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Capitolo 27 - Il mio lavoro nelle città terrene

Al ritorno nel Paese dell’Alba, dalla nostra Confraternita ci venne offerto un magnifico ricevimento, e in nostro onore fu organizzata una festa. Ognuno trovò nella propria cameretta, pronto per lui, un nuovo abito. Era di colore grigio chiaro, quasi bianco, mentre i bordi, la cintura e l’insegna del nostro ordine (un’ancora ed una stella sul braccio sinistro) erano di un vivo giallo oro.

Quell’abito aveva un grande valore per me, perché nell’aldilà il vestito simboleggia il grado di sviluppo di uno spirito, ciò che egli ha conquistato come vittoria spirituale. Per me, ancora più prezioso dell’abito era una corona di rose di un colore bianco puro, che era comparsa nella mia camera e circondava l’immagine magica di Bianca: una cornice che non appassiva mai, e di cui percepii il profumo quando mi sdraiai sul letto di un bianco splendente, e mi misi a guardare le serene colline dietro le quali si vedeva l’alba del giorno.

Un amico mi riscosse dal mio fantasticare chiamandomi per la festa. Nella grande sala ritrovai mio padre, come anche alcuni amici conosciuti nel corso dei miei viaggi. Ci salutammo con grande emozione, poi, dopo aver gustato insieme un banchetto simile a quello del mio arrivo in quella sfera, ci riunimmo in fondo alla sala di fronte a una tenda color oro e grigio che copriva completamente il muro.

Come portata dal vento, giunse alle mie orecchie una dolce melodia. Poco a poco divenne più distinta, finché si trasformò in una marcia solenne, piena di pathos. Poi la tenda si aprì, rivelando un gigantesco specchio di lucido marmo nero. Pur restando sublime e solenne, la musica in qualche misura cambiò, e vi si mescolarono degli accordi dissonanti. Si fece più esitante, irregolare e la sua melodia divenne languida.

Lo spazio attorno a noi si oscurò, al punto che non potevamo più distinguere i volti dei nostri vicini. Poi la luce scomparve, e restò visibile solo la superficie di marmo. Su di essa vidi allora due membri della nostra spedizione che parlavano camminando. La scena attorno a loro rappresentava la regione infernale dalla quale eravamo tornati. La strana musica toccava profondamente il mio animo, e alla vista del dramma che si svolgeva sotto i miei occhi, dimenticai tutto. Fu come un tornare di nuovo nelle oscure profondità dell’Inferno.

Le immagini si susseguivano, finché non ci fecero vedere tutte le diverse esperienze di ciascuno dei membri del nostro gruppo, dal più basso fino a quelle della nostra stessa guida. L’ultima scena rappresentava tutto il nostro distaccamento riunito sulla montagna, mentre ascoltavamo il discorso di addio della nostra guida. Come il coro di una tragedia greca, la musica sembrava accompagnare e dipingere il quadro. Essa dava a ogni atto del dramma l’espressione giusta: triste e languida, o al contrario calma o trionfale, poi di nuovo triste, gemente; poi di nuovo calma come una ninna nanna, quando una povera anima liberata aveva finalmente trovato riposo. Infine riprese di nuovo tono in accordi selvaggi, in urla e furiosi clamori di battaglia, in violente maledizioni e imprecazioni, esplodendo in onde ruggenti per spegnersi in note disarmoniche.

Quando apparve la scena finale, la musica suonò un’aria dolcissima, e si spense poco a poco. Quando tacque, la luce tornò, e la tenda ricoprì di nuovo lo specchio nero. Ci voltammo gli uni verso gli altri, con un sospiro di sollievo, pieno di gratitudine, per congratularci a vicenda di aver superato quelle prove nel Paese delle Tenebre. Chiesi a mio padre in che modo fossero stati realizzati quegli effetti, e se fossero o no un’illusione. Mi rispose:

«Figlio mio, ciò che hai visto è l’applicazione di una conoscenza scientifica molto elevata, null’altro. Quello specchio ha la proprietà di ricevere e riflettere le immagini che vi sono proiettate a partire da una serie di sottili fogli metallici, o piuttosto dell’equivalente del metallo terreno. Quei fogli metallici sono stati preparati in modo da poter ricevere e trattenere quelle immagini in una maniera simile a quella con cui il fonografo (che hai visto durante la tua vita sulla Terra) riceve e memorizza le onde sonore.[12]

Durante il tuo viaggio in quella sfera oscura, siete stati messi in comunicazione magnetica con quello strumento, e le avventure di ognuno di voi sono state trasferite a uno di quei fogli sensibili, mentre le emozioni che ognuno di voi provava hanno fatto sì che le onde sonore nelle sfere della musica e della letteratura vibrassero con un tono corrispondente. Tu che appartieni alla sfera dell’arte, della musica e della letteratura, sei in grado di percepire e comprendere le vibrazioni di quelle sfere. Nel Mondo Spirituale tutte le emozioni, le parole e gli avvenimenti vengono riprodotti in forma oggettiva, e per coloro che sono in armonia con queste forme di vibrazione, divengono immagini, racconti o melodie. Il Mondo Spirituale è creato dai pensieri e dalle azioni dell’anima, e quindi ogni atto o pensiero genera un riflesso spirituale tangibile. In questa sfera scoprirai molte cose ancora sconosciute agli uomini della Terra. Verrai a conoscenza di scoperte notevoli, che con il trascorrere del tempo saranno trasmesse ai mortali e rivestiranno la forma terrena.[13] Ma guarda ora! Stai per ricevere la palma offerta a ciascuno di voi quale premio per la propria vittoria».

In quel momento le ampie porte della sala si aprirono ed entrò il nostro gran maestro. Come la volta precedente, era seguito da un corteo di bei giovani, ma questa volta ognuno di loro portava un ramo di palma invece che una corona di alloro. Dopo che il gran maestro si fu seduto sotto il baldacchino, fummo invitati singolarmente a presentarci davanti a lui per ricevere ognuno la propria palma. Una volta che tutti l’avemmo ricevuta, tornammo ai nostri posti e intonammo un gioioso inno di vittoria, ondeggiando le palme al tempo della musica.

* * *

In seguito mi concessi un lungo periodo di riposo, in uno stato di sonnolenza in cui lo spirito, troppo affaticato per pensare, è comunque conscio di ciò che succede attorno a lui. Mi svegliai da quello stato dopo varie settimane, completamente ristabilito dagli effetti del mio viaggio nelle sfere infernali.

La mia prima idea fu di rendere visita a Bianca, nella speranza che potesse vedermi e constatare il cambiamento del mio aspetto. Non mi dilungherò su questo incontro, la cui gioia è solo nostra. Voglio solo riaffermare che la morte non mette necessariamente fine all’affetto per coloro che abbiamo lasciato, e non ci impedisce forzatamente di condividere con loro le nostre gioie ed i nostri dolori.

Mi accorsi che riuscivo a comunicare molto meglio con la mia amica tramite le sue forze medianiche, e che non avevamo più bisogno di una terza persona che ci aiutasse in questo. Fu ben consapevole della mia presenza e dei miei progressi, e la dolcezza del suo amore fu per me come un confortante balsamo, dopo il duro lavoro per la restaurazione della mia anima.

Ben presto, il mio luogo di lavoro divenne il Piano Terrestre. Dovevo operare nelle stesse città il cui riflesso spirituale avevo visto nell’Inferno. La mia missione consisteva nell’influenzare le anime dei mortali e gli spiriti che li popolavano con il sentimento che avevo provato nella controparte infernale di quelle città. Sapevo che avrei potuto suscitare in loro solo in misura minima il timore delle future conseguenze dei loro eventuali misfatti, ma ciò sarebbe forse servito a farne esitare qualcuno di fronte alle tentazioni dell’egoismo e della sensualità. Inoltre, trovai in quelle città molti spiriti legati alla Terra ai quali fui in grado di prestare aiuto, grazie all’esperienza e alla forza che avevo acquisito nel corso dei miei viaggi.

Vi è sempre una gran quantità di lavoro da svolgere per chi tra di noi agisce sul Piano Terrestre. Per quanto numerosi siano coloro che vi lavorano, non ve ne sono mai abbastanza, perché in ogni istante degli uomini lasciano la vita terrena, ed hanno bisogno di tutto l’aiuto che possono ricevere sul Piano Terrestre.

In questo modo trascorsero alcuni mesi. Poi provai un desiderio ancora più grande di progredire, di elevarmi sempre più vicino alla sfera nella quale Bianca avrebbe dovuto vivere dopo la sua morte. Ero sempre tormentato dalla paura che la mia amata potesse lasciare la Terra senza che io avessi potuto elevarmi al suo stesso livello spirituale, trovandomi così ancora una volta separato da lei. Ciò mi spingeva a raggiungere continuamente sempre nuove vittorie su me stesso, ma mi sentivo frustrato per la lentezza dei miei progressi. Sapevo di aver duramente lavorato alla mia purificazione, e che ero arrivato a progredire molto velocemente. Malgrado tutto, ero ancora tormentato dai sentimenti della gelosia e del sospetto, che provenivano dalla mia natura caduta e dalle mie esperienze sulla Terra.

A volte dubitavo anche della costanza di Bianca. Malgrado le numerose prove del suo amore, temevo sempre che un altro uomo potesse riuscire ad allontanarla da me. Ma se l’avessi sorvegliata in continuazione, avrei finito con il restare legato alla terra a causa di questo basso aspetto del mio carattere.

Non crediate che al momento della decomposizione del proprio corpo fisico uno spirito cambi tutti i propri pensieri e i propri desideri. Mostrereste con questa convinzione di conoscere ben poco le condizioni di vita nell’oltretomba! Noi riusciamo a cambiare la direzione dei pensieri che abbiamo nutrito nella vita terrena in modo lento, estremamente lento. Quanto quei pensieri continuano a esser parte di noi, nella loro forma spirituale! Il mio carattere era ancora molto simile a quello che avevo sulla Terra, era solo leggermente migliorato. Avevo imparato a discernere il vero dal falso, ma avevo ancora molto da apprendere su questo punto, e le lezioni sarebbero proseguite nelle sfere più elevate.

Quando dubitavo di Bianca provavo vergogna, perché sapevo quanto i miei dubbi fossero infondati, ma non riuscivo a liberarmene. La vita terrena mi aveva insegnato la diffidenza, e quell’ombra non mi lasciava così facilmente. Un giorno, mentre provavo quel terribile tormento, Ahrinziman venne a trovarmi, e mi mostrò come potevo liberarmi da quelle ombre del passato:

«Non lontano da qui si trova il ‘Paese del Pentimento’. Ti sarebbe molto utile visitarlo, perché quando avrai attraversato le sue montagne e le sue valli, e superato le sue difficoltà, apparirà chiaramente ai tuoi occhi la vera natura della tua vita terrena con tutti i suoi peccati; ciò costituirà per la tua anima un buon mezzo per progredire. Ma un tale viaggio sarà pieno di amarezza e dolore; vedrai così completamente messe a nudo le azioni del tuo passato, gli atti che hai già in parte espiato, ma che non vedi ancora come li vede un’anima delle sfere superiori.

Pochi tra gli spiriti che giungono dalla vita terrena comprendono le vere ragioni che li hanno spinti ad agire come hanno agito. Per alcuni, questa comprensione richiede anni, per altri secoli, perché hanno una forte tendenza a giustificarsi ai propri occhi. Il Paese di cui ti parlo è molto utile per accelerare questa comprensione. Il viaggio deve essere intrapreso in modo assolutamente volontario, e può abbreviare notevolmente la via della crescita.

In quel Paese, le vite degli esseri umani sono registrate in immagini che, quando vengono riflesse nell’atmosfera spirituale del luogo, mostrano le cause di tutti i loro errori passati. Esse chiariscono i motivi sottili che erano in atto nei loro cuori e che hanno determinato la vita di ciascuno. Sarà un difficile esame di coscienza che dovrai affrontare in quel luogo, un’esperienza amara. Ma più una medicina è amara più sono potenti le sue virtù curative, e queste libereranno la tua anima delle malattie della vita terrena che ancora l’affliggono».

«Mostrami dove si trova questo Paese e vi andrò», gli risposi.

Ahrinziman mi portò sulla cima di una di quelle scure colline che si intravedevano in lontananza dalla finestra della mia camera, e giunti lì mi disse:

«Dall’altro lato delle colline che vedi laggiù, si trova lo strano Paese del quale ti ho parlato: un Paese che devono attraversare coloro che sono profondamente perseguitati dal loro passato. Coloro i cui errori erano minimi, perché si limitavano alle debolezze quotidiane, non hanno bisogno di andarvi; per essi, esiste un altro metodo per far loro comprendere la fonte dei loro errori. Quel Paese è riservato agli spiriti che, come te, sono dotati di una grande volontà e di una grande sincerità nei confronti di se stessi. L’attraversamento di quel Paese agirebbe in modo troppo violento sugli spiriti deboli e confusi, e soprattutto questi sentirebbero un profondo scoramento per via della presa di coscienza troppo violenta della loro natura peccatrice. Quegli spiriti possono progredire solo passo dopo passo, un po’ per volta. Ma tu, che hai il cuore solido e pieno di coraggio, crescerai molto più rapidamente quando avrai riconosciuto la natura dei legami che hanno imprigionato la tua anima».

«Quanto durerà questo viaggio?».

«Sarà di breve durata, due o tre settimane del tempo terrestre. Già mentre te ne parlo ho la visione del tuo prossimo ritorno; ciò significa che il tempo che passerà tra la partenza e il ritorno sarà breve. Nel Mondo Spirituale, dove il tempo non si calcola in giorni o settimane, e dove non si conta in ore, stimiamo la durata di un evento o quando qualcosa accadrà in base alla distanza alla quale lo vediamo. Più un’immagine appare lontana al nostro sguardo spirituale, più ciò indica che la sua realizzazione richiederà del tempo. Oppure, la durata di una impresa può essere misurata dalla lunghezza dell’ombra che proietta: a seconda che l’ombra proiettata da un evento futuro sia più o meno vicina al suolo, possiamo valutare la durata che ci separa dalla sua realizzazione, e possiamo determinarla in base alle convenzioni terrene. Nemmeno i più esperti, però, riescono sempre a farlo con grande precisione. È d’altra parte preferibile che uno spirito non sia in grado di rivelare a un mortale l’ora esatta di un avvenimento, perché molti fattori possono sempre rendere imprecisa quella previsione. A volte un avvenimento può apparire molto vicino, ma può essere ritardato, o addirittura completamente annullato, da una forza più grande di quella che lo aveva messo in movimento».

Ringraziai la mia guida dei suoi consigli. Nulla era più importante per me del progredire rapidamente, perciò, poco dopo quel colloquio, iniziai il mio nuovo viaggio. Il cammino per raggiungere il Paese del Pentimento fu più lungo e faticoso del solito, perché avevo preso su di me un fardello che rappresentava tutti i miei peccati; questo fardello era così pesante che rendeva i miei movimenti lenti e faticosi. Simile a un pellegrino, portavo un grezzo abito di colore grigio e camminavo a piedi nudi. Nel Mondo Spirituale, l’abito e l’ambiente si formano in base allo stato d’animo, e mi sentivo come se mi fossi vestito di un sacco e avessi cosparso il capo di cenere.

Quando infine giunsi alla collina e la superai, mi trovai di fronte ad una vasta pianura sabbiosa, un grande deserto che sembrava simboleggiare il suolo sterile della mia vita terrena. Non vi era alcun albero, alcun cespuglio, alcuna foglia. Nemmeno una goccia d’acqua, né la minima ombra per riposare le mie membra affaticate. Attraversano quella piana coloro che nella vita terrena sono stati privi di affetti veri, puri ed altruisti, e non hanno provato quell’oblio di sé che è il solo mezzo per far sbocciare le rose e sgorgare acqua fresca nel deserto lungo il loro percorso.

Discesi in quel triste deserto, e seguii uno stretto sentiero che sembrava condurre verso un altro monte lontano. Il carico che portavo era divenuto intollerabilmente pesante, e fui tentato di abbandonarlo; ma invano, non potevo disfarmene nemmeno per un momento. Avevo i piedi escoriati a forza di camminare sulla sabbia cocente, e ognuno dei miei passi era una sofferenza. Mentre avanzavo lentamente, mi comparivano le immagini dei miei compagni e degli avvenimenti passati della mia vita, come i miraggi che si dice i viaggiatori vedano nei deserti terreni.

Le immagini della mia vita sfilavano davanti a me a grande velocità. Ogni nuova scena si sovrapponeva alla precedente. Vedevo amici e conoscenti; i pensieri, le parole e le azioni negative che avevo pensato, detto o fatto nei loro confronti mi passavano davanti e mi accusavano. Le lacrime versate a causa mia, le ferite causate dalle mie parole crudeli, più affilate di un rasoio, più dure di un pugno… Mille pensieri sbagliati, mille azioni egoiste, a lungo accantonati, dimenticati o scusati, si presentarono ai miei occhi, immagine dopo immagine, fino al momento in cui mi sentii così schiacciato dalla loro visione che crollai, e abbandonando il mio orgoglio mi inchinai fino a terra nella polvere, e piansi amaramente per il rimorso e il dispiacere. E dove le mie lacrime scendevano sulla sabbia arida, là sbocciavano fiori delicati; erano come stelle bianche, ognuna delle quali racchiudeva una goccia di rugiada. Così quel luogo, dove ero caduto nel pieno del mio pentimento, divenne una piccola oasi di bellezza in quel triste deserto.

A ricordo di quel luogo, colsi alcuni di quei fiori e me li misi in seno, quindi mi alzai e continuai. Con mia grande sorpresa, le immagini del mio passato erano scomparse, ma di fronte a me vidi una donna che teneva un bambino per mano. Sembrava troppo pesante per le forze della donna, e il piccolo si lamentava per la fatica e la paura. Impietosito, li raggiunsi e mi offrii di portare il bambino. Dopo avermi guardato in viso con attenzione, la donna mi mise il bambino in braccio. Coprii la testa del bambino con un lembo del mio abito, ed il piccolo si addormentò tranquillamente. La donna mi disse che il bambino era suo, ma che non lo aveva mai amato troppo, e aggiunse:

«A dire il vero, non volevo proprio avere figli. Quando questo piccolo nacque, provai un grande fastidio e lo trascurai. Quando divenne più grande, cominciò a comportarsi in modo maleducato e capriccioso (o almeno così io pensavo), a volte lo picchiavo e lo chiudevo in una camera scura. A cinque anni morì di febbri, e poco dopo morii anch’io della stessa malattia. Da quando sono giunta nel Mondo Spirituale il bambino mi segue, e non riesco a liberarmene. Mi hanno perciò consigliato di fare questo viaggio e di portarlo con me».

«E nemmeno ora riesci ad amare questo bambino?».

«No! Non posso dire che lo amo. Sono una di quelle donne che non sono fatte per essere madri. Non ho mai avuto istinto materno. Non amo questo bambino, ma mi dispiace di non essere stata più gentile con lui, e posso ora vedere che quello che pensavo essere il senso del dovere che mi spingeva a educarlo con severità e a correggere i suoi errori, era solo una scusa per giustificare il mio carattere e il fastidio che mi causava il dovermi prender cura di lui. Riconosco di aver agito male, ma non posso dire di amarlo».

«Lo porterai con te per tutto il viaggio?» le chiesi.

Provavo una grande compassione per quel piccolo non amato, e lo abbracciai con tutto il mio affetto. Mi commossi al pensare che Bianca avrebbe considerato un tesoro un bambino simile, e a quanto tenera sarebbe stata con lui. Egli mi mise allora le sue piccole braccia attorno al collo e mi sorrise con riconoscenza nel dormiveglia, cosa che avrebbe dovuto toccare il cuore della donna. In effetti il suo viso si addolcì e mi rispose:

«Credo di doverlo portare ancora per un tratto di strada. In seguito sarà portato in una sfera in cui si trovano dei bambini come lui, che sono stati poco curati dai loro genitori, e che vengono presi sotto la protezione di spiriti che amano i piccoli».

Dopo aver camminato insieme ancora per un po’, raggiungemmo delle rocce presso le quali c’era uno stagno. Ci sedemmo sulla riva per riposarci. Mi addormentai; al mio risveglio, la donna e il bambino erano scomparsi.

Ripresi il cammino, e raggiunsi ben presto i piedi della montagna, creata dall’orgoglio e dall’ambizione degli uomini. Il sentiero, largo appena quanto un piede, era duro, sassoso e ripido. A volte le erte rocce, fatte di vanità e di egoismo, erano quasi impossibili da scalare. Superandole, riconoscevo di aver partecipato alla loro formazione; la mia arroganza aveva inviato qui degli atomi per costruire quelle rocce che ora dovevo superare.

Pochi uomini conoscono i segreti del proprio cuore. Molto spesso, crediamo di batterci per raggiungere una posizione nel mondo perché animati da una nobile ambizione, quando invece non è altro che orgoglio egocentrico. Guardai al mio passato con vergogna, riconoscendo che ogni sperone di roccia era il simbolo spirituale di una pietra d’inciampo che avevo posto sul cammino dei miei fratelli più deboli, i cui poveri sforzi erano a mio parere da bloccare rapidamente, nell’interesse della vera arte; ora provavo il profondo desiderio di rivivere la mia vita per far meglio, e per incoraggiare coloro che invece avevo condannato, per aiutare coloro che avevo schiacciato.

Ero stato così duro anche nei miei confronti da non essere mai soddisfatto delle mie realizzazioni, nemmeno quando i miei compagni mi applaudivano, nemmeno quando vincevo i premi più importanti nelle competizioni. A motivo di ciò, pensavo di avere il diritto di esigere altrettanto da coloro che praticavano la mia stessa arte. Non provavo alcuna simpatia per gli sforzi dei meno dotati e dei debuttanti. Potevo ammirare il talento e il genio, ma la mediocrità mi ispirava solo disprezzo e nessun desiderio di aiutare. Ignoravo che le deboli capacità erano come dei germi che, anche se non danno grandi risultati sulla Terra, sarebbero sbocciate come fiori perfetti nel Mondo dello Spirito. Nella mia gioventù, baciato dal successo, prima che la mia vita naufragasse, avevo tanti sogni e grandissime ambizioni, e anche se più avanti nell’età, quando dolori e delusioni mi avevano insegnato qualcosa sulla pietà nei confronti delle lotte altrui, non ero mai stato in grado di sentire una sincera simpatia per la mediocrità e le sue lotte, e ora riconoscevo che era stata proprio questa mancanza ad aver creato quelle rocce così tipiche della mia arroganza.

Fui sopraffatto dal rimorso e dal dolore a quella scoperta; mi guardai attorno per vedere se ci fosse qualcuno più debole di me da aiutare. Vidi allora più in alto, sul sentiero ripido, un giovane al limite dello sfinimento che cercava di scalare la parete rocciosa. Era un giovane il cui orgoglio per la propria discendenza, e l’ambizione di stare alla pari con i nobili ed i ricchi si erano accumulati in lui, un orgoglio al quale aveva sacrificato coloro che sarebbero dovute essere le persone più care al suo cuore. Era sul punto di superare uno strapiombo sulla parete rocciosa, ma sembrava così affaticato da essere vicino a cedere e cadere. Gli gridai di restare aggrappato, e mi affrettai a raggiungere il luogo nel quale si trovava; poi, con difficoltà, riuscii a tirarlo sulla roccia. Il ricordo di tutti coloro che avevo schiacciato con la mia arroganza mi aveva ispirato il sincero desiderio di aiutare quell’uomo in difficoltà.

Mentre eravamo seduti sulla roccia per riposarci, notai di essermi ferito in modo serio sulle pietre taglienti. Ma notai anche che il mio fardello di orgoglio egoistico era caduto durante la salita.

Meditando sulla vita, decisi di tornare sulla Terra per aiutare qualcuna delle anime meno dotate di me a raggiungere migliori capacità artistiche. Avrei cercato di trasmettere loro la mia conoscenza e la mia ispirazione. Là dove in passato avevo distrutto degli sforzi sinceri, avrei ora incoraggiato e guidato. Là dove la mia lingua e la mia mordente ironia avevano ferito, avrei portato comprensione. Cominciai a capire quanto fosse sbagliato disprezzare i fratelli meno dotati e distruggere le loro speranze, con il pretesto che queste ultime sembrano così insignificanti e triviali a una mente più avanzata.

Seduto su quella montagna, riflettei a lungo su queste cose, mentre il giovane che avevo aiutato proseguiva il suo cammino senza di me. Ripresi infine la mia strada, in direzione di un profondo burrone sul quale era stato gettato un ponte ora semidistrutto; l’accesso al ponte era chiuso da un alto portone. Numerosi spiriti erano in attesa davanti ad esso, e cercavano di aprirlo in vari modi. Alcuni impiegavano la forza, altri cercavano di scavalcarlo, altri ancora pensavano di doverne scoprire la serratura segreta. Al mio arrivo, alcuni spiriti che si erano chinati sul portone se ne allontanarono, curiosi di vedere come io avrei affrontato il problema. Era così alto e liscio che nessuno riusciva a scalarlo, e così solido che nessuno pensava di poterlo scardinare. Sembrava non ci fosse alcuna possibilità di aprirlo.

Mi chiesi cosa fare, quando vidi accanto a me una donna che piangeva tristemente sulla sua sfortuna: era lì da molto tempo, e vanamente aveva cercato di aprire la porta. Mentre facevo del mio meglio per ridarle speranza, il portone scomparve ai nostri occhi e passammo. Con la stessa rapidità con cui era scomparso, il portone ricomparve, chiuso, dietro di noi. Anche la donna si era volatilizzata. Al suo posto vidi un vecchio quasi piegato in due fermo sul ponte. Mentre cercavo di capire il senso di ciò che era successo, una voce mi disse:

«Questo è il portone dei pensieri e delle azioni generose. Tutti quegli spiriti che sono dall’altro lato devono aspettare fino a quando i loro buoni pensieri e le loro buone azioni verso gli altri siano abbastanza pesanti da abbatterlo. Il portone si aprirà per chiunque cerchi di aiutare con impegno il prossimo come hai fatto tu».

Avanzai lungo il ponte e giunsi al punto nel quale si trovava il vecchio. Egli tastava il suolo con il suo bastone, lamentandosi della propria impotenza. Avevo paura che cadesse, perché il ponte era davvero in cattivo stato. Feci un salto verso di lui e mi offrii di aiutarlo ad attraversarlo. Ma egli rifiutò dicendo:

«No, no, ragazzo mio! Il ponte è troppo marcio. Non potrà sostenere il peso di entrambi. Continua e lasciami qui, farò del mio meglio...».

«Assolutamente no» gli risposi. «Sei vecchio e debole, e se ti abbandonassi potresti cadere da un punto danneggiato del ponte. Io sono forte e vigoroso, e troverò un buon punto per passare».

Senza attendere la sua risposta me lo caricai sulle spalle e gli dissi di aggrapparsi saldamente a me. Mi apprestai a percorrere il ponte, ma quanto pesava quel vecchio! E il ponte scricchiolava, gemeva, si piegava sotto il nostro peso. Temevo che saremmo caduti entrambi nell’abisso.

Il vecchio mi scongiurava di non lasciarlo cadere. Mi trascinai a quattro gambe fino alla parte più pericolosa del ponte. Nel mezzo vi era un grande foro, e potevo utilizzare solo le due travi principali per passare. Sapevo che se fossi stato solo avrei potuto superare d’un balzo il foro senza alcun pericolo, ma con quel vecchio sul dorso la cosa era molto diversa. Si era aggrappato a me intralciandomi notevolmente i movimenti, e quasi mi soffocava; mi venne il pensiero che avrei fatto meglio ad abbandonarlo, ma ciò mi sembrò così crudele nei suoi confronti che decisi di provare a passare. Il vecchio, considerate le difficoltà, sospirò e mi disse:

«Sarebbe meglio se mi lasciassi qui. Io non riesco a passare, e con me nemmeno tu ce la farai. Lasciami qui e continua da solo!».

Il suo tono era così triste e deluso che non avrei potuto abbandonarlo. Gli raccomandai di aggrapparsi bene e mi appoggiai con una mano ad una trave rotta. Con un gran salto mi slanciai oltre l’abisso con una forza tale che mi sembrò di volare, e arrivammo dall’altra parte sani e salvi.

Quando mi voltai per vedere il pericolo che avevamo appena superato, mi sfuggì un grido di sorpresa: sul ponte non vi era più alcun foro; anzi, era in buono stato, e accanto a me, invece del vecchio, vidi Ahrinziman, che rideva del mio stupore. Mi mise la mano sulla spalla e mi disse:

«Franchezzo, figlio mio, questa non era che una prova per vedere se saresti stato abbastanza generoso da farti carico di un vecchio quando le tue stesse possibilità di salvezza erano così poche. Ora ti lascio affrontare la tua ultima sfida, affinché tu possa giudicare da solo la natura dei dubbi e dei sospetti che hai avuto. Addio, e che tu possa essere vittorioso». Si voltò e scomparve.

Mi preparai ad affrontare una profonda valle che si trovava davanti a me. Era situata tra due montagne scoscese e si chiamava la «Valle dei fantasmi di nebbia». Grandi colonne di vapore grigio volteggiavano nell’aria, salendo lungo i monti, trasformandosi in figure inquietanti e misteriose che mi seguivano.

Più penetravo nella valle, più quelle forme sembrava fossero esseri viventi. Ma sapevo che non erano altro che la creazione dei miei pensieri durante la mia vita terrena: i sospetti e i dubbi che avevo nutrito nei confronti di altri, i miei pensieri cattivi e impuri. Ora tutte quelle forme mi tormentavano, minacciose e terribili. Si accumulavano lungo il cammino e mi bloccavano la strada, circondandomi da ogni lato. Non avevo alcun dubbio: quegli esseri pieni di odio erano proprio i miei pensieri, quelli che avevo diretto contro altre persone. Avevo dubitato molto della bontà del mio prossimo, e non gli avevo accordato nessuna fiducia. Per il fatto che io stesso ero stato crudelmente ingannato, proclamavo dappertutto che gli esseri umani sono creature menzognere. Vedendo tutte le follie e le bassezze commesse attorno a me, pensavo che dappertutto succedesse ciò, e che ogni cosa non fosse altro che tradimento e inganno.

Così quelle forme-pensiero si erano create una dopo l’altra. Mentre cercavo di combatterle, tentavano di sottomettermi e soffocarmi, e mi avviluppavano nelle pieghe brumose delle loro forme fantasmatiche. Tentai vanamente di liberarmene. Diventavano sempre più aggressive e mi circondavano, mi isolavano, proprio come avevano fatto i miei dubbi. Terrorizzato, mi dibattevo tra di esse come se fossero esseri viventi che mi volevano morto. Improvvisamente vidi aprirsi di fronte a me un profondo crepaccio, verso il quale quei fantasmi mi stavano spingendo: un abisso nel quale sarei caduto, se non fossi riuscito a liberarmi di quegli spettri. Lottai disperatamente, ma mi accerchiavano, spingendomi poco a poco verso l’abisso senza fondo.

Allora, nella più profonda angoscia implorai aiuto. Poi, tendendo le braccia, afferrai il fantasma più tenace e lo scaraventai lontano. A quel punto la potente nuvola dei dubbi si disperse come fosse stata spazzata via dal vento, e caddi a terra sfinito. Persi conoscenza e feci un sogno, molto breve ma meraviglioso. In quel sogno era stata Bianca a venire e a disperdere quelle forme ripugnanti. Si era poi inginocchiata presso di me, mi aveva preso la testa tra le braccia e mi aveva fatto riposare sul suo seno, come una madre fa con il suo bambino. Sentivo le sue braccia che mi circondavano e mi stringevano, poi il sogno si interruppe e caddi in un profondo sonno.

Quando ripresi conoscenza, giacevo ancora nella valle, ma la nebbia si era dissipata, portando via con sé il tempo della diffidenza e del dubbio amaro. Riposavo su un prato di erbe verdi e soffici; di fronte a me si stendeva una prateria attraversata da un ruscello di acqua chiara che scorreva placidamente. Dopo aver seguito il suo corso per qualche tempo, raggiunsi un bel boschetto. Dietro gli alberi intravidi uno stagno, sulla superficie del quale galleggiavano delle ninfee. Al suo centro vi era una fontana che sembrava fatata, il cui getto era come una cascata di diamanti che ricadevano nell’acqua trasparente. I rami degli alberi formavano una volta, ed attraverso di essi potevo intravedere il cielo blu.

Mi avvicinai per riposarmi e dissetarmi alla fonte, ed una bella ninfa, vestita con un abito verde e con una corona di ninfee, mi si avvicinò per aiutarmi. Era la custode della fonte; il suo compito era curare e ristorare i viaggiatori affaticati come me, e mi disse:

«Nella vita terrena vivevo in una foresta, e qui nel Mondo Spirituale ho una casa circondata dai boschi che amo così tanto».

Ella mi diede da bere e da mangiare. Dopo essermi riposato per un po’, mi indicò un sentiero che attraversava i boschi e conduceva verso una «Casa del Riposo», nella quale avrei potuto riprendere le forze per qualche tempo. Ringraziai con tutto il cuore quell’amabile e luminoso spirito, mi congedai da lei e presto giunsi di fronte ad un grande edificio, interamente ricoperto di caprifoglio e di edera. Aveva numerose finestre, e le sue porte spalancate sembravano invitare i viaggiatori ad entrare. Di fronte all’edificio vidi un grande cancello in ferro battuto, che aveva come decorazioni delle forme di uccelli e di fiori, che sembravano curiosamente vivi. Quando lo raggiunsi si aprì da solo, come per magia, e fui in grado di entrare. Qui numerosi spiriti vestiti di bianco vennero verso di me per darmi il benvenuto, mi condussero in una bella camera, e mi invitarono a riposare. Dalle finestre si poteva vedere una bella prateria e degli alberi meravigliosi.

Al mio risveglio, gli abiti da pellegrino erano scomparsi. Vicino a me vidi un nuovo vestito, sempre di colore grigio chiaro; ora però aveva un triplice bordo di un bianco purissimo. Mi rallegrai e mi vestii con grande gioia, perché sapevo che il bianco era il segno del mio progresso: nel mondo spirituale, il bianco è segno di purezza e felicità, il nero del contrario.

Fui condotto allora in una bella stanza, nella quale si trovavano degli spiriti vestiti come me. Riconobbi tra di loro la donna ed il bambino che avevo aiutato nella Pianura del Pentimento e delle Lacrime. Ora guardava suo figlio con maggiore tenerezza; mi salutò amichevolmente e mi ringraziò dell’aiuto che le avevo dato. Il piccolo salì sulle mie ginocchia e vi si sedette come avrebbe fatto un bambino sulla Terra.

Ci fu servito un abbondante pasto. Vi erano dei dolci e della frutta, e il vino puro del Mondo Spirituale. Ci ristorammo e ringraziammo Dio per le Sue Grazie, poi il fratello che presiedeva augurò a tutti la benedizione di Dio. Con il cuore pieno di gratitudine, ci salutammo e ci preparammo per tornare alle nostre case.

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