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Capitolo 6 - Il Paese del Crepuscolo - La Valle dell'Egoismo

Quando il mio lavoro in un certo posto era terminato, tornavo a riposarmi nel Paese del Crepuscolo, in un altro grande edificio appartenente alla nostra Confraternita. Anche se somigliava al mio precedente luogo di soggiorno, era meno oscuro e meno monotono. Nella piccola stanza assegnata ad ognuno, si trovavano gli oggetti ricevuti come ricompensa del nostro lavoro. Ad esempio, nella mia stanza, che appariva proprio vuota, avevo un grande tesoro: un ritratto di Bianca. Sembrava più il suo riflesso in uno specchio che un quadro dipinto perché, ogni volta che lo guardavo intenzionalmente, ella mi rispondeva con un sorriso, come se il suo spirito fosse stato consapevole del mio sguardo.

Ogni qualvolta desideravo intensamente sapere cosa stesse facendo in quel momento, l’immagine si trasformava e mi mostrava la sua occupazione. I miei compagni consideravano questo ritratto come un grande privilegio. Mi dicevano che era dovuto tanto all’amore di Bianca ed ai suoi pensieri per me quanto ai miei sforzi per migliorarmi. Più tardi mi fu spiegato in quale modo questa immagine, inviata dalla luce del piano astrale, fosse proiettata nella mia camera, tramite un procedimento che non posso descrivere in dettaglio in questo libro. Possedevo anche un altro regalo della mia amata: una rosa bianca in un vaso. Sembrava che non appassisse mai, al contrario, restava sempre fresca e profumata, come se fosse il segno tangibile del suo amore.

Avevo tanto desiderato avere un fiore. Io, che avevo tanto amato i fiori sulla terra, non ne avevo più visti da quando Bianca li aveva usati per decorare la mia tomba. Nella regione del mondo spirituale nella quale mi trovavo, non c’erano fiori, e nemmeno il più piccolo filo d’erba, nessuna pianta, ancor meno alberi o cespugli. In effetti, il suolo secco e arido del nostro egoismo non lasciava spuntare niente, né piante né fiori. Durante una delle mie visite sulla terra, avevo parlato di ciò a Bianca, dicendole che, ad eccezione del suo ritratto, non avevo nulla che rallegrasse il mio sguardo. Fu allora che lei pregò perché mi fosse donato un fiore.

La sua preghiera fu esaudita, ed uno spirito amico depose quella rosa bianca e il suo vaso nella mia cella, perché la trovassi al mio ritorno dal piano terrestre. Ah! Voi che avete tanti fiori e li lasciate appassire senza goderne, non potete immaginare l’immensa gioia che mi dette quella rosa. Mi è tanto cara quanto il ritratto di Bianca e quanto le parole d’amore che un giorno mi aveva scritto. Ho sempre portato questi tesori con me, nella progressione di sfera in sfera, e spero di non separarmene mai.

Nel corso delle mie numerose esplorazioni del Paese del Crepuscolo, ho attraversato regioni stupefacenti, ma tutte avevano la stessa atmosfera fredda e desolata. Una di esse era una grande vallata formata da rocce grigie, con colline austere, fredde e brumose che la rinserravano da ogni parte, e un cielo crepuscolare. Nemmeno qui si vedeva il minimo filo d’erba, la minima foglia, un qualsiasi cespuglio. Si vedeva solo una tonalità di colore, solo quella monotona desolazione di pietre grigie. Chi viveva lì aveva accentrato tutta la vita e l’attenzione su di sé, chiudendo il cuore alla bellezza e alla dolcezza dell’amore disinteressato. Non aveva vissuto che per se stesso, per le soddisfazioni e ambizioni personali. Ora, non vedeva tutt’intorno che la rovina di una vita sterile, dura come quelle rocce grigie.

Quella valle era popolata da tanti spiriti che, per quanto possa sembrare strano, erano così assorbiti da se stessi da aver completamente perso la capacità di percepire gli altri. Restavano invisibili gli uni agli altri, fino al momento in cui non affiorava in loro il pensiero e il desiderio di fare qualcosa per qualcuno. Allora diventavano coscienti di chi li circondava e, facendo degli sforzi per aiutarli, miglioravano la loro situazione. In questo modo, la loro affettività rachitica cominciava a sbocciare, finché quella brumosa vallata d’egoismo non poteva più tenerli prigionieri.

Al di là di questa valle raggiunsi un grande deserto, secco e sabbioso, nel quale però spuntava una pur rada vegetazione. I suoi abitanti avevano cercato di preparare dei piccoli giardini attorno alle case che, in alcuni luoghi, erano così vicine da formare villaggi e piccole città. Ma avevano tutte lo stesso aspetto avvilente e di abbandono causato dalla povertà spirituale dei loro abitanti.

Anche quello era un paese di egoismo e cupidigia, ma non di totale indifferenza verso gli altri presente nella Valle Grigia descritta in precedenza. Gli abitanti di questo luogo ricercavano un minimo contatto con i loro vicini; molti provenivano dalla Valle Grigia, mentre altri arrivavano direttamente dalla terra fisica. Lottavano ora, povere anime, per elevarsi un po’ più in alto; ed ogni volta che facevano uno sforzo per trionfare sull’egoismo, il suolo arido attorno alla loro casa cominciava a lasciar spuntare delicati fili d’erba e radi cespugli.

Le case di questo paese erano nello stesso stato pietoso, così come i loro abitanti erano cenciosi, avviliti e miserabili, simili a mendicanti e vagabondi! Eppure, molti di loro erano stati sulla terra tra le personalità più ricche ed importanti, e vi avevano goduto di tutto il lusso possibile. Ma avevano utilizzato la loro ricchezza solo per il benessere e il divertimento personali, lasciando agli altri le briciole della propria fortuna, senza prestar loro la minima attenzione. Ora si trovavano nel Paese del Crepuscolo, poveri come mendicanti, perché non avevano acquisito la minima ricchezza d’animo. Le ricchezze spirituali, del resto, possono essere guadagnate nella vita terrena sia dai ricchi monarchi che dai più poveri mendicanti, e coloro che ne sono sprovvisti - che siano i più grandi o i più piccoli della terra - debbono soggiornare in questo luogo, quando arrivano nel mondo spirituale.

Qui, alcuni litigavano e si lamentavano di non essere trattati come meritavano, appellandosi alla posizione che avevano avuto nella vita terrena. Incolpavano gli altri, come fossero i responsabili del loro decadimento, piuttosto che se stessi. Si giustificavano con mille scuse e falsi pretesti, quando incontravano qualcuno che volesse ascoltare le loro lamentele. Altri cercavano di ricostituire la propria vita passata, tentando di convincere eventuali complici del fatto che avevano trovato il metodo per metter fine alla loro vita scomoda complottando contro altre persone. Tramavano piani e cercavano di realizzarli, dandosi da fare per far fallire i piani degli altri. Così scorreva la vita in quel Paese senza riposo. A chi era disposto ad ascoltarmi, offrivo delle parole di speranza, qualche pensiero di incoraggiamento, o consigli utili per trovare la via del bene e uscire da quel luogo.

Passai poi nel Paese degli Avari, concepito solo per loro, perché poche persone hanno in simpatia gli avari, tranne chi condivide lo stesso irresistibile desiderio di accumulare ricchezze. Qui, si trovavano degli esseri scuri e curvi, con le dita adunche. Simili a rapaci, passavano il loro tempo a grattare il suolo nero alla ricerca di grani d’oro che, in effetti, talvolta trovavano. Quando accadeva, facevano scivolare il granello d’oro in una borsetta che nascondevano poi nel petto, perché ciò che consideravano la cosa più preziosa restasse il più vicino possibile al loro cuore. In genere restavano soli, come creature selvagge, e si allontanavano istintivamente dagli altri nel timore di vedersi derubati del loro tesoro.

Non trovai nulla da fare in questo paese. Solo un uomo prestò orecchio per qualche istante alle mie parole, prima di dedicarsi nuovamente al suo vizio, osservandomi con sospetto fin quando non mi fui allontanato, temendo che scoprissi quanto oro aveva accumulato. Gli altri erano così assorti nella loro avida ricerca che non erano nemmeno coscienti della mia presenza. Mi affrettai a lasciare il loro triste paese.

Lasciando il Paese degli Avari, discesi in una sfera oscura, che si trovava sotto terra, nel senso che i suoi abitanti si trovavano a un livello spirituale inferiore a quello degli abitanti del piano terrestre. Vi erano condizioni di vita molto simili a quelle del Paese Senza Riposo, ma gli spiriti che lo abitavano avevano un aspetto ancora più degradato. Anche qui, al suolo non si scorgeva la minima traccia di vegetazione, e il cielo era nero quasi come la notte. La luce di quel luogo permetteva agli abitanti di vedere solamente se stessi e coloro che avevano attorno.

Il Paese Senza Riposo era un luogo di litigi, di insoddisfazione, di gelosia; ma qui, si litigava in un modo ancora più violento, ed i combattimenti erano senza pietà. Era il luogo di residenza dei giocatori e degli ubriaconi, degli scommettitori, degli imbroglioni, dei ladri e delle canaglie di ogni tipo. Vi si trovava sia il volgare malvivente dei bassifondi che il suo equivalente delle più alte sfere della società. In questo ambiente risiedevano tutti coloro che un’inclinazione criminale e licenziosa aveva spinto verso l’egoismo e la perversione dei sentimenti.

Vidi anche molti individui che avrebbero potuto vivere una vita spiritualmente più elevata, se le relazioni che avevano intrattenuto con questo tipo di persone sulla terra non fossero state loro fatali, poiché dopo la morte erano stati attirati in questa sinistra sfera dai legami che avevano intessuto sulla terra. È per questa categoria di persone che ero stato inviato, perché esisteva per loro una qualche speranza che il senso del Bene e del Vero non si fosse completamente spento e che una voce che gridava nel deserto della loro caduta potesse essere intesa e potesse condurli verso meravigliose contrade.

Alcune abitazioni di questo oscuro Paese della Miseria erano spaziose, ma tutte avevano lo stesso aspetto lurido, nauseabondo e cadente. Sembravano quelle costruzioni che si vedono a volte in certi quartieri, e che una volta erano residenze eleganti e lussuose, prima di divenire il rifugio del vizio e del crimine.

Vedevo anche immense estensioni di terreni incolti, con alcune case sparse, o forse dovrei dire piuttosto delle miserabili catapecchie. Altrove, vi erano gruppi di case ammassate le une alle altre, copie degradate e sinistre delle vostre città sulla terra. Dappertutto regnavano sporcizia e miseria. Non vi era la minima traccia di purezza, di bellezza o di grazia su cui lo sguardo avrebbe potuto indugiare, in quel paesaggio urbano avvilente, prodotto dalle emanazioni spirituali degli esseri che vi vivevano.

Mi muovevo tra quei miserabili con la mia piccola luce stellata che spandeva attorno a me una piacevole luminosità, e portava una luce di speranza a chi non fosse completamente accecato da passioni egoistiche. Qui e là trovavo dei disgraziati, rannicchiati in un angolo di stanze miserabili, o addossati al muro. Alzavano la testa verso la luce, e ascoltavano le mie parole. Alcuni allora cominciavano a ricercare il cammino del ritorno verso le sfere più alte dalle quali erano caduti a causa dei loro peccati. Giunsi anche ad incitare qualcuno ad unirsi al mio lavoro e ad aiutare gli altri. In genere però erano in grado di pensare solo alla loro miseria e sperare in un ambiente migliore. Per quanto debole ciò potesse sembrare, questo era un primo passo, che avrebbe potuto condurli forse al secondo: il desiderio di aiutare il prossimo.

Una volta, durante uno dei miei spostamenti attraverso questo paese, mi trovai nel territorio di una grande città situata in mezzo a una vasta piana desolata. Il suolo era nero e secco, simile ai depositi di ceneri e di scorie che si trovano vicino alle fonderie. Ero in mezzo a delle rovine, ai margini della città, quando sentii provenire da una casa i rumori di un litigio. La curiosità mi spinse ad andare a vedere all’interno, pensando che forse avrei potuto trovare l’occasione di proteggere qualcuno.

La costruzione nella quale entrai sembrava più un granaio che una casa. Un grande e rozzo tavolo occupava tutta la lunghezza della stanza, e attorno ad esso una dozzina d’uomini erano seduti su piccole sedie di legno. Ma che uomini! È quasi un insulto per il genere umano definirli in questo modo. Sembravano più degli scimmioni: i tratti grossolani, gonfi, deformi, del loro viso, davano loro l’aspetto di maiali, lupi, o uccelli da preda. È impossibile descrivere quelle facce, quei corpi deformi, quelle membra contorte. Con i loro vestiti sgualciti e consumati, simili a quelli della loro vita terrena, offrivano uno spettacolo grottesco.

Alcuni indossavano abiti dei secoli passati, altri avevano vestiti più recenti, ma tutti quegli indumenti erano ridotti a cenci disgustosi. I capelli spettinati cadevano in disordine attorno alla testa, i loro occhi bruciavano di passione, cattiveria e crudeltà. Credevo di trovarmi veramente negli abissi più profondi dell’Inferno, ma devo dire che in seguito ho visto una regione ancora più oscura ed orribile, abitata da esseri in confronto ai quali questi sarebbero considerati persone distinte. Più avanti, quando parlerò di quella parte del mio viaggio nei luoghi più bassi dell’Inferno, descriverò meglio quelle vili creature.

Gli spiriti che vedevo riuniti in quella casa si disputavano un sacchetto di monete che si trovava sul tavolo. Il sacchetto era stato trovato da uno di loro, che l’aveva offerto alla compagnia come posta per delle scommesse. Il litigio aveva avuto origine dal fatto che ognuno voleva il sacchetto solo per sé. Se ne sarebbe impossessato il più forte, e si minacciavano a vicenda in modo violento. Colui che aveva trovato il denaro, che non era altro che la controparte spirituale del denaro terreno, era un giovane di meno di trent’anni, che non aveva un aspetto orribile come gli altri. Se le passioni basse non avessero tanto scavato il suo viso, si sarebbe potuto credere che quella compagnia di depravati non fosse il suo ambiente. Sosteneva che il denaro fosse di sua proprietà, e dal momento che lo aveva regalato perché lo si potesse giocare onestamente, non sopportava che glielo prendessero con la forza.

Pensavo che non ci fosse niente da fare per me in quella stanza e mi stavo allontanando, quando scoppiò un coro di grida indignate. Ero appena arrivato vicino ad un’altra casa abbandonata che vidi tutta quella masnada di selvaggi correre a precipizio battendosi. Erano alla rincorsa del giovane che aveva ripreso il sacchetto con il denaro. Lo colpivano e lo inseguivano, cercando di strappargli il sacchetto. Uno di loro ci riuscì, e tutti gli altri si gettarono su di lui, ma il giovane riuscì a svincolarsi ed a correre verso di me. In quel momento, si udirono delle urla selvagge. Si erano di nuovo messi all’inseguimento del fuggiasco per picchiarlo, perché il sacchetto non conteneva ora che delle pietre. Simile all’oro dei racconti delle fate, il contenuto del sacco si era mutato non in foglie secche ma in ciottoli.

Il povero ragazzo si aggrappava a me, supplicandomi di proteggerlo da quei demoni, mentre tutta la banda infuriata si precipitava verso di noi. Afferrai il giovane, mi diressi verso un edificio vuoto e chiusi la porta dietro di me. Mi ci addossai per tenerla ferma. Dio mio, come gridavano, picchiavano sul legno, bestemmiavano, cercando di forzarla! Per fermarli, raccolsi tutte le mie forze, sia del mio spirito che del mio corpo spirituale. Non sapevo allora che forze invisibili mi aiutavano a tenere la porta chiusa. Infine, capendo che non sarebbero riusciti ad abbatterla, gli assalitori si allontanarono, delusi e furiosi, per andare a litigare da qualche altra parte.

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