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Capitolo 2 - Disperazione

«Morto! Morto!» urlai terrorizzato. «Ah, No! Non può essere! I morti non sentono più niente, diventano polvere. Imputridiscono e per loro tutto è finito. Non hanno più nessuna coscienza. È possibile che tutta la mia filosofia sia falsa? Che l’anima dei morti continui a vivere, anche quando i corpi si dissolvono?».

È vero che i preti della mia chiesa mi avevano insegnato queste cose, ma li avevo derisi, definendoli pazzi, ciechi, furfanti che, per un vantaggio personale, affermavano che gli esseri umani continuano a vivere, ma che possono entrare in cielo da una porta di cui solo loro possiedono la chiave. E questa chiave, dicevano, sarebbe stata utilizzata solo per chi prima avesse ben pagato. Solo per denaro i preti dicevano le messe per le anime dei defunti. Trasformavano le donne impressionabili e gli uomini deboli di spirito in sciocchi impauriti da quelle spaventose descrizioni dell’Inferno e del Purgatorio, che sacrificavano tutto per acquistare nell’aldilà un illusorio privilegio. Non volevo avere niente a che fare con quella gente.

Conoscevo troppo bene quei preti e la loro vita privata per dar fede alle vane promesse di un perdono che non potevano concedere. Quando la morte sarebbe arrivata, dicevo, l’avrei guardata in faccia, col coraggio di chi sa che è l’annullamento totale. Perché, a chi si sarebbe dovuto credere, se non si doveva prestar fede a quei preti? Chi poteva dire se dopo la morte vi fosse un futuro, o anche un Dio? Non di certo i vivi, perché non possono che elaborare delle teorie o fare una scommessa. Non di certo i morti, perché nessuno era tornato per darci delle notizie sull’aldilà. Ed io ora mi trovavo proprio vicino alla mia tomba, guardavo la mia amata mentre vi deponeva dei fiori e sentivo che mi piangeva come si piange un morto. Mentre mi avvicinavo quel monticello di terra divenne trasparente ai miei occhi e, più in basso, vidi una bara con il mio nome e la data della mia morte. Attraverso la bara, vidi un viso pallido ed immobile che riconobbi come il mio. Notai con orrore che quel corpo aveva già cominciato a decomporsi, e offriva uno spettacolo ripugnante. La sua bellezza era svanita. Presto, nessuno sarebbe più stato in grado di riconoscerne i tratti. Ed io ero là, ad osservarlo, pienamente cosciente, e poi ad osservare me! Palpavo tutte le mie membra, seguivo con le dita i tratti familiari del mio viso, e sapevo che ero contemporaneamente morto e vivo.

Se quella era la morte, allora i preti dopotutto avevano ragione. I morti vivevano. Ma dove, e in quale stato? Quelle tenebre erano l’Inferno? Per me, i preti non avevano previsto nessun altro luogo! Mi ero talmente allontanato dal loro grembo, che nemmeno in purgatorio mi avevano trovato un posto. Avevo rotto ogni legame con la loro istituzione che disprezzavo. Dal momento che quell’istituzione tollerava la vita indegna e vanitosa dei suoi più alti dignitari, non aveva ai miei occhi alcun diritto di ergersi a direttrice delle coscienze. C’erano sicuramente delle persone buone nella Chiesa, ma vi era anche una folla di persone spregevoli, la cui vita vergognosa era oggetto di pettegolezzo. E la Chiesa, che pretendeva di dare l’esempio e di detenere la Verità, non espelleva quegli uomini impuri? No! Li promuoveva anche ai posti onorifici più elevati.

Chi ha vissuto nel mio paese e ha potuto osservare lo spaventoso abuso che la Chiesa fa della propria potenza, non si stupirà del fatto che il popolo desideri finalmente scuotersi da un tale giogo. Ricordate le condizioni sociali e politiche dell’Italia della prima metà di questo secolo [il diciannovesimo, N.d.T.] e il sostegno della Chiesa di Roma agli oppressori di questa nazione? Vi era in Italia una tale infiltrazione di spie - preti e laici - che si aveva paura di mormorare alle persone più vicine ciò che si pensava veramente, per paura che lo riferissero al prete, e il prete al governo. Le prigioni erano gremite, e molti prigionieri avevano commesso il solo crimine di amare il loro paese e di odiare l’oppressore.

Chi conosce questa parte della storia non si stupirà dell’indignazione appassionata che covava nel cuore dei figli d’Italia, e distruggeva perfino la loro fede in Dio e nel suo preteso vicario sulla Terra, nonché le loro speranze di immortalità, dal momento che quest’ultima non poteva essere raggiunta se non attraverso la sottomissione ai decreti della Chiesa. Era questo il mio atteggiamento di rivolta e disprezzo verso la Chiesa in cui ero stato battezzato e, se i suoi anatemi avevano il potere di inviare qualcuno all’Inferno, certamente mi ci trovavo.

Meditando su queste cose, guardai di nuovo Bianca, e mi dissi che non sarebbe mai potuta venire all’Inferno, nemmeno al solo scopo di incontrarmi. Sembrava sicuramente mortale, e se si inginocchiava sulla mia tomba voleva dire che era ancora sulla Terra. I morti non lasciavano la Terra? Continuavano semplicemente a volteggiare sul teatro della loro esistenza terrestre?

Mentre mi venivano alla mente questi pensieri, tentavo di avvicinarmi ancora di più a colei che amavo tanto, ma non ci riuscivo. Un’invisibile barriera sembrava circondarla e mi impediva di toccarla, inoltre mi sentivo come trattenuto da qualcosa. Tutti i miei sforzi di avvicinarmi a lei erano vani. Allora le parlai, la chiamai per nome, le dissi che ero là, conscio della sua presenza, che ero sempre io, ma morto. Sembrava che lei non mi sentisse e non mi vedesse. Piangeva dolcemente, e sistemava delicatamente i fiori, dicendo a se stessa che dal momento che avevo amato talmente tanto i fiori avrei saputo sicuramente che ne aveva deposti alcuni per me. Le parlai di nuovo più forte che potei, ma restò sorda alla mia voce. Si passò semplicemente la mano sulla fronte, con l’aria sognante. Poi, lentamente, si allontanò.

Cercai di seguirla con tutte le mie forze. Invano! Potevo allontanarmi dalla mia tomba e dal mio corpo solo di pochi passi. Presto capii il perché: una catena, simile a un filo di seta nera, poco più spesso di un filo di ragnatela, mi legava al corpo. Mi era impossibile rompere quel filo. Se mi spostavo il filo si allungava come un elastico e poi mi trascinava indietro.

La cosa peggiore era che la corruzione di quel corpo cominciava a farsi sentire nel mio spirito così come, sulla terra, un membro sofferente fa soffrire tutto il corpo. L’orrore invase la mia anima. Allora la voce di un essere sublime mi parlò nella notte:

«Tu hai amato il tuo corpo più della tua anima. Adesso vedi come torna alla polvere, e riconosci com’è ciò che tu idolatravi, ciò che adoravi, ciò a cui eri tanto attaccato. Riconosci quanto era effimero, come è divenuto senza valore. Guarda ora il tuo corpo spirituale e vedi quanto lo hai affamato, incatenato e trascurato a vantaggio delle gioie del corpo fisico. Vedi come la vita terrena ha reso la tua anima – che è immortale e divina – miserabile, disgustosa e sfigurata».

Poi, come se davanti a me ci fosse uno specchio, mi vidi. Quale terrore! Non c’era dubbio, ero proprio io. Ma ero spaventosamente cambiato, così repellente, volgare, ripugnante, in tutti i miei tratti. Anche la mia figura era deforme. Arretrai, sconvolto dalle mie sembianze. Implorai che la terra si aprisse sotto i miei piedi e mi nascondesse agli occhi di tutti per sempre. Mai più avrei potuto chiamare la mia amata e desiderare che potesse vedermi. Sarebbe stato meglio, molto meglio, che pensasse a me come ad una persona morta, scomparsa per sempre, che mi serbasse nella sua memoria come ero stato sulla terra, piuttosto che conoscere la mia orribile trasformazione e quale abominevole cosa fosse il mio vero essere interiore.

Ahimè! Ahimè! La mia disperazione ed il mio tormento erano indescrivibili. Travolto dal furore, urlavo come un pazzo, mi colpivo, mi tiravo i capelli. Poi, esaurita la rabbia, persi conoscenza.

Quando mi svegliai di nuovo, fu a causa della presenza di Bianca. Aveva portato altri fiori, e mi rivolgeva dolci e tenere parole mentre li sistemava sulla tomba. Ma non cercai più di rendermi visibile a lei. No, restai dietro di lei per nascondermi. Il mio cuore si era indurito, anche verso di lei. Mi dissi: «Meglio che rimpianga colui che l’ha lasciata, piuttosto che sappia che vive ancora», e la lasciai andare. Ma si era appena allontanata che la chiamai con tutte le mie forze implorandola di ritornare, piuttosto che lasciarmi lì senza la speranza di rivederla anche se, così facendo, avrebbe conosciuto il mio orribile stato. Non mi sentì, ma intuì il mio richiamo; la vidi arrestarsi ad una certa distanza e fare un mezzo giro su se stessa, come per tornare indietro. Poi si allontanò e scomparve.

Tornò a trovarmi ancora due o tre volte. Ogni volta sentivo la stessa reticenza ad avvicinarla; poi, al momento della sua partenza, sentivo lo stesso terribile sentimento di abbandono ed il desiderio intenso di tenerla vicino a me. Ma non la chiamavo più. Ormai sapevo che i morti chiamano invano, perché i vivi non li sentono. Per tutti ero morto, salvo che per me stesso, solamente con un destino insopportabile. Sapevo adesso che la morte non è un sonno senza fine, un oblio tranquillo. Avrei preferito mille volte che fosse così. Nella mia disperazione, pregai perché un tale completo oblio mi fosse accordato, pur sapendo che così non sarebbe stato. L’essere umano è un’anima immortale e, nel bene e nel male, nella salvezza o nella dannazione, vive eternamente. La sua forma terrena si decompone e torna alla polvere, ma lo spirito, che è il vero individuo, non conosce dissoluzione né oblio.

Giorno dopo giorno – perché sentivo il passare del tempo – il mio spirito si risvegliava. Rivedevo gli avvenimenti della mia vita sfilare davanti a me, sempre più chiaramente. All’inizio erano appena distinguibili, poi erano sempre più distinti e più chiari. E piegavo il capo pieno di vergogna e di angoscia, sentendo che era troppo tardi per cancellare anche uno solo di quegli atti.

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