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Capitolo 13 - Il benvenuto nel Paese dell’Alba

Quando ripresi conoscenza per la seconda volta nel mondo spirituale dopo un sonno simile alla morte, mi trovai in un ambiente molto più gradevole. Almeno qui c’era la luce, e anche se fioca come quella di uno scialbo giorno senza sole, era pur sempre un piacevole cambiamento, dopo la notte e la penombra deprimenti in cui avevo vissuto.

Riposavo su un letto con il materasso di piume, in una piccola e graziosa stanza. Una grande finestra davanti al letto si apriva su un vasto paesaggio di colline e montagne. Non si vedevano né alberi, né cespugli, né tantomeno fiori, salvo alcuni molto semplici, come delle erbe fiorite che spuntavano qua e là. Purtuttavia, questa misera vegetazione mi sollevava l’animo. Invece del nudo suolo del Paese del Crepuscolo, vedevo qui un tappeto d’erba e di felci.

Questa regione si chiama il «Paese dell’Alba». La luce sembra proprio quella del levar del sole, prima che l’astro riscaldi la terra con i suoi raggi. Il colore del cielo è grigio bluastro, con piccole nubi bianche che si rincorrono all’orizzonte. È un errore immaginare che nel mondo spirituale non esistano le nuvole e il sole. Sarebbe, per tutti gli esseri umani, un’immensa perdita l’essere privati, dopo la loro morte, di elementi così belli. Io, che ne ero stato privato per un lungo periodo, so di cosa parlo.

Anche se la stanza nella quale mi trovavo non era affatto lussuosa, trasmetteva una piacevole sensazione di accoglienza, e mi ricordava l’interno di una casa di campagna sulla terra. Non vi era nulla di particolarmente bello, ma conteneva tutto il necessario, e non dava l’impressione della nuda prigione che era stata il mio precedente alloggio. Vi erano alcune immagini che rappresentavano degli episodi piacevoli della mia vita terrestre e delle scene della mia vita spirituale, e con somma gioia scoprii che vi erano anche i miei tesori: il ritratto-specchio di Bianca, la sua lettera e la rosa. Interruppi la mia esplorazione e gettai lo sguardo verso lo specchio per vedere cosa facesse la mia amata. Dormiva; il suo viso sorrideva, come se durante il sonno qualcuno le avesse detto cosa mi era accaduto. Poi guardai fuori della finestra verso la lunga fila di colline che si dispiegava davanti a me, senza alberi, ma ricoperte d’erbe e di felci. Guardai a lungo quel paesaggio, così simile ed allo stesso tempo così diverso da un paesaggio terrestre, così spoglio eppure così piacevole! I miei occhi affaticati dalle sfere basse nelle quali avevo soggiornato, riposavano con gioia su quello spettacolo. Il pensiero di essere nato a una nuova vita mi riempiva di una riconoscenza profonda e inesprimibile.

Voltandomi scoprii uno specchio vicino alla finestra, e guardai per vedere se in me fosse sopravvenuto qualche mutamento. Feci un salto indietro con un grido di gioiosa sorpresa. Era possibile? Era proprio il mio viso quello che vedevo? Guardai ancora. Ero veramente io? Ero giovane! Sembrava avessi al massimo trentacinque anni, con i tratti che avevo sulla terra nel fiore dei miei anni. Nel Paese del crepuscolo, il mio aspetto era così vecchio e miserabile che evitavo sempre di guardarmi. Ero infinitamente più brutto di quanto mai avrei potuto esserlo sulla terra, anche se avessi vissuto cento anni. Adesso ero giovane; guardai la mia mano, era fresca come il mio viso. Ero felice di vedermi di nuovo giovane, nel fiore dell’età, anche se non proprio identico a come ero stato sulla terra: c’era nel mio sguardo una certa tristezza, qualcosa nei miei occhi che indicava la sofferenza che avevo attraversato. Sapevo che non avrei più potuto provare la gioia sfrenata e spensierata della gioventù, perché non potevo ritornare ad essere come ero stato.

Il ricordo amaro della mia vita passata riemerse in me, smorzando il mio entusiasmo. Provavo di nuovo rimorso per i miei peccati, un rimorso che gettava la sua ombra sulla gioia di quel risveglio.

Mai, mai la vita passata avrebbe potuto essere cancellata in modo che non ne restasse alcuna traccia. Ho saputo che anche spiriti molto più avanzati di quanto non fossi io a quel tempo, portano ancora le cicatrici dei loro peccati e delle loro sofferenze passate. Queste stigmate scompariranno lentamente, man mano che lo spirito avanza nell’eternità. A me era stata accordata una grande gioia, la realizzazione delle mie speranze; nonostante ciò, l’ombra del passato, col suo mantello nero, pesava sulla felicità di quest’ora.

Mentre riflettevo sulla mia trasformazione, si aprì la porta ed entrò uno spirito. Come me in quel momento, era vestito con un lungo abito blu scuro con bordi dorati, e portava sulla manica il simbolo del nostro ordine. Era venuto per invitarmi a un banchetto celebrato in onore di chi, come me, era appena arrivato dalle basse sfere.

«Tutto è semplice qui» disse, «anche le nostre feste. Ma il sale dell’amicizia darà sapore alla nostra gioia, e il vino dell’amore ci darà vigore. Oggi siete nostri ospiti, e vi aspettiamo tutti per dare il benvenuto a voi, che avete sostenuto una dura battaglia e avete raggiunto un’importante vittoria».

Mi prese per mano e mi condusse in una grande sala munita di grandi finestre, che guardava verso le montagne e verso un lago tranquillo. Grandi tavoli, intorno ai quali vi erano delle sedie per noi, erano apparecchiati per un pranzo di festa. Vi erano cinque o seicento fratelli appena arrivati come me, e circa mille altri che si trovavano in quella sfera da qualche tempo. Questi passavano dall’uno all’altro per presentarsi e per salutare i nuovi venuti. A volte qualcuno riconosceva un vecchio amico, un compagno, o una persona a cui aveva prestato aiuto o da cui lo aveva ricevuto nelle sfere inferiori. Tutti aspettavano l’arrivo del presidente della Confraternita, colui che veniva chiamato il Gran Maestro.

Improvvisamente si aprirono le grandi porte a una delle estremità della sala, ed entrò una processione. Avanzava alla sua testa uno spirito magnifico e maestoso, che indossava un abito dello stesso colore blu che si vede nei dipinti della Vergine Maria. Il vestito e il cappuccio che gli ricadeva sulle spalle erano foderati di bianco e bordati di giallo. Sulla manica era ricamato il simbolo della Confraternita della Speranza. Un centinaio di giovani vestiti di blu e bianco, con in mano dei rami d’alloro, seguivano il Gran Maestro.

All’estremità sopraelevata della stanza si trovava una magnifica poltrona con un baldacchino bianco, blu e giallo, sulla quale prese posto il Gran Maestro, dopo averci salutato. I giovani si misero a semicerchio dietro di lui. Dopo aver offerto a nome di tutti noi una preghiera di gratitudine a Dio Onnipotente, il Maestro ci parlò:

«Tutti noi porgiamo il nostro benvenuto ai pellegrini che devono, per un certo tempo, trovare riposo, amicizia e pace nella nostra Casa della Speranza. Cari fratelli appena arrivati, vi onoriamo in quanto vincitori nella lotta contro l’egoismo e il peccato. Ricevete quindi, quali membri della nostra confraternita, le nostre felicitazioni per la vostra vittoria. Possa la grande felicità che ora provate esservi di sprone, nel nome dell’amore fraterno, a tendere la mano agli sfortunati che avete lasciato nelle tenebre della vita terrena e sul Piano terrestre. In futuro festeggerete delle vittorie ancora più importanti, se cercherete di trasmettere sempre più l’amore perfetto della nostra grande confraternita, i cui Maestri più gloriosi sono in Cielo e i cui membri più umili lottano ancora con il peccato nelle sfere più basse.

La nostra grande Confraternita deve dispiegarsi come una catena senza interruzioni dai Cieli fino alla terra, fin quando quel pianeta ospiterà la vita fisica. Dovete sempre ricordarvi che siete gli anelli di quella grande catena, collaboratori degli angeli e fratelli di coloro che sono i più oppressi. Vi invito ora a ricevere e a conservare questo ramo d’alloro che mai si seccherà, e che dovrà ornare le vostre fronti vittoriose. A nome del Signore supremo dell’Universo, a nome di tutti gli angeli e a nome della nostra Confraternita, incorono ora ognuno di voi e vi consacro alla Luce, alla Speranza e alla Verità».

Al suo segnale, commossi dall’onore che ci veniva fatto, e da queste parole piene di amore, i nuovi venuti gli si avvicinarono. Tutti ci inginocchiammo davanti al Gran Maestro per ricevere l’alloro che i discepoli gli passavano e che lui stesso poneva sul nostro capo.

Quando l’ultimo tra noi ebbe ricevuto la corona, fragorose grida di gioia si alzarono dai fratelli. Cantammo un magnifico inno di lode le cui parole e la cui melodia erano così belle che vorrei tanto farvele sentire. Quando tutto finì, ognuno di noi fu condotto al proprio posto da un fratello e il banchetto ebbe inizio.

Vi chiederete come un tale banchetto possa essersi svolto nel mondo spirituale. Ma sulla terra, il vostro piacere durante una festa, si riduce forse al cibo che mangiate e al vino che bevete? Ogni festa, non porta forse anche delle gioie di natura spirituale? Inoltre, se credete che gli spiriti non abbiano bisogno di mangiare e bere, siete in errore! Noi abbiamo bisogno di cibo e mangiamo, anche se il nostro nutrimento non è formato da sostanze materiali come le vostre. Da noi non ci sono carni o cose simili, tranne che nelle sfere più basse, in cui gli spiriti legati alla terra soddisfano attraverso le persone in vita i loro rudi appetiti.

In questa seconda sfera, invece, si trovano i frutti più deliziosi. Sono translucidi e fondono in bocca quando li si consuma. C’è anche un vino simile ad un nettare frizzante, ma che non rende ubriachi e non spinge all’abuso. Non vi è nulla qui che possa soddisfare un appetito rozzo, ma solo cibi squisiti e pane leggero, e devo confessare che non ho mai apprezzato nulla quanto quei frutti magnifici, che erano anche i primi che vedevo nel mondo spirituale. Mi spiegarono che erano proprio i frutti del nostro lavoro, cresciuti nel mondo spirituale grazie ai nostri sforzi al servizio degli altri.

Dopo che quel banchetto ebbe fine, ci trattenemmo ancora, poi vi fu un altro discorso, e un canto di ringraziamento al quale tutti partecipammo pose fine alla festa. Poi ci separammo; alcuni andarono sulla terra a visitare degli amici e ad annunciare loro, per quanto possibile, il gioioso avvenimento che stavamo vivendo. Molti di noi erano purtroppo pianti come anime perse, private della Salvezza perché morti nel peccato. Soffrivamo del fatto di non riuscire a far pervenire a questi amici della terra il messaggio che ormai vivevamo in una felice speranza.

Altri fratelli andarono a parlare con nuovi spiriti amici. In quanto a me, mi affrettai a tornare sulla Terra per portare a Bianca la buona notizia della mia crescita. La trovai sul punto di uscire per andare a una di quelle riunioni di materializzazione. Tremando di gioia e di impazienza la seguii, perché ora sapevo che non avevo più alcun motivo per non mostrare il mio volto a colei che era stata così fedele nell’aspettarmi. Vedermi non sarebbe più stato un dolore per lei.

Che serata meravigliosa fu quella! Restai sempre vicino a lei. Continuavo a toccarla; non ero più l’oscura sagoma velata che nascondeva il viso, ma ero lì orgoglioso del mio corpo resuscitato e del mio nuovo abito. I ricordi del passato non erano più lì a causarmi la vergogna e il dolore che avevo conosciuti. Mostrai il mio viso ai suoi occhi meravigliati, ma lei non mi riconobbe subito: mi ricordava come mi aveva conosciuto sulla Terra, con il volto preoccupato e la fronte rugosa; il mio viso ringiovanito le era estraneo. Mi guardò, stupita, ma sono sicuro che, se avessi potuto mantenere le particelle materiali della mia forma ancora per qualche momento, mi avrebbe riconosciuto, e il suo stupore avrebbe lasciato posto alla gioia. Purtroppo, ben presto sentii la mia forma materializzata sciogliersi come la cera, e dovetti ritirarmi. Al momento di andarsene, sentii che diceva: «Aveva l’aspetto che il mio amico avrebbe potuto avere da giovane. Era proprio simile a lui, e allo stesso tempo molto diverso. Non so cosa pensare».

Passando dietro di lei, le mormorai all’orecchio che ero proprio io e non un altro. Sentì il mio sussurro, sorrise e mi rispose che aveva sentito. Provai una gioia incontenibile, e questo fu il coronamento di quella giornata memorabile.

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