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Capitolo 21 - Il fuoco dell’Inferno - Uno spirito vendicativo

Seguivo uno stretto sentiero, certo che mi avrebbe condotto là dove il mio aiuto era atteso. Dopo una breve marcia, arrivai ai piedi di una montagna nera, e vidi l’entrata di una immensa caverna. Spaventosi rettili si attorcigliavano sulle pareti, e strisciavano fino ai miei piedi. Grappoli vischiosi di vegetali parassiti pendevano dal soffitto, a guisa di ghirlande. Un pantano di acqua nera e stagnante copriva il suolo. Volevo tornare indietro, ma una voce mi pregò di proseguire. Entrai, e dopo aver costeggiato il pantano, mi trovai di fronte all’ingresso di uno stretto passaggio nella roccia. Lo oltrepassai, e subito dopo una svolta vidi la luce rossa di un fuoco che illuminava la parete. Delle ombre, come fantasmi, attraversavano in un senso e nell’altro la caverna. Poco dopo giunsi alla fine del tunnel. Vidi di fronte a me una specie di antro a volta, con un grande fuoco al centro. Il soffitto era in parte illuminato dalle fiamme, ma era anche ricoperto a tratti da un denso fumo. Un gruppo di creature diaboliche, che sembravano incarnare i dèmoni dell’Inferno, danzavano attorno al fuoco. Ridendo e levando stridule grida, lo attizzavano servendosi di lunghe picche, e danzavano come selvaggi. Più lontano, una dozzina di miseri spiriti scuri erano accovacciati in un angolo. I dèmoni si lanciavano a tratti verso quegli esseri spaventati, minacciavano di afferrarli e gettarli nelle fiamme, ma dopo aver emesso delle grida rabbiose si ritiravano.

Ben presto mi accorsi di essere invisibile a quegli esseri, e tale scoperta mi indusse ad avvicinarmi a loro. Con orrore vidi che il fuoco era composto da corpi di uomini e donne vivi. Si torcevano tra le fiamme, ed i dèmoni li gettavano in aria a colpi di picche. Sconvolto da questa scoperta, gridai che volevo sapere se era o meno un’illusione. La stessa voce misteriosa che mi aveva parlato spesso durante le mie peregrinazioni mi disse:

«Figlio mio, quelle che vedi sono anime viventi, che durante la loro vita terrena hanno condannato centinaia di loro simili a questa stessa terribile morte, senza provare pietà e senza pentirsi del loro gesto. Le stesse crudeltà che hanno compiuto, hanno acceso nel cuore delle loro innumerevoli vittime un fuoco di odio senza quartiere. Quest’odio ha formato, nel Mondo Spirituale, le fiamme infuocate che ora consumano quei carnefici, e questi fuochi sono mantenuti vivi dalle atrocità inaudite commesse da coloro che le fiamme divorano. Non vi è qui nessuna sofferenza che non sia stata sopportata in forma cento volte più profonda dalle numerose ed impotenti vittime di questi spiriti. Usciranno dal fuoco quando la sofferenza risveglierà in loro per la prima volta una qualche pietà per le loro vittime. Allora, qualcuno tenderà loro la mano per aiutarli a progredire, e verrà data loro la possibilità di praticare quella carità di cui hanno mancato nella vita sulla Terra.

Non ti addolorare per una tale retribuzione! I cuori di questi spiriti sono così duri e crudeli che solo la sofferenza che subiscono personalmente può suscitare in loro la pietà verso gli altri. Dal momento stesso in cui la loro esistenza terrena è terminata, non hanno pensato ad altro che a far soffrire coloro che erano più deboli di loro. E ciò fino a quando tutto l’odio che hanno provocato si è concentrato in un torrente che li ha infine inghiottiti. In realtà, queste fiamme non sono materiali, anche se così appaiono ai tuoi occhi come ai loro. Nel Mondo Spirituale, ciò che è mentale è anche oggettivo: l’odio furioso o la passione bruciante si manifestano come un fuoco reale. Adesso prova a seguire uno di questi spiriti, e vedrai con i tuoi occhi che quella che sembra una crudele ingiustizia non è in realtà che un atto di carità mascherato. Guarda ora: i loro vizi si consumano in quel fuoco, e ciò permetterà loro infine di lasciare questa caverna per andare verso la pianura».

Nello stesso istante in cui la voce tacque, le fiamme si spensero. Non ne rimase che un pallido lucore fosforescente e bluastro, lasciando la caverna nell’oscurità quasi completa. Vidi in quel momento le forme degli spiriti sollevarsi dalle ceneri ed allontanarsi da quel luogo. Li seguii, ed uno di essi si separò dagli altri, dirigendosi verso un abitato vicino, che somigliava ad una antica città spagnola delle Indie Occidentali o dell’America del Sud. Nelle strade vagavano degli indi, degli spagnoli e degli uomini di nazionalità diverse.

Seguii lo spirito per varie stradine, finché non arrivò a un grande palazzo che mi parve un monastero della compagnia dei Gesuiti, proprio coloro che avevano contribuito a colonizzare il paese imponendo ai poveri indigeni la religione cattolica romana, in un’epoca in cui la persecuzione religiosa era ritenuta una prova di fervore da parte della maggior parte delle confessioni. Mi fermai per osservare lo spirito, ed in quel momento ebbi la visione del modo in cui si era svolta la sua vita terrestre.

Lo vidi come un dirigente del suo ordine religioso, che giudicava i poveri indi e gli eretici che gli venivano condotti. Vidi che ne condannava centinaia alla tortura ed al rogo, con la motivazione che rigettavano il suo insegnamento. Opprimeva tutti coloro che non erano abbastanza potenti da potergli resistere, e estorceva loro delle quantità enormi di gioielli e d’oro per se stesso e per il suo ordine. Quando qualcuno si opponeva alle sue richieste, lo faceva arrestare e gettare in prigione senza processo, poi lo faceva torturare e bruciare. Vidi in lui una sete insaziabile di ricchezza e di potere, accompagnata da un vero e proprio desiderio di nutrirsi della sofferenza delle sue vittime. Seppi, come se leggessi nel suo animo, che la sua religione non era per lui altro che una maschera, un comodo mezzo per poter estorcere ricchezze e soddisfare il suo desiderio di potere.

Poi vidi la piazza principale di quella città fiammeggiare di cento fuochi come fosse una immensa fornace. Una moltitudine di indigeni indifesi e terrorizzati fu gettata nel fuoco, con i piedi e le mani legate. Le loro grida di agonia salivano verso il Cielo, mentre quel tiranno e i suoi vili complici recitavano le loro false preghiere ed elevavano la Santa Croce, profanandola con le loro mani empie, le loro vite piene di odio e di crudeltà, la loro avidità. Vidi che questi orrori venivano perpetrati nel nome della Chiesa del Cristo, di Colui che, predicando la carità, era venuto ad annunciare che Dio è Amore! Ma l’uomo che si faceva chiamare ministro del Cristo non aveva un’oncia di pietà per le sue sfortunate vittime; pensava che solo quello spettacolo avrebbe infuso il terrore nelle altre tribù indie, e le avrebbe convinte a dargli più oro per soddisfare la sua avidità.

La visione mi mostrò in seguito quell’uomo dopo il suo ritorno in Spagna, il suo paese di origine; il modo in cui, come prelato della Chiesa, godeva della fortuna accumulata in modo così disonesto. Il popolo ignorante lo onorava come un santo che aveva traversato il mare ed era giunto nel Nuovo Mondo per piantarvi la bandiera della Chiesa e predicarvi il Vangelo dell’Amore e della Pace, mentre in realtà la sua strada era intrisa di sangue e cosparsa di fuoco.

Dopo quella visione, la mia simpatia nei suoi confronti era scomparsa. Poi, mentre quell’uomo era sul suo letto di morte, vidi i monaci ed i preti recitare una profusione di messe perché la sua anima potesse salire al Cielo! Ma invece del Cielo, furono gli abissi dell’Inferno ad inghiottirlo, a causa delle catene spirituali che si era forgiato da solo durante la sua vita infame. Vidi che era atteso dalla folla delle sue vittime, attirate anch’esse verso il basso dalla loro sete di vendetta e dall’ardente desiderio di fargli pagare il peso delle sofferenze loro e dei loro cari.

Vidi quell’uomo inseguito dagli spiriti che aveva fatto soffrire o – come avevo visto nel Paese di Ghiaccio, con l’uomo nella gabbia – dagli spettri vuoti lasciati da coloro che erano troppo buoni e troppo puri per discendere a reclamare vendetta in quelle terribili tenebre. Al suo arrivo all’Inferno, l’unico sentimento che quell’uomo aveva provato era stato il furore per essere stato privato del potere di cui aveva potuto disporre sulla Terra, e la sua unica preoccupazione era stata quella di trovare il modo di unirsi ad altri spiriti dell’Inferno per continuare ad opprimere e torturare. Se avesse potuto condannare a morte le proprie vittime per una seconda volta, lo avrebbe fatto. Nel suo cuore non vi era né pietà né rimorso, solo la collera dovuta alla propria impotenza. Se solo avesse avuto un pensiero di benevolenza nei confronti di qualcuno, ciò lo avrebbe aiutato a creare una difesa tra lui e gli spiriti vendicativi. In questo caso, le sofferenze non gli sarebbero state risparmiate, ma non avrebbero assunto la forma «fisica» che avevo visto. Ma la sua passione per la crudeltà era così intensa che attizzava sempre più le fiamme spirituali che lo consumavano, fino a quando queste si consumarono a seguito della propria stessa violenza. I demoni che avevo visto erano le sue vittime più feroci, quelle nelle quali il desiderio di vendetta non si era ancora assopito. Gli altri spiriti che avevo notato raccolti in un angolo non avevano più il desiderio di infliggergli dei tormenti, ma non potevano impedirsi di contemplare le sue sofferenze e quelle dei suoi complici.

Vidi in seguito che il pentimento cominciava a risvegliarsi in lui. Si era diretto verso la città per mettere in guardia i propri confratelli gesuiti perché ponessero fine alla loro condotta sbagliata. Non era consapevole del tempo che era passato dalla sua morte, e non capiva che la città che vedeva non era altro che il riflesso spirituale del luogo in cui aveva vissuto sulla Terra. Mi venne poi detto che più avanti sarebbe stato rimandato sulla Terra per potervi operare come spirito protettore, e per insegnare ai viventi la compassione e la misericordia, le virtù che non aveva praticato nel corso della propria vita. Ma prima di tutto avrebbe dovuto restare in quel luogo tenebroso per tentare di liberare le anime di coloro che vi erano stati attirati dai suoi crimini. Lasciai quello sfortunato alla porta dell’edificio che era la replica spirituale della sua casa terrena e mi allontanai da solo.

Come la città romana che avevo visitato in precedenza, anche questa era deformata, e la sua bellezza era oscurata dai crimini di cui era stata silenziosa testimone. L’aria sembrava piena di fantasmi che gemevano e piangevano, trascinando dietro di sé le loro pesanti catene. L’intero luogo sembrava costruito su tombe viventi, ed avvolto in una nebbia rossa di sangue e lacrime. La città somigliava ad una mostruosa prigione le cui mura erano state costruite con atti di violenza, rapina e oppressione.

Mentre camminavo feci un sogno ad occhi aperti. Vidi la città così com’era stata in passato, prima che gli uomini bianchi vi giungessero. Vidi un popolo primitivo pacifico e semplice, che si nutriva di frutti e di granaglie, che viveva in uno stato di innocenza simile a quello dell’infanzia. Quel popolo onorava l’Altissimo con il nome con il quale lo conosceva. La sua fede semplice e le sue virtù erano ispirate dal Grande Spirito, che è universale e non appartiene a nessuna dottrina ed a nessuna chiesa. Vidi poi in Spagna delle persone sincere, la cui anima era pura. Questi credevano di possedere la vera fede, la sola che permetteva di salvare gli esseri umani. Credevano sinceramente che Dio avesse donato quella luce ad una piccola parte della Terra, condannando il resto dell’umanità alle tenebre ed alla perdizione. Quegli uomini buoni desideravano talmente tanto la salvezza di tutti coloro che credevano fossero nell’errore da attraversare per questo l’Oceano. Volevano condividere la loro fede con quel popolo semplice, la cui vita, pur se guidata da una fede diversa, non era meno buona, amabile e spirituale. Vidi quei preti buoni ma ignoranti approdare a quelle rive straniere, e lavorare dappertutto per diffondere il loro credo, estirpando nel contempo quello del popolo indigeno, degno di rispetto quanto il loro. Quei preti, uomini sinceri, cercavano non solo la salvezza spirituale di quelle persone, ma anche il loro benessere terreno. Perciò costruirono dappertutto missioni, chiese e scuole.

Vidi poi una moltitudine di uomini giungere dalla Spagna, non per diffondere le verità della loro religione, ma per avidità dell’oro di quei nuovi paesi, e di tutto ciò che poteva soddisfare il loro egoismo. Alcuni tra essi avevano lasciato il loro paese per sfuggire alle condanne per i crimini che avevano commesso. Li vidi sbarcare come fossero delle orde barbariche. Si unirono a quelli le cui motivazioni erano pure, li superarono in numero e distrussero tutto il bene che quelli avevano fatto. Usando il nome della Santa Chiesa Cristiana, si costituirono padroni e tiranni degli indigeni.

All’inizio, gli indigeni li accolsero ingenuamente come fratelli, e mostrarono loro i tesori che avevano estratto dal suolo: oro, argento e pietre preziose. Poi, resi pazzi dalla cupidigia, i bianchi uccisero e saccheggiarono, obbligando gli indigeni a lavorare come schiavi nelle miniere nelle quali morivano a centinaia. L’uomo bianco ruppe tutte le promesse che aveva fatto, lasciando alla fine in questo paese prima pacifico e felice, solo torrenti di sangue e di lacrime.

Vidi in seguito l’Inquisizione giungere in quel luogo, e sottoporre il popolo ad una oppressione spietata, fino a farlo quasi scomparire dalla faccia della terra. Vidi che la brama dell’oro animava, come passione bruciante, la maggior parte di coloro che giungevano in quel paese. Ciechi a tutte le bellezze che li circondavano, non vedevano che il fulgore dell’oro. Non avevano altra idea che quella di arricchirsi. Durante quel periodo di follia omicida, veniva costruita nell’Inferno una replica spirituale di quella città terrena, atomo per atomo, pietra per pietra, mentre il legame magnetico che univa la replica infernale all’originale terreno tesseva il destino postumo di ciascuno degli abitanti indigeni. Perché gli esseri umani, con la loro vita sulla Terra, costruiscono nel vero senso della parola la loro residenza nel Mondo Spirituale. Quindi, tutti quei monaci e quei preti, quelle dame raffinate, quei soldati e quei mercanti furono attratti verso l’Inferno a motivo dei loro atti, delle loro passioni egoiste, e della loro cupidigia, mentre gli sfortunati indigeni vi furono attirati dal loro odio e dalla loro sete di vendetta.

* * *

Giunsi alla porta di un grande edificio che somigliava ad una prigione, per via delle sue strette finestre chiuse con delle sbarre di ferro. Mi arrestai però sentendo delle urla che provenivano da quel luogo. Condotto dalla voce misteriosa della mia guida invisibile, vi entrai e raggiunsi in breve una cella sotterranea. Numerosi spiriti circondavano un uomo bloccato contro il muro da un cerchio di ferro che gli girava attorno alla vita. Gli occhi pieni di spavento e di furore, i capelli arruffati, gli abiti a brandelli, mi fecero ritenere che fosse in quel luogo da molti anni. Aveva le gote scavate, le ossa sporgenti, e sembrava che stesse per morire di fame; ma sapevo che non esiste, nel Mondo Spirituale, nessuna morte in grado di abbreviare la sofferenza. Un altro uomo, con le braccia incrociate sul petto, gli stava vicino, con lo sguardo rivolto verso il basso. Il suo viso magro e devastato, il corpo scheletrico, erano coperti di ferite. Il suo aspetto era ancora più penoso di quello dell’altro spirito, anche se era libero e non portava catene.

Attorno a quei due uomini, una banda di creature selvagge e degeneri danzava ed urlava. Alcuni di loro erano indiani, altri spagnoli, ed uno o due forse inglesi. Tutti erano impegnati a lanciare dei coltelli taglienti contro l’uomo incatenato, ma sembrava che questi oggetti non lo colpissero mai. Mentre lo insultavano e lo maledicevano, tentavano di colpirlo al viso, ma stranamente non vi riuscivano mai. L’uomo restava incatenato al muro, incapace di muoversi, mentre l’altro lo osservava in silenzio.

Mi fermai a guardare quella scena, ed ebbi la rivelazione del passato di quei due uomini. Vidi che quello incatenato viveva una volta in una bella residenza, simile a un palazzo. Riconobbi in lui uno dei giudici inviati dalla Spagna per presiedere tribunali che altro non erano che un mezzo per opprimere gli indigeni e tutti coloro che si opponevano ai ricchi ed ai potenti. L’altro era un commerciante che abitava in una graziosa villa con la bella moglie ed il figlioletto. La sua donna aveva attirato l’attenzione del giudice, che si era invaghito di lei. Dal momento che la donna respingeva la sua corte, egli fece arrestare il marito dall’Inquisizione e lo fece gettare in prigione. Fece poi prelevare la donna e l’oltraggiò al punto che ella ne morì. Quanto al bambino, fu strangolato su suo ordine.

Il povero marito soffriva intanto in prigione, senza poter conoscere il destino della moglie e del figlio, e nemmeno le motivazioni dell’arresto. Le privazioni del cibo e gli orrori della prigione gli distrussero lentamente le forze. Infine, fu condotto davanti al Tribunale dell’Inquisizione, che lo accusò di stregoneria e cospirazione contro la Corona. Poiché egli negava, fu torturato per costringerlo a confessare ed a fornire i nomi dei suoi complici. Dal momento che lo sfortunato continuava a protestarsi innocente, fu ricondotto in prigione, dove morì lentamente di fame; il giudice infatti rifiutava di liberarlo per timore che scoprisse il vero motivo del suo arresto.

Così quel poveretto morì. Dopo la sua morte, non poté riunirsi con la sua famiglia, perché l’anima innocente della moglie e del bambino erano ormai nelle sfere elevate. La donna era così pura, buona e dolce da aver perdonato il suo assassino (anche se il giudice non ne aveva desiderato la morte, ne era responsabile). Ma tra lei e suo marito, che ella amava teneramente, si era creato un abisso, a motivo del profondo desiderio di vendetta che quest’ultimo provava nei confronti dell’uomo che li aveva distrutti. In effetti, quando il povero sposo morì, la sua anima non poté lasciare la Terra: vi restò incatenata dalla sua amarezza e dal suo odio. Egli avrebbe forse potuto perdonare ciò che aveva subito personalmente, ma il destino di sua moglie e di suo figlio erano per lui imperdonabili. Il perdono era al di sopra delle sue forze. Il suo odio era divenuto più forte dell’amore per sua moglie. Giorno e notte pensava al giudice, aspettando un’occasione per vendicarsi. Questa alla fine si presentò. Attratti dalla sua ossessione di vendetta, dei diavoli dell’Inferno, come quelli che avevano una volta tentato me, gli insegnarono il modo per uccidere il giudice controllando la mano di un mortale, al fine di attirare il suo assassino all’Inferno con lui.

La sua ossessione era divenuta così profonda, dopo anni di macerazione nella solitudine della sua prigione prima terrestre e poi spirituale, che era stato impossibile per la sua povera moglie avvicinarlo per addolcirne il cuore. La sua buona anima veniva respinta dalla schiera degli spiriti malvagi che si accalcavano attorno a lui, ed egli aveva perso qualunque speranza di mai più rivederla. Credeva fosse salita al Cielo, e che sarebbe rimasta separata da lui per l’eternità. Le sue convinzioni cattoliche, apprese sulla terra due secoli fa [nel 1600, NdT], mentre era in vita, gli facevano credere di essere dannato per l’eternità poiché era stato messo al bando dalla Chiesa e non aveva ricevuto l’assoluzione prima della morte, mentre pensava che sua moglie e suo figlio dovessero essere in Cielo con gli angeli.

Avendo certe convinzioni, è forse strano che quel povero spirito si abbandonasse alla vendetta, e che concentrasse quindi tutta la propria volontà nell’infliggere al suo nemico le sofferenze che egli stesso aveva sopportato? Egli riuscì dunque, con fatale precisione, a spingere un mortale ad uccidere il giudice. Il corpo fisico di quest’ultimo morì, ma la sua anima si risvegliò all’Inferno, incatenata al muro di una prigione, come lo era stato una volta la sua vittima, faccia a faccia con essa.

Durante la sua vita, il giudice aveva condannato a morte molte persone, al fine di soddisfare la propria ambizione e la propria cupidigia. Alla sua morte, le sue vittime si radunarono attorno a lui, e resero il suo risveglio un vero inferno. Eppure, la volontà di quell’uomo era così forte che nessuno dei colpi che cercavano di infliggerli lo raggiungeva. Da anni i due acerrimi nemici si fronteggiavano, esprimendo odio e disprezzo reciproci. Quanto agli altri spiriti, cercavano continuamente nuovi mezzi per far soffrire l’uomo incatenato, la cui volontà, più potente della loro, li teneva lontani.

In un luogo molto distante da quello, nelle sfere luminose, la povera moglie era disperata per il marito, ma sperava che un giorno il proprio amore e le proprie preghiere avrebbero raggiunto la sua anima e l’avrebbero addolcita, spingendolo ad abbandonare le sue intenzioni malvagie e a rinunciare alla vendetta. Erano state le sue preghiere ad attirarmi in quei luoghi, ed era lei che mi aveva trasmesso la visione di quella sordida storia, pregandomi di informare suo marito che non smetteva mai di pensare a lui; la sua sola speranza era di vederlo elevarsi verso le sfere più alte, per poterlo incontrare nella pace e nella felicità. Con questa visione impressa nel mio cuore mi avvicinai all’uomo; questi era stanco della sua vendetta, ed il suo cuore desiderava profondamente ritrovare l’amata moglie. Lo toccai sulla spalla e gli dissi:

«Amico mio, so perché sei qui, e conosco la terribile storia delle tue sofferenze. La donna che ami mi ha inviato qui perché ti dicessi che ti aspetta in alto, in un paese magnifico. Lei si lamenta perché tu non la raggiungi, e si rattrista che tu trovi la vendetta più dolce delle sue carezze. Ti manda a dire che sei tu stesso che ti leghi a questi luoghi di orrore, mentre potresti essere libero».

Lo spirito sussultò ed afferrandomi il braccio mi guardò intensamente negli occhi, come per vedere se dicevo il vero. Poi arretrò, e sospirando disse:

«Chi sei? E perché sei venuto qui? Tu non appartieni a questo paese dell’orrore, e pronunci parole di speranza. Ma come può esserci speranza per un’anima dell’Inferno?».

«C’è speranza anche all’Inferno, perché la speranza è eterna, e Dio, nella Sua compassione, non esclude nessuno dalla Sua Grazia, anche quando agiamo contro di Lui. Io vengo inviato a portare la speranza a coloro che, come te, soffrono a causa del passato. Se accetti di seguirmi, ti mostrerò come potrai entrare in un mondo migliore».

Esitò. Dentro il suo cuore si svolgeva una lotta terribile, perché sapeva che era solo la sua presenza a mantenere prigioniero il suo nemico. Nel momento in cui se ne sarebbe allontanato, l’altro sarebbe stato libero di vagare per quel paese delle tenebre. Dovetti parlargli di nuovo di sua moglie e di suo figlio e chiedergli se non preferiva ritrovarli. Pensando a coloro che amava crollò, e nascondendo il viso tra le mani si sciolse in lacrime. Lo presi sottobraccio e lo guidai, docile, fuori della prigione, e poi fuori della città. Lì trovammo degli amici che lo attendevano. Lo avrebbero condotto, mi dissero, in un bel luogo nel quale sua moglie e suo figlio avrebbero potuto incontrarlo ogni tanto, in attesa che egli si elevasse fino alla loro sfera e si unisse a lei per sempre in una felicità più completa di quella che avrebbe potuto conoscere sulla terra.

* * *

Terminata la mia missione in quella città, cominciai ad errare alla ricerca di un’altra opportunità di essere utile quando, nel mezzo di una pianura oscura e desolata, mi imbattei in una capanna isolata, in cui si trovava un uomo steso su della paglia sporca. Sembrava incapace di muoversi, quasi fosse moribondo.

Durante la sua vita terrestre, mi raccontò, aveva abbandonato un amico malato e lo aveva lasciato morire dopo avergli rubato l’oro per il quale avevano rischiato la vita insieme. Ora che anche lui era morto, si trovava nella stessa situazione, abbandonato ed indifeso. Gli chiesi se non voleva per caso alzarsi e tentare di espiare la morte del suo amico cercando di aiutare altre persone. Speravo di aiutarlo in questo modo; mi disse che effettivamente voleva alzarsi, ma non capiva perché avrebbe dovuto tormentarsi per qualcun altro. Preferiva piuttosto andare alla ricerca del denaro che aveva sepolto da qualche parte e spenderlo. Nel dirmi ciò, i suoi occhi mi guardavano di sottecchi per cercare di scoprire cosa pensassi in merito a quel denaro, e se non fossi per caso interessato a trovarlo io stesso.

Gli spiegai che sarebbe stato bene per lui ritrovare l’amico che aveva assassinato per esprimergli il proprio pentimento, ma non voleva ascoltarmi e si alterò. Non si pentiva di aver ucciso l’amico; gli dispiaceva solo di ritrovarsi in quella situazione penosa. Desiderava solamente che lo aiutassi ad uscirne. Le mie spiegazioni sulla possibilità di migliorare la sua situazione espiando il suo errore non sortirono alcun effetto. Il suo unico desiderio era di uscire di nuovo per derubare o uccidere qualcun altro. Lo lasciai, e mentre uscivo raccolse una pietra e me la tirò.

«Cosa ne sarà di lui?» mi chiesi. La risposta mi giunse subito:

«È giunto dalla Terra solo da poco tempo, a seguito di una morte violenta. Il suo spirito è debole ma presto si fortificherà. A quel punto si unirà ad altri briganti del suo stampo, aggiungendo altri orrori a questo luogo. Dopo molti anni, forse secoli, si sveglierà in lui il desiderio di un destino migliore e comincerà a progredire, ma molto lentamente, perché un’anima così primitiva e depravata come la sua ha bisogno di numerosi cicli temporali per sviluppare le proprie facoltà latenti».

Dopo aver errato per un certo tempo per quella pianura sterile e desolata, mi sentii stanco. Avevo il cuore così pesante che mi sedetti per terra e mi misi a meditare sulle esperienze che avevo vissuto in quella sfera spaventosa. Mi sentivo schiacciato dalla vista di tanti mali e tante sofferenze. Io, che avevo tanto amato la luce del sole, ero oppresso dall’angosciante oscurità e dalle pesanti nuvole di quel luogo. Ah, come mi sarebbe piaciuto avere delle notizie di colei che avevo lasciato sulla Terra! I miei amici non mi avevano portato ancora nessun messaggio. Ignoravo da quanto tempo mi trovavo in quel luogo, nel quale non vi sono il giorno e la notte a segnarvi il trascorrere dei giorni, in cui non vi è altro che una interminabile oscurità che opprime tutto silenziosamente. Pregai ardentemente che tutto andasse bene per Bianca sulla Terra, perché potessimo riunirci quando sarebbe finito il mio periodo di prova in quell’Inferno.

Notai allora un dolce lucore che si stava diffondendo attorno a me. Sembrava emesso da una stella brillante. La sua intensità aumentò fino a formare un’immagine gloriosa, al centro della quale apparve la mia amata. I suoi occhi guardavano nei miei, la sua bocca mi sorrideva e si apriva come a pronunciare il mio nome. Poi portò la punta delle dita alle labbra e mi inviò un bacio. Lo fece in modo così delicato e tenero che, rapito, mi alzai per restituirle il bacio, ma la visione scomparve, e mi trovai di nuovo solo nella pianura. La visione aveva però spazzato via la mia tristezza ed aveva rinvigorito il mio coraggio per poter andare a portare la speranza ad altre anime.

Proseguii quindi sulla mia strada. Poco dopo, fui superato da un gruppo di spiriti dall’aspetto ripugnante: portavano dei cenciosi mantelli scuri, ed avevano il volto coperto da una maschera nera come fossero briganti. Non mi notarono; già m’ero accorto che, in generale, gli abitanti di quella sfera avevano un’intelligenza ed una vista spirituali troppo scarse per poter vedere qualcuno delle sfere spirituali superiori, tranne che nel caso in cui questi fosse entrato direttamente in rapporto con loro. Per curiosità li seguii da vicino. Improvvisamente, un altro gruppo di spiriti si avvicinò a noi, portando dei sacchi che in apparenza contenevano un tesoro; questi spiriti furono assaliti dai componenti del primo gruppo. Poiché non possedevano armi, gli spiriti si battevano come bestie selvagge, utilizzando denti e unghie come belve o avvoltoi. Afferravano la gola e sbranavano, mordevano e graffiavano come tigri o lupi. Infine, almeno la metà fu annientata e giacque al suolo, mentre il resto fuggì con il tesoro (che, ai miei occhi, era composto di ciottoli di nessun valore).

Quando gli scampati si furono allontanati, mi avvicinai agli spiriti che giacevano al suolo, che gemevano di dolore, per aiutarli. Ma loro cercarono di attaccarmi e sbranarmi. Somigliavano più a bestie che ad esseri umani: anche i loro corpi erano curvi in modo animalesco, le braccia lunghe come quelle delle scimmie, le mani dure, le dita e le unghie erano simili ad artigli. Per muoversi, a volte camminavano, a volte si trascinavano a quattro zampe. Il loro volto a malapena poteva dirsi umano; i tratti erano bestiali, e soffiavano e mostravano i denti come dei lupi. Mi ricordavano le strane storie di uomini trasformati in animali che avevo sentito quando ero sulla Terra, e mi chiesi se non fossero quel tipo di creature. Nei loro occhi pieni di rabbia, vi era una espressione di calcolo e di inganno che era certamente umana, e i movimenti delle loro mani non erano simili a quelli degli animali. Inoltre erano in grado di parlare, e mescolati alle urla ed ai versi animaleschi profferivano maledizioni e insulti. Mentre mi stavo chiedendo se queste creature avessero o meno un’anima, ricevetti la risposta:

«Sì! Hanno un’anima, così decaduta e bassa che quasi non se ne trova traccia. Eppure il germe dell’anima è presente in essi. Questi uomini erano pirati spagnoli, banditi di strada, filibustieri, mercanti di schiavi e rapitori. Hanno vissuto in modo a tal punto brutale che quasi tutta la loro umanità si è trasformata in animalità. I loro istinti sono quelli delle bestie selvagge. Vivono come queste e combattono nello stesso modo».

«Ma c’è speranza per loro, e li si può aiutare in qualche modo?» chiesi.

«La speranza esiste sempre, anche per essi, ma la maggior parte ne trarrà profitto fra alcuni secoli. Eppure anche tra di loro ve ne è qualcuno che può essere aiutato».

Mi volsi e vidi ai miei piedi un uomo che si era trascinato fino a me, completamente esausto. Il suo aspetto era meno spaventoso di quello dei suoi compagni, e si vedevano delle tracce di bontà sul suo volto deforme. Mi chinai su di lui, che mi sussurrò debolmente:

«Acqua! Acqua! Dammi dell’acqua per pietà, ché un fuoco vivo mi consuma!».

Non avevo acqua con me, e non sapevo dove trovarne in quel luogo; gli diedi quindi alcune gocce dell’essenza che avevo portato dal Paese dell’Alba. L’essenza produsse in lui un risultato miracoloso, come un vero elisir di vita. Si sollevò e mi disse:

«Tu devi essere un mago! Questa bevanda mi ha rigenerato, e il fuoco che da anni bruciava in me si è spento. Dal mio arrivo in questo Inferno sono torturato da una sete inestinguibile».

Dopo averlo portato lontano dagli altri, praticai su di lui dei movimenti magnetici per lenire le sue sofferenze. Mentre vicino a lui riflettevo su ciò che avrei potuto ancora fare, se parlargli o lasciarlo solo, mi prese la mano e la baciò appassionatamente: «Oh amico mio! Come posso ringraziarti? Come devo chiamarti, tu che sei venuto a portarmi la consolazione dopo tutti questi anni di sofferenza?».

«Se mi sei davvero riconoscente, non vorresti anche tu meritarti la riconoscenza degli altri aiutandoli? Posso mostrarti come riuscirci?».

«Sì! Sì! Lo voglio davvero, a condizione che tu mi porti con te, amico mio!».

«Andiamo - gli dissi -, ora ti aiuto ad alzarti, e se ci riesci allontaniamoci da questo posto il più velocemente possibile, e vediamo cosa possiamo fare».

Così ci allontanammo insieme. Il mio compagno mi raccontò di essere stato pirata e mercante di schiavi. Era secondo ufficiale su un vascello, ed era stato ucciso durante un combattimento. Al suo risveglio, si trovò in quelle tenebre con altri membri del suo equipaggio. Non sapeva da quanto tempo era in quella sfera infernale, ma gli sembrava che fosse passata un’eternità. Errava con altri spiriti simili a lui, con i quali formava una banda che passava il tempo a battersi. Quando non combattevano contro altri, si combattevano tra loro. In quel paese senza gioia, il combattimento era la loro unica fonte di stimolo. Non trovavano alcuna bevanda che placasse la sete bruciante che li divorava. Tutto ciò che bevevano aumentava di mille volte la loro sete, e bruciava in gola come fuoco. Poi mi disse:

«Qui non puoi mai morire, qualunque siano le tue sofferenze. È la maledizione di questo luogo. Siamo già morti, e non possiamo più né uccidere né farci uccidere da altri. È impossibile sfuggire alla sofferenza con la morte.

Sembriamo una muta di lupi affamati. Quando nessuno ci attacca, ci aggrediamo tra noi, e combattiamo fino allo sfinimento. Poi restiamo a terra, gemendo e soffrendo, aspettando di riprenderci per cominciare di nuovo a batterci. Ho desiderato tanto trovare un modo per uscire da questa zona maledetta. Mi sono quasi messo a pregare. Mi dicevo che avrei fatto qualunque cosa se solo Dio si fosse degnato di perdonarmi e di darmi un’altra possibilità. Vedendoti vicino a me, ho pensato che tu forse eri un angelo inviato dall’Alto. Ma tu non hai ali, e non hai nulla che ti faccia somigliare ad un angelo così come li dipingono. Ma dal momento che le immagini che si trovano sulla Terra non ci danno alcuna idea di questi luoghi, perché non potrebbero essere false anche per altre cose?».

Le sue parole mi fecero ridere. Nel mezzo di quel luogo di sofferenza ero felice di sentirmi così utile. Gli raccontai chi ero e cosa mi aveva condotto in quel posto. Mi rispose che se desideravo aiutare altre anime, le avrei trovate: nei paraggi vi erano delle orribili paludi che avevano inghiottito un gran numero di spiriti. Avrebbe potuto condurmi da loro ed aiutarmi. Sembrava temesse che me ne sarei andato senza di lui, abbandonandolo alla sua sorte. Ma dal momento che quell’uomo si mostrava così riconoscente, mi sentivo attratto verso di lui ed ero contento della sua compagnia. Poiché mi sentivo solo in quel lontano e triste paese, desideravo un po’ di compagnia, ma non quella degli esseri repellenti che lo popolavano.

Era quasi impossibile, nell’oscurità e nella nebbia che vi regnavano, riuscire a vedere ad una qualche distanza. Arrivammo nei paraggi della palude senza che riuscissimo a vederla, e solo una sensazione di freddo umido e di aria malsana ce ne annunciò la vicinanza. Una grande distesa di fango nero e maleodorante si stendeva davanti a noi, coperta di uno spesso strato vischioso; dei rettili giganti, con gli occhi sporgenti, vi sguazzavano dentro; grossi pipistrelli con il volto simile a vampiri umani volavano sopra le acque. Colonne di fumo grigio e di vapori nocivi si alzavano dalla superficie putrescente in strane forme fantasmatiche. Planavano sulla superficie con la forma di teste e braccia minacciose, poi sparivano nella nebbia per mutarsi continuamente in nuove forme orrende.

Sulla riva di quella palude ripugnante si trovavano innumerevoli creature viscide e striscianti, gigantesche, dalle forme orribili. Fremetti guardando quelle acque, chiedendomi se in una simile cloaca ci fossero delle anime perse, quando dall’oscurità mi giunse alle orecchie un coro di lamenti e di grida di disperazione, che mi toccarono il cuore per il loro scoramento. Quando i miei occhi si abituarono all’oscurità, vidi qua e là delle forme umane che si muovevano, immerse nel liquido fino alle spalle. Urlai loro che ero sulla riva, e che dovevano sforzarsi di raggiungermi. Esse però non mi degnarono di attenzione, e sembrò che non mi sentissero e che non mi vedessero. Il mio compagno mi disse che non vedevano e non sentivano nulla se non ciò che si trovava nelle loro immediate vicinanze.

Anch’egli si era trovato nella palude per un certo tempo, ma era riuscito ad uscirne da solo; pensava però che la maggior parte di coloro che vi si trovava non sarebbe riuscita ad uscirne senza un aiuto. Molti cercavano da anni di uscirne. Si sentirono di nuovo delle richieste di aiuto. Una di queste proveniva da uno spirito vicino a noi, e pensai di entrare nella palude per aiutarlo ad uscirne, ma quel liquido era così repellente che al solo pensiero arretrai spaventato. Il grido disperato si ripeté, e sentii di dover provare. Perciò, sforzandomi di superare il disgusto, entrai nella palude e ben presto raggiunsi quel disperato in difficoltà. Mentre mi avvicinavo a lui, la massa nuvolosa in alto si agitò e scese verso di me ma senza toccarmi. L’uomo era immerso nella palude fino al collo, e sembrò affondasse ancora di più quando lo raggiunsi. Pensavo fosse impossibile estrarlo da solo da quel liquido, perciò chiamai il mio amico pirata, ma era scomparso. Per un attimo pensai che mi avesse attirato in una trappola, e decisi perciò di uscirne subito da solo. Ma quel povero spirito mi supplicava così intensamente di non abbandonarlo che feci un altro tentativo radunando tutte le mie forze. Dovevo liberare i suoi piedi dalle alghe nelle quali erano imprigionate. A tratti lo trascinavo, a tratti lo sostenevo, raggiunsi così la riva, dove l’uomo cadde privo di conoscenza. Anch’io ero molto stanco, e mi sedetti vicino a lui.

Cercai attorno a me il pirata, e lo vidi ad una certa distanza mentre trascinava fuori della palude un altro spirito. Riversava in questa sua azione talmente tanta energia, si agitava e gridava con tutte le sue forze, che il povero spirito che stava aiutando lo pregava di farlo più dolcemente. Andai loro incontro, e quando furono vicini alla riva li aiutai ad uscire e feci stendere quello spirito vicino al precedente.

Il pirata era fiero del suo successo. Era pronto a riprendere la sua opera, perciò lo inviai da un altro sfortunato che chiedeva aiuto, mentre mi prendevo cura dei due già salvati. Non lontano da me udii dei lamenti pieni di disperazione. All’inizio non riuscivo a vedere nulla. Poi una minuscola scintilla luminosa, simile ad un fuoco fatuo, si mise a brillare al disopra della palude. Alla sua luce vidi qualcuno che si dibatteva e chiedeva aiuto. Entrai ancora una volta nella palude infetta, anche se, lo confesso, senza entusiasmo. Quando raggiunsi l’uomo, vidi che con lui c’era una donna, che sosteneva ed incoraggiava. Riuscii con grande difficoltà a trascinarli entrambi a riva, dove ritrovai il pirata ed il nuovo spirito salvato da lui.

Sul bordo di quel mare vischioso, dovevamo costituire senz’altro uno spettacolo bizzarro. Più tardi, appresi che quel luogo era la creazione spirituale dei pensieri disgustosi e dei desideri malsani che gli esseri umani emettono durante la loro esistenza terrena, e che vengono attratti in quel luogo e riuniti a costituire quella palude nauseabonda. Gli spiriti che vi si trovavano imprigionati mentre erano sulla Terra si erano crogiolati nei vizi più abominevoli, ed avevano continuato dopo la loro morte a godere degli stessi piaceri prendendo il controllo di uomini e donne mortali, e ciò fino al momento in cui, a motivo del loro estremo degrado, era loro divenuto impossibile restare sul Piano Terrestre. Erano allora stati attirati in quella cloaca, nella quale solo il disgusto di se stessi poteva alla fine spingerli a cambiare.

Uno degli spiriti che avevo salvato aveva fatto parte della corte di Carlo II, dove era ammirato come uomo di spirito. Dopo la sua morte, era rimasto a lungo sul Piano Terrestre. Poi era sceso sempre più in basso fino a cadere nella palude, nella quale si era trovato imprigionato dalle erbacce della vanità e della sua immoralità. Un altro spirito era stato un celebre drammaturgo al tempo del regno di Giorgio I. Quanto alla coppia, essa aveva fatto parte della corte di Luigi XV. Quelli salvati dal pirata avevano delle storie simili.

Mi chiesi come avrei potuto liberarmi della sporcizia di quella spaventosa palude. Ma improvvisamente, come per miracolo, vidi sgorgare non lontano da noi una fonte chiara, nella quale entrammo ed eliminammo così rapidamente ogni traccia di fango.

Raccomandai agli spiriti salvati di soccorrere altri sfortunati, come gesto di riconoscenza per l’aiuto che essi stessi avevano ricevuto. Dopo aver dato loro qualche altro consiglio, mi rimisi in marcia. Ma il pirata non desiderava separarsi da me, e quindi proseguimmo il cammino insieme.

* * *

Se dovessi raccontare tutto ciò che incontrammo durante i nostri spostamenti, il mio racconto riempirebbe interi volumi. Tralascio perciò un periodo corrispondente a parecchie settimane terrestri, per giungere al nostro arrivo non lontano da una grande catena di montagne, le cui cime innevate si stagliavano nel cielo notturno. Eravamo entrambi piuttosto delusi dei risultati degli sforzi che avevamo fatto per aiutare gli abitanti di quella sfera. Avevamo certamente trovato, qua e là, alcuni spiriti predisposti ad ascoltarci ed a lasciarsi guidare. Ma in generale la nostra offerta veniva accolta con derisione e disprezzo. Alcuni ci avevano addirittura attaccati, ed avevamo rischiato di essere feriti.

Il nostro ultimo tentativo lo avevamo fatto con un uomo ed una donna dall’aspetto oltremodo ripugnante, che litigavano sulla porta di una misera baracca. L’uomo picchiava la donna in modo così violento che dovetti intervenire per farlo smettere. Entrambi allora si unirono contro di me: la donna cercava di strapparmi gli occhi, e dovetti la mia salvezza al mio compagno pirata, perché quell’attacco mi aveva incollerito, e di conseguenza mi aveva posto, temporaneamente ma pericolosamente, al loro livello, privandomi della protezione conferita dal mio sviluppo spirituale più elevato.

I due spiriti si erano resi colpevoli, sulla Terra, del brutale assassinio di un vecchio (il marito della donna), al fine di impadronirsi del suo denaro, e per questo erano stati impiccati. Erano adesso legati dalla loro comune colpa, malgrado l’odio feroce che provavano vicendevolmente. Ciascuno accusava l’altro di essere la causa della propria presenza in quel luogo infernale, e ciascuno reputava l’altro maggiormente colpevole. Tra l’altro, era stato possibile giudicarli ed impiccarli perché si erano traditi reciprocamente. Sembrava che ormai esistessero solo per battersi a vicenda, e non potevo immaginare punizione più terribile di quella che consiste nell’essere incatenato ad una persona che si odia. Tenuto conto dello stato spirituale dei due, non potevamo far niente per loro.

Poco dopo averli lasciati, ci trovammo ai piedi di una montagna scura. Grazie ad una strana e pallida luminosità fosforescente che la ricopriva a zone, fummo in grado di esplorarla in parte. Non vi era alcun sentiero, ed inciampammo spesso sulle sue aspre pendici (devo ricordare a questo punto che, avendo in parte assimilato le condizioni di vita di questa sfera bassa, avevo perso la facoltà di elevarmi e di planare come potevo fare nel Paese dell’Alba). Dopo aver scalato con difficoltà uno dei picchi meno alti, percorremmo una cresta illuminata da quel curioso chiarore fosforescente. Da entrambi i lati vedevamo dei giganteschi crepacci che sprofondavano nell’oscurità. Da alcune di quelle voragini salivano grida di dolore, dei lamenti e talvolta delle richieste di aiuto. Tremavo al pensiero che degli spiriti fossero prigionieri di quelle oscure profondità, ed era doloroso non poter far niente per aiutarli. Il mio compagno, che mi aveva già aiutato in numerosi tentativi di salvataggio, mi propose di tessere una corda con le lunghe erbe che crescevano tra le rocce sparse. Con quella corda, mi disse, avrebbe potuto calarsi nei crepacci, perché era abituato ad arrampicarsi in quel modo. Avremmo così potuto salvare da quella orribile situazione qualcuno di quegli spiriti.

Ci mettemmo subito all’opera, e ben presto costruimmo una corda abbastanza solida da sostenere il peso del mio amico. Dovete infatti sapere che per quanto riguarda le cose spirituali come quelle materiali, il peso è una questione relativa. Ciò che in una sfera ha un certo peso ed una certa solidità, in una sfera inferiore sembra etereo e leggero. Dopo aver solidamente legato un’estremità della corda ad una roccia, il pirata scese con la sicurezza acquisita con la sua lunga esperienza di marinaio. Giunto in basso, legò la corda attorno al corpo di uno degli spiriti che gemevano, distesi al suolo. Sollevai così quello spirito, dopodiché gettai la corda al mio amico che salì allo stesso modo. Fatto quanto potevamo per alleviare le sue sofferenze, ripetemmo la procedura per salvarne altri. Dopo averne salvati un buon numero, avvenne una cosa ben strana: la luminosità fosforescente si spense, lasciandoci nell’oscurità totale, mentre una voce misteriosa, che sembrava provenire dal nulla, disse:

«Ora continuate altrove, perché il vostro lavoro qui è terminato. Coloro che avete salvato erano caduti vittime del loro stesso inganno. Erano caduti nella fossa che avevano scavato per altri, e vi sono rimasti fino a quando un inizio di pentimento e di desiderio di espiare i loro peccati ha attirato dei salvatori – voi – perché fossero liberati dalla prigione che si erano costruiti da soli. In queste montagne sono prigionieri molti spiriti che non devono ancora essere liberati perché, se lo fossero, diventerebbero un pericolo per gli altri. Il male che provocherebbero rende necessaria per ora la loro prigionia. La loro prigione è, in ogni caso, una loro creazione, e queste grandi montagne di miseria sono il prodotto della loro esistenza sulla Terra. I precipizi sono il riflesso spirituale degli abissi di disperazione nel quale sono precipitate le loro vittime durante la loro vita terrestre. La loro prigione si aprirà quando il loro cuore si sarà addolcito, e desidereranno essere liberi per fare il bene e non il male. Solo allora saranno risvegliati dalla morte vivente alla quale si sono condannati da soli a motivo della loro crudeltà verso gli altri».

La voce tacque e, soli nell’oscurità, ci incamminammo verso la pianura. Quelle orribili vallate di notte eterna, quelle cime elevate di egoismo e di oppressione, avevano talmente raffreddato il mio cuore che ero contento di non dover proseguire lì la mia missione.

Lungo il cammino, costeggiammo una immensa foresta i cui alberi fantastici sembravano essere usciti da un incubo. I rami senza foglie sembravano braccia tese a catturare eventuali passanti. Le radici tortuose uscivano dal suolo come dei serpenti pronti ad arrotolarsi attorno ai loro piedi. I tronchi erano anneriti come se fossero stati bruciati. Dalla scorza colava una resina spessa, di una forza adesiva tale che chi la toccava non poteva più ritirare la mano. Delle lunghe erbe parassite pendevano dai rami, e minacciavano di avviluppare chiunque avesse cercato di penetrare in quella lugubre foresta. Ci giungevano deboli richiami di aiuto, che venivano da persone sfinite o quasi soffocate e, a tratti, potevamo vedere delle anime prigioniere di quegli alberi mostruosi, che si dibattevano invano per liberarsi.

Mi chiedevo come avremmo potuto aiutarle. Alcuni di quegli spiriti erano imprigionati per i piedi, con una radice che li bloccava come una morsa. Un altro aveva la mano incollata al tronco di un albero. Più oltre, uno spirito era stato completamente avviluppato dalla secrezione che pendeva dai rami. Un altro aveva la testa bloccata da due rami che si erano avvicinati. Delle spaventose fiere si avvicinavano ai prigionieri e degli avvoltoi planavano sulle loro teste, senza riuscire a raggiungerli. Chiesi:

«Cos’hanno fatto questi esseri durante la loro vita sulla Terra?».

«Hanno goduto delle sofferenze altrui, hanno gettato i loro simili in pasto alle bestie selvatiche, e si sono nutriti della sofferenza delle loro vittime. Sono esseri crudeli che, per puro piacere, hanno martirizzato ed ucciso in modo orribile degli uomini più deboli di loro. Per questi spiriti, il giorno della liberazione giungerà solo quando avranno appreso la lezione della grazia e della pietà verso gli altri, anche a prezzo della loro propria sofferenza. I loro legami verranno allora sciolti e potranno espiare i loro peccati con il loro lavoro. Fino a quel momento nessuno potrà aiutarli né liberarli. La loro liberazione deriverà dai loro sforzi e dal loro pentimento.

Ricorda la storia dell’umanità. Quanti uomini, in ogni tempo e in ogni paese, hanno asservito, oppresso e torturato i loro simili! Non stupirti perciò che questa mostruosa foresta sia così popolata. È stato reputato utile per la tua formazione farti vedere questo luogo spaventoso. Ma poiché nessuno degli esseri che compatisci ha compiuto una trasformazione interiore sufficiente, non puoi aiutarli. Devi perciò partire per altri luoghi dove sarai più utile».

Lasciammo quindi la Foresta della Desolazione, e poco dopo, con mia grande gioia, vidi arrivare il mio amico Hassein. Ricordando l’insegnamento di Ahrinziman, feci il segno di riconoscimento, ed egli mi diede il segnale di risposta. Mi portava notizie di mio padre e di Bianca, che mi mandavano il loro affetto ed il loro incoraggiamento. Hassein mi disse che la mia missione doveva ora svolgersi tra gli spiriti la cui inclinazione verso la malvagità era pari alla loro potenza intellettuale ed alla loro ingegnosità nel fare il male.

«In passato – mi disse – sono stati dei capi potenti, o degli uomini la cui intelligenza conferiva loro autorità, ma che hanno abusato dei loro doni e della loro forza intellettuale, cosa che ha trasformato tali doni in maledizioni per loro stessi e per gli altri. Dovrai stare in guardia dalle lusinghe che utilizzeranno per tentarti, e dai loro tradimenti. Tra di loro vi sono però degli spiriti che dovrai aiutare: la tua intuizione e le circostanze ti indicheranno chi sarà pronto ad accoglierti. Probabilmente non potrò portarti altri messaggi, ma forse per questo ti verrà mandato un altro confratello. Ricordati sempre di richiedere il segno di riconoscimento, e diffida di coloro che non potranno fornirtelo. Sei sul punto di entrare nel territorio nemico; ti accorgerai che il tuo arrivo è atteso, e ti saranno tese delle trappole. Diffida delle false promesse, e diffida soprattutto di coloro che si presenteranno con un atteggiamento amichevole».

Promisi ad Hassein di tener conto dei suoi avvertimenti. Egli mi disse anche che avrei dovuto separarmi dal mio compagno, il pirata, perché in quel luogo sarebbe stato in pericolo. Mi promise di affidarlo ad un altro spirito al fine di permettergli di lasciare presto quella sfera oscura. Dopo aver consegnato ad Hassein un messaggio di amore e speranza per mio padre e per Bianca, ci separammo e proseguii il mio cammino nella direzione indicata, rincuorato dalle buone notizie e dai messaggi d’amore che avevo appena ricevuto.

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