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Capitolo 4 - La Confraternita della Speranza

Nel mondo dello spirito esistono numerose associazioni per l’assistenza degli spiriti penitenti, ma non ho mai visto nulla di più stupefacente di quella Casa del Soccorso, mantenuta dalla Confraternita della Speranza, alla quale mi avevano indirizzato. In quel momento la debolezza delle facoltà spirituali mi impediva di vedere come fosse quel luogo. Ero quasi completamente sordo, cieco e muto. Quando mi trovavo in compagnia di altre persone, potevo appena vederle, sentirle e farmi sentire da loro. Arrivavo appena a distinguere le persone che mi circondavano, ma era come se mi trovassi in una stanza scura con solo un vago lucore che mi permetteva di vedere dove andare.

Quando ero sulla terra, non avevo mai provato nulla di simile, perché lì potevo almeno vedere e sentire quel tanto che mi consentiva di essere cosciente di chi mi circondava. In effetti, sul piano terrestre uno spirito approfitta un po’ della luce del mondo fisico. Però, quando mi elevai in questa sfera del mondo spirituale poco distante dalla terra, sentii quanto il mio spirito fosse sprovvisto di qualsiasi facoltà spirituale autonoma.

Quel periodo di tenebre fu per me così terribile che ancora oggi provo dolore a ricordarlo. Nella mia vita avevo tanto amato il sole e la luce. Venivo da un paese inondato dal sole; i suoi colori erano così carichi, il cielo talmente chiaro, il paesaggio ed i fiori così belli, ed io amavo talmente la luce, il calore e la musica! Però dappertutto, dopo la morte, non avevo incontrato che tenebre e freddo. La terribile oscurità che mi avvolgeva opprimeva il mio spirito più di qualunque altra cosa.

Sulla terra mi ero mostrato orgoglioso ed altero. Appartenevo a una stirpe che non si era mai prostrata di fronte a nessuno. Nelle mie vene scorreva il sangue della fiera nobiltà della mia famiglia. Da parte di madre, ero imparentato con grandi personaggi della terra, la cui ambizione personale era sufficiente a scuotere interi regni. Ora, il più umile e povero dei mendicanti della mia città natale era più grande e felice di me, perché almeno poteva godere della freschezza dell’aria e della luce del sole, mentre io ero simile ad un prigioniero che era stato gettato nelle celle più profonde di una prigione.

Se non avessi mantenuto il mio pensiero concentrato su Bianca, la mia buona stella, il mio angelo di luce, e sulla speranza che il suo amore mi portava, sarei caduto nella disperazione più profonda. Tuttavia, quando pensavo a lei, che aveva promesso di aspettarmi per tutta la vita, quando ricordavo il suo dolce sorriso e le sue parole d’amore, riprendevo coraggio, sforzandomi di sopportare con pazienza ogni cosa. Avevo bisogno di tutto il suo aiuto, perché in quel momento iniziava per me un periodo di combattimento e sofferenza estremi, che mi sarà difficilissimo rendere comprensibile con le parole.

Nonostante fossi incapace di discernere nei dettagli l’ambiente in cui mi trovavo, lo percepivo come un’enorme e oscura prigione. In seguito capii che era un grande edificio di pietra grigia (che i miei sensi percepivano di consistenza simile a quella della pietra terrestre) con numerosi e lunghi corridoi, che conducevano a innumerevoli piccole celle, quasi buie e ammobiliate in modo rudimentale. In questo luogo ogni spirito disponeva di ciò che aveva guadagnato nel corso della sua vita terrestre. Alcuni avevano solo un piccolo letto sul quale si stendevano e soffrivano. Perché tutti qui soffrivano! Era la Casa del Dolore; ma era anche la Casa della Speranza, perché tutti aspiravano ad elevarsi verso la Luce. Avevano posto il loro piede sul primo gradino della scala della speranza, che dovevano percorrere per salire progressivamente fino al Cielo.

Nella mia cella disponevo solo di un letto, di una sedia e di un tavolo. Passai molto tempo a riposarmi e a meditare. A volte, con chi, come me, aveva ripreso abbastanza le forze, andavo ad assistere alle conferenze che si tenevano per noi in una grande sala. Quelle conferenze erano molto commoventi. Tramite esempi e racconti, gli insegnanti inducevano ognuno di noi a prendere coscienza del male che avevamo fatto. Si sforzavano di farci capire, da un punto di vista imparziale, la gravità delle nostre azioni, mostrandoci esattamente come avevamo portato altre anime alla perdizione per soddisfare i nostri interessi.

Ciò che avevamo fatto con il pretesto che tutti lo facevano, oppure perché sentivamo che era un nostro diritto, ci veniva esposto dal punto di vista di chi l’aveva subito. Oppure, se non eravamo stati direttamente responsabili delle sofferenze degli altri, ci veniva mostrato come altri avevano sofferto a causa di un sistema inventato e mantenuto per soddisfare le nostre passioni egoistiche. Non posso qui dilungarmi sul contenuto di quelle conferenze, ma chi tra voi conosce la corruzione delle grandi città sulla terra può immaginare le situazioni che vi erano trattate. Dopo una tale descrizione di noi stessi, spogliati dei travestimenti mondani della vita terrena, non potevamo far altro che ritornare pieni di vergogna nelle nostre celle, a meditare sul nostro passato e sul modo in cui avremmo potuto espiare in avvenire i nostri errori.

Queste conferenze ci aiutavano molto perché, mentre descrivevano i nostri errori e le loro conseguenze, ci indicavano il modo di correggere e superare i nostri desideri malvagi. Ci veniva mostrato come avremmo potuto purificarci sforzandoci di salvare altre persone dal male nel quale noi stessi eravamo caduti. Tutto ciò doveva prepararci alla tappa successiva del nostro sviluppo, quando saremmo stati rimandati sulla terra, invisibili e in incognito, per aiutare i mortali nella loro lotta contro le tentazioni terrene.

Quando non assistevamo alle conferenze era permesso, a chi tra noi si sentiva abbastanza forte da muoversi, di andare dove preferiva. Coloro che avevano lasciato sulla terra dei buoni amici, tornavano a trovarli; anche se erano invisibili, potevano almeno vedere coloro che amavano. Ma ci veniva sempre raccomandato di non cedere alle tentazioni del piano terrestre, perché sarebbe stato poi difficile per molti di noi resistervi.

I più forti, se ne avevano la capacità e desideravano utilizzarla, erano impiegati nel «magnetizzare» i più deboli tra noi; chi aveva fatto uno spreco eccessivo della forza vitale nel corso della vita terrena, si trovava in un tale stato di sfinimento da poter essere solo lasciato steso nella cella, mentre altri spiriti gli portavano un po’ di sollievo magnetizzandolo. Ora vorrei descrivervi uno stupefacente metodo di guarigione praticato nella Casa della Speranza. Alcuni spiriti elevati, con la vocazione e le capacità di dottori e guaritori, curavano quanti soffrivano di più - e tutti qui soffrivano - tramite l’uso del loro magnetismo o di quello di altri spiriti che potevano controllare.[2] In questo modo, riuscivano a far dimenticare temporaneamente a quei poveri esseri le loro sofferenze. Quando i dolori ritornavano, quegli spiriti avevano, nel frattempo, trovato la forza per sopportarli. Così, man mano che procedeva la riparazione dei loro corpi spirituali, i loro dolori diminuivano progressivamente fino al momento in cui loro stessi erano in grado di magnetizzare chi ancora stesse soffrendo.

Non mi è possibile qui dare una descrizione precisa di questo luogo e dei suoi ospiti. Anche se vi era una grande somiglianza con un ospedale terreno, in molti particolari era profondamente diverso (tuttavia, man mano che la conoscenza sulla terra progredisce, i vostri ospedali potranno rassomigliare a quelli del mondo spirituale). Se qui tutto era scuro, è perché i disgraziati che vi vivevano non possedevano in sé nulla della luce con cui gli spiriti più avanzati illuminano la loro atmosfera. Nel mondo spirituale, in effetti, è lo spirito stesso che crea la luce o le tenebre attorno a sé. L’impressione di oscurità derivava anche dalla cecità quasi completa di questi spiriti, i cui sensi spirituali atrofizzati, non essendosi mai sviluppati sulla terra, li rendevano insensibili a tutto ciò che li circondava, esattamente come chi sulla terra nasce cieco o sordo e ignora completamente ciò che gli altri percepiscono. Quando questi sfortunati spiriti discendono nell’atmosfera del piano terrestre, più adatta al loro grado di evoluzione, si trovano sempre in una certa oscurità, anche se minore. Possono allora percepire gli spiriti simili a loro ed entrare in contatto diretto con essi. Possono anche vedere i mortali che si trovano a un grado di sviluppo sufficientemente basso. Per contro, i mortali e gli esseri disincarnati spiritualmente più avanzati sono a loro appena percettibili o del tutto invisibili.

I «Fratelli della Speranza», così vengono chiamati quelli che lavorano per aiutare i pazienti di quest’ospedale, sono tutti muniti di una piccola luce a forma di stella, che illumina le oscure celle che visitano. In questo modo, portano la luce della speranza ovunque vadano. All’inizio io stesso, che in uno stato di estrema sofferenza giacevo quasi costantemente in una miserabile apatia, aspettavo che quella luce brillasse nel corridoio e raggiungesse la mia cella. Quando si allontanava, mi chiedevo quanto tempo sarebbe passato prima di poterla vedere di nuovo. Ma per quanto mi riguarda, quello stato di abbattimento totale fu piuttosto breve. Il mio spirito era già più chiaro di quello dei numerosi e sfortunati spiriti che avevano aggiunto alle altre passioni terrestri il vizio del bere. Inoltre, il mio desiderio di progresso era troppo forte perché potessi restare troppo tempo inattivo.

Dal momento in cui fui in grado di muovermi, chiesi l’autorizzazione a rendermi utile in un qualche modo. Poiché ero dotato di un forte potere magnetico, fui invitato a prestare aiuto a un povero giovane incapace di muoversi, che si lamentava e sospirava in continuazione. Povero ragazzo! Aveva trent’anni quando aveva lasciato la terra, ma nella sua breve vita era riuscito a logorare talmente le sue forze che si era distrutto prematuramente. Ora, il suo spirito agonizzava per le conseguenze degli abusi che aveva inferto al suo corpo, al punto che io stesso potevo appena sopportare la vista delle sue sofferenze.

Il mio compito consisteva nel praticare su di lui dei passaggi magnetici calmanti, aspettando, ad intervalli regolari, che uno spirito più avanzato venisse a porlo in stato di incoscienza. Durante tutto questo periodo, soffrivo anch’io molto, sia nel corpo spirituale che nella psiche perché, nelle sfere più basse, lo spirito risente delle sofferenze del fisico, mentre in seguito, con la crescita spirituale, la sofferenza assume una forma più mentale. Gli spiriti più elevati, il cui corpo spirituale è divenuto meno «materiale», sono insensibili a qualunque forma di sofferenza fisica.

Mentre riprendevo le forze, i miei desideri egoistici si risvegliavano. Spesso mi causavano dei tormenti così grandi, che ero tentato di imitare molti poveri spiriti che ritornavano sulla terra alla ricerca dei mezzi per soddisfare le loro passioni, attraverso il corpo fisico dei viventi. I miei dolori fisici erano così grandi e proporzionati alla forza fisica di cui ero stato sempre fiero sulla terra e che avevo utilizzato per scopi così bassi. Per questo motivo, soffrivo più di chi era stato debole.

Come i muscoli dell’atleta che, dopo essere stati sottoposti ad un duro allenamento, si contraggono causando terribili dolori, la forza ed il vigore di cui avevo abusato sulla terra cominciavano, per reazione sul mio corpo spirituale, a farmi soffrire profondamente. Inoltre, man mano che mi rafforzavo, e ritrovavo la capacità di godere di ciò che sulla terra mi era sembrato così desiderabile, l’attrazione di quei piaceri diventava così forte che con grande difficoltà resistevo alla tentazione di tornare sul piano terrestre, con altri spiriti, per godervi dei piaceri sensuali utilizzando il corpo degli esseri viventi. Gli spiriti che, a causa di una vita depravata, non potevano o non volevano resistere a quella tentazione, si ritrovavano di nuovo al livello del piano terrestre, e rischiavano di non poterlo più lasciare.

Molti abitanti della Casa della Speranza soccombevano a quella tentazione. Discendevano sulla terra per un certo tempo e ne ritornavano, dopo un periodo più o meno lungo, in uno stato di sfinimento e di degradazione peggiore di quello in cui si trovavano al momento della loro partenza. Ognuno era libero di andare e venire a suo piacimento. Ognuno poteva tornare quando lo desiderava, perché le porte della Casa della Speranza erano aperte a tutti, anche ai più ingrati. Mi sono a lungo stupito della pazienza infinita e dell’indulgenza testimoniate verso le nostre debolezze ed i nostri peccati. È anche vero che non si poteva che provare pena per quegli sfortunati, divenuti schiavi delle loro basse passioni al punto di non potervi più resistere e lasciarsi continuamente attrarre verso la terra, fino al momento in cui sarebbero tornati, sazi e sfiniti, nello stesso stato di paralisi del giovane di cui mi stavo occupando.

Anch’io avrei potuto cedere alla tentazione, se il pensiero di Bianca e la speranza che lei mi aveva dato non avessero fatto nascere in me una aspirazione più elevata. Non potevo perciò condannare le povere anime che sbagliavano perché mancavano di un tale sostegno. Spesso andavo sulla terra, ma solo là dove si trovava la mia amata. Il suo amore mi attirava sempre a sé, verso la pura atmosfera del suo essere, e mi teneva lontano da ogni tentazione. La barriera invisibile che ho descritto prima mi impediva di avvicinarmi a lei e di toccarla, quindi ne restavo fuori e la guardavo lavorare, leggere o dormire. Quando ero là, lei ne aveva una certa consapevolezza. Mormorava allora il mio nome o si girava verso di me con quel dolce e triste sorriso che ricordavo sempre, e che era la consolazione delle mie ore di solitudine.

Come sembrava triste, povera cara! Era così pallida e delicata che mi si spezzava il cuore, nonostante la consolazione che mi dava il vederla. A dispetto di tutti i suoi sforzi per mantenere il coraggio e la speranza, questa lotta era troppo dura per lei, ed ogni giorno la sua fibra diventava sempre più debole. Doveva subire prove di ogni genere. La sua famiglia, in particolare, le causava molti problemi.

La stranezza del suo rapporto con il mondo degli spiriti la gettava nel dubbio e nella preoccupazione. A volte si chiedeva se ciò che stava vivendo non fosse altro che una enorme mistificazione o un sogno dal quale si sarebbe svegliata scoprendo che non esisteva alcun legame tra i morti ed i vivi, né alcun mezzo per raggiungermi. Allora la disperazione che l’assaliva prendeva anche me, quando le stavo vicino e leggevo i suoi sentimenti e non avevo la possibilità di dissipare i suoi dubbi. In quei momenti, pregavo che mi fosse concesso di farle sapere che ero là.

Una notte, in cui l’avevo vista addormentarsi dopo aver molto pianto, sentii che qualcuno mi toccava la spalla. Alzando gli occhi, vidi il suo spirito protettore, che mi aveva aiutato a comunicare con lei. Mi disse che se acconsentivo a restare calmo e a dominarmi, mi avrebbe permesso di baciare Bianca mentre dormiva; entusiasta, promisi immediatamente di fare quel che mi chiedeva. Con la mia mano nella sua, attraversammo il muro gelido e trasparente che per me era sempre stato impenetrabile. La mia guida si chinò su di lei e fece qualche strano segno. Mi teneva sempre per mano, e mi chiese di toccarla leggermente.

Stava dormendo, con gli occhi ancora bagnati dalle lacrime e le labbra semiaperte come se parlasse nel sogno, una mano posata sulla gota. Con delicatezza, per non svegliarla, presi teneramente la sua mano, che si chiuse a metà sulla mia, mentre appariva sul suo volto un’espressione di gioia così viva che temetti di averla svegliata. Ma non fu così. Lo spirito luminoso sorrise e disse: «Adesso baciala!». Mi chinai fino a toccarla e le detti un bacio, mi sembrò il primo della mia vita. La baciai una dozzina di volte, in modo così appassionato che si svegliò, e fui allora rapidamente tirato indietro dallo spirito luminoso. Bianca guardò attorno a sé e chiese dolcemente: «Ho sognato o eri tu, amore mio?»; «Ero io», risposi. Sembrò sentirmi, perché sorrise e ripeté più volte il mio nome.

Per molto tempo non fui più autorizzato a toccarla, ma mi recai spesso vicino a lei ed il ricordo di quel momento restò sempre tra noi, perché sapevo quanto il mio bacio fosse stato ben reale per lei. Per me, quel bacio era stato come un’ancora di speranza, e mi sentii incoraggiato a credere che, col tempo, avrei potuto renderla più consapevole della mia presenza e mi sarebbe stato possibile dialogare con lei.

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