creatività, ma il caos totale, quindi la distruzione. Queste idee vengono oggi, come ha profetizzato Franchezzo, ammirate, considerate un ritorno alla classicità, alla centralità dell’uomo, e chissà sa cos’altro. In nome della libertà. Una libertà che ha alcuni aspetti strani e contorti, perché considera coloro che non condividono quelle idee come persone intolleranti, fanatiche, antiquate, che non riescono ad adattarsi al nuovo corso della vita umana, e che in definitiva non hanno diritto di parola.

La responsabilità umana

Un’altra profezia di Franchezzo è quella legata alla visione delle guerre mondiali, un concetto assolutamente inimmaginabile al tempo della redazione di quest’opera. Secondo lui quelle guerre sarebbero state scatenate – come tutti gli altri orrori – dall’accoglienza da parte degli uomini delle potenze oscure del male. Ci ha spiegato che gli orrori delle rivoluzioni, ma anche gli atti di violenza individuale, vengono usati come nutrimento da quelle forze. È una visione che non può essere presa alla leggera, e che ci permette di capire il perché tante rivoluzioni, iniziate con i migliori propositi, hanno poi finito con il trasformarsi in rulli compressori dei principi che le avevano ispirate, e purtroppo anche dei popoli che le avevano attuate. Un’osservazione importante: l’Autore non scarica la responsabilità degli avvenimenti sugli spiriti malvagi; l’uomo è responsabile delle proprie azioni, è sempre l’uomo che invita quegli spiriti malvagi dentro di sé e dà loro spazio nella propria vita. Quindi Franchezzo non giustifica nessuno; non è un buonista, né scarica le responsabilità della violenza, singola o collettiva, sul «sistema», o sulla «società». Tutto il libro è un inno alla responsabilità personale, sia pure non abbandonando mai la compassione e la misericordia.

È proprio il senso di responsabilità personale uno degli elementi fondamentali per la vita sociale che oggi si è perso, e di cui si sente la mancanza. Qualcuno ha detto che «il desiderio di certe persone di cambiare il mondo è una scusa per non cambiare se stesse»: ed è vero, perché se si desidera cambiare il mondo e non si possiede il senso di responsabilità, il motivo per cui «le cose vanno male» è sempre degli altri: del governo, della società, dei vicini. Il senso di responsabilità ci porta invece a capire che il cambiamento deve iniziare da noi. Franchezzo ci dimostra che, se non prendiamo responsabilità per il nostro cambiamento qui sulla Terra, dovremo farlo nel mondo spirituale con difficoltà molto maggiori.

L’Inferno

Un altro sorprendente aspetto di questo libro, al quale abbiamo già accennato, è l’affermazione che l’Inferno esiste, ma non è eterno. L’idea della dannazione eterna ha giocato un ruolo straordinariamente importante nella storia del cristianesimo. Si è parlato e scritto all’infinito di gratuità della salvezza, di dannazione eterna, di predestinazione, di ininfluenza delle opere sulla salvezza... Alcuni, e tra questi Jean Guitton, sono giunti ad affermare che l’Inferno esiste sì, ma è vuoto. È un ragionamento che ricorda quello di coloro che contestavano le affermazioni di Galileo sulla geografia della Luna. Galileo chiedeva agli aristotelici di guardare nel suo cannocchiale, e di constatare che sul satellite esistevano montagne e vallate; non era quindi perfettamente tondo e liscio come Aristotele aveva affermato. Gli interlocutori declinavano gentilmente l’invito, affermando che la luna poteva anche essere coperta di monti e valli, ma questi erano sicuramente ricoperti a loro volta da una sostanza perfettamente trasparente, invisibile al cannocchiale, che rendeva il satellite tondo e liscio come Aristotele decretava dovesse essere.

A che serve un inferno vuoto? Se esiste deve servire a qualcosa. L’affermazione di Guitton su un Inferno in crisi di inquilini dimostra l’irresolubilità del conflitto tra misericordia divina e giustizia divina, perlomeno per come è stato impostato fino ad oggi. I teologi cristiani sentono che l’eternità della pena non può essere conciliata con la misericordia infinita del Padre, ma sono bloccati nella risoluzione del dilemma dalla tradizione teologica, dall’interpretazione di alcuni brani delle Scritture, da alcune rivelazioni moderne.

Non è ovviamente questa la sede per discutere di queste tesi; mi limito a dire che l’Inferno di Franchezzo è un Inferno che in gran parte risolve tutti questi problemi: chi compie il male finisce in quel luogo spirituale, dove soffre nel proprio corpo spirituale tormenti che possono anche essere quelli del fuoco; ma la pena non è eterna, perché ciò sarebbe contrario alla infinita misericordia di Dio. Le sofferenze degli Inferi non sono una punizione in senso stretto; sono piuttosto la conseguenza degli atti sbagliati. E diventano uno strumento di redenzione: quando emerge, nel cuore dei dannati, il pentimento per il male fatto, interviene la misericordia di Dio, che dà la possibilità di porre rimedio agli errori fatti tramite il compimento di azioni buone anche nella dimensione spirituale. Ecco la vera giustizia: la sofferenza usata come forma di misericordia; il provare sulla propria pelle ciò che gli altri hanno subito a causa nostra al fine di maturare una nuova consapevolezza. Su questa base di consapevolezza e pentimento gli spiriti sono pronti a percorrere la strada dell’espiazione e della crescita.

La sua visione dà una grande speranza. Quante volte ci siamo infatti fermati a pensare cosa significa nella realtà l’insegnamento corrente delle chiese, secondo le quali esiste il premio eterno e la dannazione eterna? In realtà significa che se siamo bravi andremo in Paradiso a godere il meritato premio; ma dovremo farlo infischiandocene di qualche nostro caro – marito, moglie, figlio, padre, madre – che per qualche motivo andrà o è andato all’Inferno per tutta l’eternità! È questa la contraddizione di base, e personalmente non posso accettare l’idea di un Dio che condanni per l’eternità un essere da Lui stesso creato. Ciò che l’Autore spiega è assolutamente coerente con l’immagine del Dio al tempo stesso giusto ed amorevole che nel cuore sentiamo che esiste.

Il meccanismo che egli ci spiega ci dà qualche altra indicazione in merito allo scopo della vita sulla Terra ed oltre: la vita dovrebbe essere un processo di crescita, che inizia qui sulla Terra e prosegue poi, in altre forme, nella prossima dimensione. Se ciò è vero, problemi teologici immensi quali la dannazione eterna e la predestinazione si sciolgono come neve al sole. Dio è nostro Padre e desidera che diventiamo come Lui («Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre che è nei Cieli»), che riflettiamo la Sua natura di amore e di misericordia. Non è quindi Dio che ci danna o ci salva: siamo noi che ci danniamo o ci salviamo sulla base di quanto abbiamo, nella vita terrena, sviluppato la nostra capacità di amare. E l’Inferno eterno... beh, se il male, che ne è la causa, non è eterno, come può esserlo la sua conseguenza? Alla fine anche l’Inferno sparirà, come dice l’Autore.

Un’altra notazione: ho usato e uso le parole dannazione e salvezza per comodità, ma nel contesto dell’opera perdono il loro significato. Se scopo della vita è la crescita, non ha senso parlare né di salvezza né di dannazione. La dannazione, che per definizione è eterna, non esiste; esistono – come già detto – bassi e bassissimi livelli spirituali, nei quali però mai muore la speranza di potersi redimere. Così come non esiste la salvezza in senso classico, che molti pensano di meritare solo perché hanno rispettato pienamente le regole della loro religione. Si possono infatti rispettare formalmente le regole e rimanere aridi dentro, e ciò non corrisponde certo ad una crescita, essendo il vero progresso spirituale dato dallo sviluppo della capacità di amare.

In questo quadro è straordinario l’episodio in cui Franchezzo non solo perdona, ma addirittura aiuta colui che era stato il suo peggior nemico. E spiega, in sostanza, che il perdono ci libera dalle catene che ci legano e ci legherebbero per lungo tempo a chi ci ha fatto del male. Il perdono, quindi, serve più alla vittima che al carnefice, il quale, per riceverne i benefici, deve comunque pentirsi del male fatto.

Una conseguenza immediata di questa visione è la constatazione del primato dell’amore sulla religione, intesa nel senso di struttura e non di spiritualità. Se la cosa fondamentale nella vita è amare gli altri (tutti indistintamente: «Amate i vostri nemici»), allora l’etichetta religiosa perde buona parte del suo peso nella nostra salvezza. Intendiamoci: non intendo mettere tutte le religioni sullo stesso piano, perché secondo me non lo sono. Ma se vivessimo con intensità il messaggio d’amore che le principali fedi hanno portato, il problema della superiorità dell’una sull’altra diverrebbe secondario: saremmo così occupati a fare qualcosa per i nostri fratelli da non avere il tempo per scannarci in dispute teologiche o, peggio, per ammazzare gente per dimostrare che la nostra religione è superiore alla loro. Questa concezione implicita in Franchezzo, relativa al primato dell’amore sulla religione di appartenenza, è quindi oggi di estrema attualità. Se il meccanismo di crescita spirituale di cui egli scrive è vero, perde automaticamente qualunque motivazione, sia pure teorica, la lotta tra le religioni. Esse sarebbero viste per ciò che sono in realtà: strade diverse per giungere, con un numero maggiore o minore di tornanti, a Dio. I loro fondatori sarebbero considerati tutti inviati da Dio alle varie culture ed ai vari popoli della Terra per annunciare una nuova speranza, la possibilità di liberarsi dalla barbarie spirituale.

Le religioni

Un interrogativo che mi sono posto durante la lettura del libro è il seguente: perché l’Autore non parla delle religioni, se non per scagliarsi talvolta contro una in particolare? La prima sensazione è che non attribuisca alcuna valenza positiva al cristianesimo, all’ebraismo, al buddismo, all’islamismo. Si limita ad accennare solo alle antiche scuole spirituali orientali, ed a fare qualche vago cenno, pur pieno di rispetto, a Maria, o al Cristo. In un brano afferma addirittura che gli spiriti (in Terra e in Cielo) progrediscono grazie al loro duro lavoro, e non grazie alla fede «in chi si è sacrificato da innocente per i loro peccati» (evidentemente il Cristo). La risposta che mi sono dato è da un lato quella che sto cercando di comunicare con queste righe: il messaggio di base di tutte le religioni è lo stesso, e come ho scritto conta più il proprio modo di vita che l’appartenenza religiosa che ci si attribuisce (nel mondo dell’essenza le etichette non svolgono un grande ruolo); dall’altro vi vedo il richiamo all’importanza del lavoro personale per raggiungere la maturità spirituale, un richiamo alla dignità dell’uomo ed al dovere che ha verso se stesso e verso Dio di crescere spiritualmente.

Affidarsi esclusivamente alla fede in Gesù per ottenere la propria salvezza, come fanno alcuni cristiani, è un concetto non solo errato, ma anche egoistico, che non viene abbastanza combattuto dalle Chiese. A mio parere, chi pensa di poter essere «salvato» semplicemente perché «crede» in Cristo è come un ladro che vuole appropriarsi di qualcosa che non gli appartiene, perché non ha fatto nulla per guadagnarlo. Il Cristo ha dato un esempio di vita, ha aperto la strada, ed il Suo livello spirituale appartiene a chi segue quella strada con l’aiuto della Sua Grazia, ma non si è elevati in Cielo come dal raggio traente dell’Enterprise solo perché si crede in Lui. Se lo scopo essenziale della vita è crescere interiormente imparando ad amare, ci possono essere – passatemi il termine commerciale – alcuni sconti in questo processo, ma non dei saldi al novantanove percento. Ne va della nostra dignità di esseri umani.

Tornando al rapporto tra Franchezzo e la religione, ricordo che nelle sue stesse parole il Mondo Spirituale è estremamente vasto e complesso, e che non può certo interpretarlo e descriverlo tutto. Se pensiamo ad altre sue affermazioni, e cioè che nel Mondo Spirituale gli spiriti si aggregano per affinità, ed alle affermazioni relative al ruolo negativo svolto nella sua vita dalla Chiesa cattolica, allora cominciamo ad avere qualche elemento per interpretare le sue scarse citazioni del Cristo e delle religioni in generale. La sua visione della vita è prettamente umanistica, e per certi aspetti tende verso le filosofie orientali; ricordiamo tra l’altro che il suo maestro nell’aldilà è orientale. Quelle filosofie hanno uno straordinario fondamento spirituale, ma mancano di alcuni aspetti interiori, tra i quali in particolare quello del rapporto personale con Dio e – inutile dirlo – con il Cristo. È evidente che in questa visione l’aspetto della Grazia – sia pure nell’accezione che ho delineato sopra – viene totalmente trascurato a favore del percorso di crescita basato solo ed esclusivamente sulla responsabilità umana. La prova dell’esattezza di questa interpretazione sta nelle parole stesse di Franchezzo, riportate nell’ultimo capitolo. Egli afferma di non aver mai creduto in una religione, e di aver solo vagamente immaginato che Dio potesse esistere. Afferma anche che ora, dopo essere giunto a comprendere pienamente che Dio esiste, pensa che non lo si possa «ridurre» ad una personalità. Tralasciando le implicazioni che questa visione ha sull’esistenza del bene e del male, la sua potenziale visione di Dio lo ha portato, nel mondo spirituale, ad un immediato contatto con le filosofie che più si confacevano al suo carattere: quelle orientali appunto, per le quali Dio è energia, ma ha personalità ed attributi non definibili.

Una volta compreso questo punto, possiamo capire meglio anche tutta l’opera di Franchezzo. Mi viene da chiedermi in quale sfera sarà oggi, ad oltre cento anni di distanza dalla dettatura di quest’opera, e se durante il suo processo di crescita ha capito anche altri aspetti, come ad esempio il ruolo del Messia, o dei fondatori delle grandi religioni, o che – come il Cristo ha insegnato – con Dio possiamo stabilire un rapporto personale. Chissà se riuscirà a dircelo, prima o poi. In ogni caso, in un’epoca di uso della religione a fini personali o ideologici, il suo profondo richiamo all’interiorità ed alla responsabilità dell’individuo è una vera benedizione. Questo libro spiega indirettamente che il conflitto religioso trae origine da un equivoco, e cioè dal considerare la religione un fine in sé e non un mezzo, il lasciapassare per la salvezza e non la strada da percorrere per raggiungerla. La lettura di quest’opera potrebbe quindi contribuire anche alla pace religiosa nei nostri tempi, e sappiamo tutti quanto ciò sarebbe importante.

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