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Capitolo 24 - La storia di Benedetto

Subito Fedele mi propose di visitare un’altra città di quello strano paese, per incontrare un uomo il cui destino avrebbe potuto essere il mio se l’amore e la perseveranza di Bianca non mi avessero protetto. Le nostre storie terrene differivano su vari punti, ma eravamo anche molto simili, soprattutto per quel che riguardava i nostri doni naturali. Per questo motivo l’incontro con quell’uomo avrebbe potuto essermi utile e io comunque, in futuro avrei potuto aiutarlo.

«Quell’uomo ha lasciato la Terra da più di dieci anni - disse Fedele -, ma solo recentemente è nato in lui il desiderio di progredire. L’ho trovato qui nel corso della mia visita precedente; ho potuto assisterlo e metterlo in comunicazione con la nostra Confraternita. Mi hanno detto che tra poco passerà a una sfera più elevata».

Dopo un rapido volo, planammo al disopra di una vasta laguna, sul fondo della quale era stata costruita una grande città. Le sue torri e i suoi palazzi emergevano dall’acqua e vi si riflettevano. La superficie dell’acqua, percorsa da colate di sangue, sembrava una lastra di marmo nero venata di linee rosso scuro. Come sulla città precedente, anche su questa gravava uno spesso strato di nuvole scure, e come nell’altra gli edifici erano illuminati qua e là da vapori aleggianti grigio metallico e rosso fiamma. Stavamo per entrare, con ogni probabilità, nella Venezia di quella bassa sfera. Quando ne chiesi conferma a Fedele, questi mi rispose: «È proprio così. Troverai qui molte persone celebri, il cui nome è scritto in lettere di sangue e di fuoco nella storia del loro tempo».

Entrammo nella città. Sì, erano proprio quei canali e quei palazzi superbi che gli artisti hanno reso così familiari a tutti. I canali erano insanguinati come se provenissero da giganteschi mattatoi. Lasciavano dappertutto delle tracce ripugnanti. Il sangue sembrava filtrare anche tra le pietre degli edifici e dalle lastre delle strade. Sul fondo delle acque arrossate, vidi gli scheletri di migliaia di esseri umani assassinati o uccisi in modo legale, i cui corpi avevano trovato sepoltura in fondo ai canali. Nelle numerose prigioni della città, vidi degli spiriti ammassati come bestie. Nei loro occhi brillava tutta la cattiveria dei tiranni vinti. L’imprigionamento di quegli spiriti era necessario, perché erano la crudeltà in persona. Vedevamo passare magistrati con i loro servitori, l’altezzosa nobiltà con il suo seguito variopinto e i suoi soldati, ma anche mercanti, preti, marinai, schiavi, semplici cittadini, in breve uomini e donne di tutte le classi. Avevano lo sguardo delle bestie braccate, perché sembrava che mani e braccia spuntassero dappertutto per afferrarli.

Lontano, sulle acque della laguna, navigavano alcune galere ai cui remi siedevano degli schiavi. Questi, incatenati ai banchi dei rematori, non erano le vittime innocenti di intrighi politici o di vendette personali, bensì gli spiriti di padroni senza cuore e intriganti che avevano messo a morte centinaia di esseri umani.

Sulle vie d’acqua della città, in gondola, spiriti vagavano inseguendo gli affari e i piaceri della loro precedente vita terrena. Qui regnava un’animazione simile a quella della Venezia terrena, con la differenza che era assente ogni forma di bontà e ogni bellezza; in essa non vi erano cittadini altruisti né patrioti. Vi erano solo i più indegni tra i suoi abitanti, ognuno impegnato in una perpetua vendetta contro i propri simili.

Seduto sul parapetto di un piccolo ponte, trovammo un uomo che portava l’abito dei fratelli della Speranza, di colore grigio scuro simile a quello che indossavo all’inizio del mio pellegrinaggio. Aveva le braccia incrociate sul petto, e il suo viso era così ricoperto dal cappuccio che non potevo vederne i tratti. Intuii tuttavia subito che era l’uomo che stavamo cercando. Presto riconobbi in lui un celebre pittore veneziano con cui ero stato in rapporto nella mia giovinezza, anche se non in modo particolarmente stretto. Non ci eravamo più rivisti, e ignoravo che avesse lasciato la Terra. Confesso che quell’incontro mi sconvolse; ripensai alla sua giovinezza, quando anch’io ero uno studente di belle arti con le prospettive più rosee che si potessero desiderare, e ora ero lì a chiedermi cosa potesse essergli successo.

Poiché non ci aveva ancora notati, Fedele mi propose di allontanarci un po’ da lui, in modo che potesse raccontarmi il destino di quell’uomo, prima di andare a parlargli. Per proteggere la memoria di questo pittore ben conosciuto, lo chiamerò non con il suo vero nome, ma con quello di Benedetto. Egli aveva rapidamente raggiunto una certa notorietà, e i suoi quadri si vendevano bene. Poiché l’Italia a quel tempo non era affatto prospera, i suoi migliori clienti erano inglesi e americani che andavano a visitare Venezia. Nella casa di uno di loro, Benedetto aveva incontrato una donna che avrebbe esercitato un’influenza disastrosa sulla sua vita. Era giovane, affascinante, raffinato, e di antica casata, anche se povero. Per questo era ben accolto nella migliore società veneziana. La donna alla quale Benedetto aveva offerto il suo cuore era di rango elevato. Giovane e romantico, nella sua infatuazione pensava che lei si sarebbe accontentata di divenire la donna di un pittore ambizioso, che non possedeva null’altro che il proprio talento e una reputazione in crescita.

Quando si incontrarono, lei aveva appena venti anni. Era di una bellezza perfetta, e dotata di tutte le attrattive che possono far perdere la testa a un uomo. Incoraggiò Benedetto in tutti i modi possibili, tanto che il poveretto, credendola sincera, pensava che ricambiasse il suo amore. Ma lei era freddamente calcolatrice, ambiziosa, mondana, e soprattutto incapace di ricevere o restituire un amore vero come quello di Benedetto, che sapeva amare o odiare solo in modo assoluto. Lusingata dai suoi omaggi appassionati, era fiera di aver conquistato un uomo così bello e così dotato. Ma non era affatto nelle sue intenzioni sacrificare qualcosa per lui. Perciò, mentre prodigava le proprie tenerezze a Benedetto, cercava di contrarre matrimonio con un nobile veneziano di età matura, un conte, che disprezzava, ma di cui bramava la posizione e la fortuna.

Benedetto ben presto vide la fine del suo sogno. Le confessò il proprio amore, e depose il proprio cuore ai piedi dell’amata. Lei accolse la sua dichiarazione con freddezza, e gli replicò che le era impossibile vivere senza denaro e senza posizione. Infine si congedò da lui con un’indifferenza che lo rese quasi pazzo. Lui lasciò Venezia per Parigi, e si gettò nei piaceri di quella città per dimenticare quella passione sfortunata.

Non si rividero più per molti anni, ma infine il destino condusse di nuovo Benedetto a Venezia. Nel frattempo era diventato un pittore di grande fama, e poteva chiedere qualunque prezzo per i suoi dipinti. La donna era riuscita a sposare il conte che disprezzava, e regnava sull’alta società per la sua bellezza e la sua eleganza. Era costantemente circondata da una folla di ammiratori, che non sempre pensava fosse utile presentare a suo marito. Benedetto, credendosi ormai guarito dalla passione di una volta, era deciso a mostrarle solo indifferenza, ma non ne ebbe la forza. Di nuovo la donna si ingegnò per conquistare il cuore di Benedetto che, purtroppo, fu pronto a perdonarla, quando lei gli espresse, con tono sincero, quanto fosse dispiaciuta di averlo respinto.

Così Benedetto divenne in segreto il suo amante. I pochi giorni di felicità passarono in fretta: la donna amava fare sempre nuove conquiste, e si offriva sempre nuovi schiavi che le rendevano omaggio. Con la sua gelosia e la sua devozione eterna, Benedetto divenne per lei presto noioso, e la sua presenza finì con lo stancarla. Inoltre, vi era un altro spasimante, ricco, giovane e bello, che la contessa gli preferiva. Non ne fece mistero con Benedetto, e per la seconda volta lo liquidò. Lui minacciò, sospirò, e giurò di suicidarsi se lei lo avesse tradito. Infine, dopo una violenta lite, si separarono, e Benedetto tornò a casa. Il giorno dopo gli fu detto che la contessa rifiutava di vederlo. L’insolenza del messaggio, la mancanza di cuore della donna, la vergogna per essere stato usato e gettato via, fu troppo forte per la sua natura passionale. Tornò nel suo studio e si sparò.

Quando il suo spirito riprese coscienza, si ritrovò sepolto vivo nella bara. Aveva sì distrutto il proprio corpo fisico, ma il suo spirito ne sarebbe rimasto prigioniero fino alla sua decomposizione. Dal momento che il legame tra spirito e corpo non era ancora interrotto, le particelle di carne ancora imprigionavano lo spirito.

Quale spaventoso destino è quello dell’anima che, per un gesto impulsivo di disgusto della vita, si mette in una tale situazione! Se gli esseri umani della Terra volessero veramente rendere un servizio ai suicidi, non dovrebbero sotterrare il loro corpo, bensì cremarlo, perché l’anima possa in questo modo uscire dalla sua prigione. L’anima di un suicida non è pronta a lasciare il corpo. È come un frutto immaturo, che non cade facilmente dall’albero terreno che lo nutre. Una forte scossa lo agita, è vero, ma malgrado tutto resta attaccato finché quel legame non scompare.

A volte, Benedetto perdeva conoscenza, e dimenticava per un certo tempo la sua orribile situazione; dopo ogni risveglio, notava che con il progredire della decomposizione il suo corpo fisico perdeva il suo potere di attrazione sul suo spirito. Ma per tutta la durata di quel processo, soffrì in tutto il suo corpo la lenta putrefazione della carne. La rapida distruzione del corpo terreno tramite il fuoco gli avrebbe provocato, è vero, una sofferenza più violenta, ma gli avrebbe almeno risparmiato la sofferenza del decadimento progressivo.

Infine il legame tra corpo fisico e corpo spirituale si allentò, e quest’ultimo si elevò al disopra della tomba. Per un certo periodo non fu più imprigionato nel corpo terreno, ma gli restava comunque attaccato. Poi si ruppe anche l’ultimo legame, e fu in grado di circolare liberamente sul Piano Terrestre.

All’inizio, le sue facoltà di intendere, vedere e sentire erano solo debolmente sviluppate. In seguito, i suoi sensi migliorarono e lo resero cosciente di ciò che lo circondava. Ma, assieme alle forze, tornavano anche le passioni e i desideri della vita terrena, e man mano acquistò la conoscenza per soddisfarli. Cercò di nuovo, come nella sua vita precedente, di dimenticare il dolore e l’amarezza nell’ubriacatura e nelle gioie sensuali, ossessionando degli esseri mortali. Tuttavia, la memoria del suo passato lo tormentava senza tregua. Provava una grande sete di vendetta, un potente desiderio di far soffrire colei per cui lui aveva tanto sofferto.

La forza dei suoi pensieri lo portò infine da lei. La trovò circondata, come al solito, dalla sua piccola corte di ammiratori. Era sempre la stessa persona senza cuore, per nulla toccata dal destino di Benedetto. Reso quasi pazzo dal ricordo ossessivo delle sofferenze subite a causa sua, Benedetto non pensò più che ad una cosa: trovare il mezzo per sottrarle tutte le soddisfazioni mondane che aveva posto prima dell’amore, dell’onore e della vita stessa di Benedetto.

Riuscì nel suo intento, perché gli spiriti sono molto più potenti di quanto gli esseri mortali possano immaginare. Poco a poco, cadde dalla sua orgogliosa ed elevata posizione. Perse prima la sua fortuna, poi il suo onore. Privata dei suoi travestimenti, si rivelò agli occhi di tutti per ciò che era veramente: una volgare seduttrice che giocava con le anime degli uomini, incurante dei cuori che spezzava, incurante delle vite che rovinava, incurante dell’onore di suo marito, che dissimulava i propri intrighi per acquistare fortuna e potenza, e che passava senza rimorso sul corpo di ogni nuova vittima.

Benedetto trovava consolazione nel fatto di essere proprio lui a trascinarla verso la decadenza, smascherandone così l’egoismo. Lei constatò con sgomento e impotenza che tutti gli avvenimenti della sua vita conducevano verso la rovina. Come era possibile che i suoi piani più meticolosi venissero contrastati, e i segreti più gelosamente custoditi venissero svelati? Finì col vivere nel continuo timore di ogni nuovo giorno. Era come se una potenza invisibile fosse all’opera, una potenza a cui non poteva sottrarsi.

Alla fine le tornò in mente Benedetto, ricordò le ultime minacce che le aveva fatto, di andare lui stesso all’Inferno e poi di attirarla dove era lui. Per un attimo aveva temuto che volesse assassinarla, ma quando aveva saputo del suo suicidio, si era sentita sollevata e lo aveva dimenticato. Ma ora, pensava a lui continuamente, e non riusciva più a liberarsi dei pensieri ossessivi che le ispirava. Era perseguitata dall’immagine di Benedetto che usciva dalla tomba per punirla.

Era Benedetto che, invisibile, le sussurrava quei pensieri nell’orecchio. Le parlava del passato, del suo amore che si era tramutato in un odio implacabile, che lo divorava come le fiamme dell’Inferno, che ben presto avrebbero consumato anche la sua anima e avrebbero portato anche lei alla disperazione.

Anche se i suoi occhi mortali non potevano percepirlo, la contessa sentiva presso di sé quella presenza. Per liberarsene, frequentava luoghi affollati, ma lo spettro non la lasciava mai. Diveniva ogni giorno più presente, più reale. Non poteva sfuggirgli. Una sera infine, nella penombra, lo vide; aveva due occhi minacciosi, e ogni tratto del suo viso esprimeva odio. L’emozione fu troppo forte per i suoi nervi ormai deboli: cadde morta al suolo.

Benedetto aveva finalmente raggiunto il suo scopo: l’aveva uccisa. Il segno di Caino era ormai impresso per sempre sulla sua fronte. Fu improvvisamente assalito dall’orrore e dal disgusto per ciò che aveva fatto. Aveva voluto attirarla con sé all’Inferno, quando il suo spirito avesse lasciato il corpo, per farla soffrire eternamente, in modo che nemmeno nell’oltretomba la sua anima potesse trovare riposo. Ora però era assalito dai rimorsi. Il suo unico desiderio era fuggire da se stesso, e dimenticare l’orrore del suo successo, perché non tutta la bontà era scomparsa dal suo cuore. Quando la contessa era morta di spavento, si era improvvisamente risvegliato dalla sua ossessione di vendetta, e aveva preso coscienza della natura diabolica dei suoi sentimenti. Fuggì dalla Terra: il suo cammino lo condusse verso le profondità infernali, fino a questa città dell’Inferno, una residenza adatta agli assassini come lui.

L’ho trovato in questo luogo. È qui che ho assistito quell’uomo pentito, e ho potuto mostrargli come riparare ai suoi errori. Ora attende l’arrivo di quella donna che ha amato e odiato, per chiederle perdono, e per perdonarla a sua volta. Anche lei è stata attirata in questa sfera, perché anche la sua vita è stata piena di errori. Si rincontreranno qui, nel riflesso della città nella quale si svolse la storia del loro amore terreno; egli l’attende ora su questo ponte sul quale così spesso l’aveva raggiunta in passato».

«Arriverà presto?».

«Certamente, molto presto. In quel momento il soggiorno di Benedetto in questa regione finirà, e lui passerà in una sfera più elevata, nella quale riposerà per un certo tempo, prima di percorrere lentamente e faticosamente il difficile cammino verso la Luce».

«E quella donna lascerà questa sfera con lui?».

«No. Anche lei a sua volta verrà aiutata a crescere, ma le loro strade si separano qui. Non vi è stata mai una vera affinità spirituale tra i due, solo cieca passione e orgoglio. Dopo quest’ultimo incontro, penso che si separeranno per mai più rivedersi».

Ci avvicinammo a Benedetto. Posai la mano sulla sua spalla, si alzò e si volse verso di me. Non mi riconobbe subito. Gli portai però alla mente dei ricordi, gli dissi quanto sarei stato felice di riannodare con lui la vecchia amicizia, nella sfera più elevata nella quale, come speravo, ci saremmo presto rivisti. Gli raccontai brevemente come anch’io avevo peccato, e ciò che avevo dovuto affrontare, e gli spiegai che ora ero sul cammino della crescita. Parve felice di vedermi e mi strinse la mano commosso.

Ci separammo dopo poco tempo. Fedele ed io continuammo il cammino, lasciandolo su quel ponte ad attendere l’ultimo appuntamento con quella donna una volta così tanto cara a lui, ma che ormai non era altro che un doloroso ricordo.

* * *

Mentre camminavamo lungo la strada che si allontanava da Venezia, e ci portava verso la pianura che sapevo essere la replica spirituale della pianura lombarda, la mia attenzione fu attratta da una voce lamentosa che chiedeva aiuto. Mi voltai verso destra, e vidi due spiriti che giacevano al suolo. Pensando che qualcuno avesse bisogno di essere soccorso, mi separai dal mio compagno e andai a vedere cosa stava accadendo. Uno degli spiriti mi tese la mano e mi chiese di aiutarlo. Mentre mi stavo abbassando, mi cinse le gambe con entrambe le braccia e cercò di mordermi. Quanto all’altro, fece un balzo felino, e mi saltò alla gola.

Con una certa difficoltà e, lo confesso, con una buona dose di collera, me ne sbarazzai. Arretrando inciampai; dietro di me si apriva una profonda fossa nella quale sarei caduto, se avessi fatto un altro passo indietro. Ricordai immediatamente le direttive che ci avevano dato di non dare mai spazio alle nostre passioni basse, per non abbassarci al livello di quegli esseri. Mi pentii della mia breve esplosione di collera e decisi di mantenere, in futuro, la calma ed il sangue freddo.

Mi voltai di nuovo verso quei due spiriti. Uno strisciava al suolo, senza dubbio - pensai - perché lo avevo ferito; l’altro era pronto a saltare su di me come una bestia selvaggia. Riconobbi nell’uno l’uomo dalla mano avvizzita, e nell’altro colui che aveva poco tempo prima cercato di sviarmi con un falso messaggio. Li guardai con fermezza, ordinando loro con tutta la forza della mia volontà di non avvicinarsi. Sembrarono sorpresi, e si tennero a distanza. Cominciarono a rotolarsi al suolo, facendo delle strane espressioni e digrignando i denti come dei lupi. Non erano però in grado di fare un solo passo verso di me. Li lasciai in quello stato per raggiungere Fedele e raccontargli la mia avventura. Ma questi ridendo mi disse:

«Vedi Franchezzo, avrei potuto dirti chi erano quei due. Ma ho sentito che era meglio che lo capissi da solo, e sperimentare così il potere di protezione che è costituito dalla propria forza di carattere e dalla determinazione. Tu hai per natura una forte volontà. Se non la usi per dominare in modo sbagliato gli altri, questa è una qualità preziosa. Nel corso del tuo lavoro nel mondo spirituale, scoprirai che la forza di volontà è la leva più potente per agire non solo sulle persone, ma anche sulla materia inanimata. Quei due spiriti probabilmente incroceranno il tuo cammino di tanto in tanto. Penso che quando ciò accadrà saprai loro mostrare, come hai fatto ora, chi comanda, e chi ha la personalità più forte. Avranno paura, da ora in poi, di affrontarti direttamente, ma per tutto il tempo in cui lavorerai sul Piano Terrestre, li troverai sempre pronti a far di tutto per sabotare i tuoi piani».

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