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Prefazione

A quasi sessant’anni ho superato alcune paure tra cui quella di essere giudicata per ciò che penso, ciò che scelgo e ciò che vivo. Forse è perché a mia volta, giorno dopo giorno, ho compreso sempre più il valore del “non giudizio” e della compassione.

So per certo che ciò che esprimerò potrà suscitare sentimenti vari, ma la decisione di scrivere in questo libro è nata dal cuore e non dalla testa. Non vi è una ragione precisa, direi che la motivazione è di puro piacere e mi sembra sufficiente. Ci sono esperienze che vale la pena di condividere.

Stavo osservando sullo schermo del mio portatile le nuove mail che venivano lentamente scaricate. Abito in un luogo in cui il tempo ha ancora una dimensione tangibile, non essendoci l’ADSL. “Libro interessante” era una dicitura che attirò la mia attenzione. La lettura è collocabile ai primi posti tra gli hobbies che allietano la mia vita e un titolo di libro suggerito dagli amici è sempre degno di nota. In realtà vi era ben di più di un titolo nel messaggio. In allegato una pagina tradotta da un testo che trattava un argomento particolare: il viaggio di un essere umano che dopo morto scopre di essere ancora vivo!

Mi immersi nella lettura e, al termine della pagina, scoprii che avrei potuto contribuire alla pubblicazione del testo se ne avessi ordinato alcune copie. In tempo reale ne richiesi cinque senza neppure consultarmi con la mia dolce metà. Ero certa che anche Angelo lo avrebbe letto con estremo interesse.

Trascorsero alcuni mesi prima che il libro giungesse nelle mie mani e potessi finalmente gustarmelo. Pagina dopo pagina scoprii delle analogie con conoscenze che facevano parte del mio vissuto.

Avevo venticinque anni quando, per la prima volta, mi ero ritrovata ad una seduta medianica. Curiosa per natura avevo accettato quell’incontro a cui neppure una “fifa blu” mi aveva impedito di partecipare. La paura è figlia dell’ignoranza ed io, nei confronti dell’invisibile e del non tangibile non avevo alcun bagaglio di informazioni. Di fatto, per nulla al mondo, mi sarei lasciata sfuggire quell’opportunità.

Papà mi aveva dato una chiave che ancor oggi porto nel cuore e nelle azioni. “Butta il cuore al di là dell’ostacolo e vallo a riprendere”. Sosteneva che fosse un motto degli Alpini. Che fosse vero o no poco mi importava, lo avevo già applicato e avevo constatato che funzionava.

Arrivai all’appuntamento accompagnata da colui che allora era solo il mio ragazzo. Sapevo molto vagamente cosa mi aspettava, ma ricordo, che all’avvicinarsi dell’ora stabilita per l’incontro, la paura e l’agitazione lasciavano il posto ad una calma e ad una serenità a me inusuali quando dovevo affrontare situazioni nuove.

Mi ritrovai seduta in una stanza, di fronte a me colei che sarebbe diventata la mia maestra spirituale, anche se allora ero ben lungi dal sospettarlo. La tapparella, abbassata non completamente, lasciava filtrare la luce del giorno.

Jo, così avrei iniziato a chiamarla più avanti nel tempo, mi aveva accolta con un sorriso e mi aveva pregata di accomodarmi. Mi spiegò le modalità con cui sarebbe entrata in trance pregandomi di aspettare la discesa di Horward prima di formulare le domande che più mi stavano a cuore, di non pronunciare il suo nome[1] e di rispettare il tempo che avevo a disposizione.

Netta è la sensazione di pace e di armonia che ancor oggi, ripensandoci, percepivo.

Nonostante ciò una parte di me era incredula. Come avrei potuto avere la certezza che la persona che avevo di fronte avrebbe abbandonato il corpo, anche se solo momentaneamente, per dare la possibilità ad un altro essere di usarlo per comunicare con me? Come avrei potuto essere sicura che non fingesse, che in realtà non fosse tutta una messa in scena? In fondo conoscevo da poco Jolanda. Un amico, a cui ero molto affezionata, mi aveva chiesto di vivere quell’esperienza: voleva avere una mia opinione in merito. Con lui avevo condiviso i banchi alle scuole medie, insieme eravamo nella “compagnia di amici” per tutto il periodo del liceo poi, separati dalle scelte universitarie io a medicina lui a lingue, ci eravamo persi di vista e ritrovati quasi per caso, sempre che il caso esista.

Decisi di far tacere la mente, di darmi la possibilità di vivere un’esperienza di ascolto. “Salve figliola cara, eccomi qui”. La voce, per nulla alterata con solo un lieve accento inglese, ruppe il silenzio che da qualche minuto dominava nella stanza. Sentii che stavo dicendo “Salve Horward”.

Di nuovo faceva capolino la mia incredulità. Ma cosa sto dicendo, a chi mi sto rivolgendo? Il pensiero viaggia veloce. Riuscii a ritrovare lo stato di grazia dell’ascolto e mi ripromisi di rimanerci il più possibile.

Non ricordo quali furono le mie domande e ancor meno ciò che mi disse. So solo che il tempo trascorse lasciandomi la sensazione di aver vissuto un’esperienza “fuori dal tempo”. Era arrivato il momento per me di salutarlo e andarmene.

L’affermazione uscì dalle mie labbra ad una velocità sorprendente, non potevo non comunicargli la perplessità che aveva fatto capolino in me all’inizio del nostro incontro. “Sai che faccio fatica a credere che tu sia realmente quello che dici di essere?”. Ecco l’avevo detto ed ora una parte di me anelava a ricevere una risposta chiara, inconfutabile, logica, qualcosa che avrebbe fugato i miei dubbi e mi avrebbe dato delle certezze.

Con la serenità, la calma, la compassione e l’amore che contraddistinguono i Maestri di Luce, mi rispose: “Non preoccuparti, figliola, ci rivedremo ancora negli anni a venire, vivrai esperienze e riceverai tante conferme da fugare tutti i tuoi dubbi, se lo vorrai”.

Ero sulla porta quando la sua voce aggiunse: “Per quella cosa che hai e ti preoccupa tanto, sì, quella di forma ovale, grande circa due centimetri al tuo seno sinistro, non ti preoccupare, si riassorbirà da sola, stai serena”. Ci vollero due anni, ma così fu. Sentendomi radiografata e riconosciuta mormorai un grazie e mi accorsi che non era uscito dalla gola, ma dal cuore.

Quando si stabilisce un rapporto non vi è nulla di più prezioso che il sentirsi riconosciuti dall’altro.

Fu l’inizio del cammino che mi inoltrò lentamente e inesorabilmente nei sentieri del non tangibile e Horward divenne il mio Maestro spirituale.

Iniziarono le letture di vari testi che mi aprirono ad una visione più completa dell’essere umano.

Poco tempo trascorse che anche Angelo fece la mia stessa esperienza. Il nostro cammino di coppia si rinsaldava, avevamo scoperto un mondo molto vasto, ignoto ad entrambi e incredibilmente affascinante. Ancor oggi, a distanza di trent’anni, non ha finito di stupirci.

Una volta in cui andammo insieme da Horward ci confermò che il nostro desiderio di dedicarci a quelle che venivano definite medicine alternative sarebbe stata per entrambi la scelta più adatta.

Gli studi di esoterismo, delle varie medicine energetiche, della medicina tradizionale antica, orientale e occidentale, ci consentivano di comprendere sempre più chiaramente la struttura dell’essere umano dal punto di vita fisico e spirituale.

Horward ci aveva detto di essere un Maestro karmico, quindi il suo compito era quello di aiutarci a comprendere l’importanza della scelta, strettamente legata all’assunzione di responsabilità e non di suggerirci le soluzioni dei problemi. Se avessimo capito questo principio e avessimo cominciato a renderlo sostanziale nella nostra vita avremmo potuto gradatamente aumentare il nostro livello di consapevolezza.

La paura non è mai una piacevole compagna di vita e spesso è la causa del nostro “non agire”. I peccati di omissione sono peggiori di quelli di commissione.

Ci volle tempo per comprendere che, quando il nostro agire si dimostra sbagliato e ci porta un danno, la gravità non è tanto nell’aver commesso un errore di valutazione, quanto nel non comprendere la nostra parte di responsabilità.

Accettare questa possibilità e ricercare dentro e non fuori di sé le cause dell’infelicità significa anche cominciare ad amarsi e a compatirsi, nel senso di “patire insieme”, quindi poter lavorare per modificare gli aspetti di noi stessi che portano verso la sofferenza.

Posso cambiare solo ciò che mi appartiene a patto che riconosca come mio quell’aspetto. Questo è uno dei punti su cui ancor oggi non ho finito di scontrarmi con tutti coloro, e non sono pochi, che sostengono che il carattere non si può cambiare. Imparare ad agire con consapevolezza e non a reagire per istinto è una chiave di comportamento molto importante.

Tutti coloro che hanno intrapreso l’arduo e splendido cammino di ricostruzione del proprio essere, eliminando ciò che non piace e alimentando il meglio che è insito in ciascuno sanno di cosa sto parlando.

Chi sostiene che tutto ciò è impossibile continui pure a vivere entro gli schemi e i modelli che ha ereditato o ha acquisito e che continua ad alimentare. Solo un’esortazione: non si lamenti.

Ognuno può essere ciò che desidera essere, ma scoprire chi ciascuno di noi è veramente, scoprire la nostra vera essenza è di fatto un’avventura.

“Non combattete il male colpo a colpo, ma progredite energicamente verso il bene alimentandolo dentro e fuori di voi” è stata una delle frasi che mi sono rimaste impresse.

Dei primi anni ho ricordi vaghi. So che le occasioni per parlare con Jo non erano frequenti. Per H. vi era una sorta di procedura che rendeva l’incontro con lui una piccola, preziosa, intensa, parentesi.

Avevo venti minuti a disposizione. Con due leggeri colpi bussati alla porta Lina, la sorella di Jolanda che viveva con lei, mi annunciava che il tempo esisteva e mi ricordava che dovevo averne rispetto.

Per giungere a ciò, quando avevo maturato un’esperienza di confronto, a volte prima che ciò accadesse trascorrevano mesi, telefonavo a Jolanda. Spesso già il dialogo che poteva scaturire con lei mi forniva stimoli e risposte preziose.

Con il passare del tempo mi resi conto che il periodo che intercorreva tra la mia richiesta e l’incontro con Horward non poteva essere vissuto superficialmente e in una semplice attesa. Lo sforzo di essere coscienti nelle azioni e nelle scelte osservando con animo obiettivo il risultato che ne consegue è notevole, richiede impegno e... non si è mai abbastanza allenati.

“Viviate ogni istante della vostra vita qualitativamente come se fosse l’ultimo, non potete sapere in quale momento terminerà la vostra esperienza terrena”. Anche questa frase mi era entrata dentro e, nel corso della vita, ne ho capito sempre più il valore.

Tornando alle modalità con cui sono entrata in più profonda relazione con Jo ed Horward mi rendo conto che l’esperienza universitaria che stavo vivendo in quel periodo non era tanto dissimile.

I professori erano difficilmente disponibili e prima di incontrarmi con loro per i miei quesiti era opportuno che mi fossi ben preparata perché l’incontro fosse proficuo. Il tempo a disposizione era sempre poco più che una manciata di minuti, ma quando incontravo il docente giusto, il che non era né facile, né scontato, entrambi ne uscivamo consapevolmente arricchiti in esperienza e conoscenza.

Mi ritenevo molto fortunata, avevo alcuni docenti che mi stavano dando l’opportunità di sperimentare come funzionavano le cose sul piano fisico: “Se vuoi andare avanti, apprendere, riuscire in ciò che hai scelto di fare, studia, e renditi utile e indispensabile, ricorda, prima di tutto viene il servizio” – servire di fatto significa rendersi utili -.

Contemporaneamente avevo incontrato Jolanda e Horward, una polarità che mi stava trasmettendo insegnamenti sui piani del non tangibile, principi che stava a me tradurre in conoscenze scoprendo come, quando e in che campi avrei potuto applicarli giorno per giorno, nella vita quotidiana. Entusiasmante! Inoltre potevo condividere questa avventura con il mio ragazzo, dal momento che anche lui mostrava un interesse sempre crescente.

Non mi sono mai sentita una prescelta, ma ho sempre nutrito un sentimento di profonda gratitudine per le opportunità che la vita mi dava e tuttora ringrazio perché sembra che l’avventura non sia per nulla finita.

Giorno dopo giorno, con il trascorrere dei mesi, il ruolo di Jolanda diveniva sempre più chiaro e il rapporto con lei e con Horward più intenso e ciò non dipendeva dalla frequenza dei nostri incontri. La dinamica era interiore. Jo era un canale attraverso cui ci veniva trasmesso dal mondo spirituale il messaggio di cui Horward era portavoce, ma non solo, come donna era un essere meraviglioso.

Schiva, ma non timida, presente ma non indispensabile, pur non avendo avuto figli stimolava in me e in quelli che la circondavano un profondo amore filiale e un grande rispetto.

Più volte ci aveva detto di avere riflettuto molto prima di accettare la missione di essere “il mezzo” di un’entità come Horward. Ci deve essere una sorta di affinità di vibrazione tra l’entità e il medium e lui proveniva da un piano alto, quindi Jo avrebbe dovuto tenere comportamenti di vita cristallini per poter permettere la sua discesa. La condizione che pose fu di essere sempre lasciata libera di scegliere e così fu. La percezione che noi tutti avevamo era infatti di trovarci di fronte a due individui che, per quanto collaboranti avevano una propria ben definita individualità. E lei, pur lasciando sempre trapelare le sue profonde conoscenze dei piani spirituali, lo faceva con una intensa carica umana.

Quando fummo invitati a partecipare ad una seduta collettiva, il sapere che avremmo avuto a disposizione due ore di tempo da trascorrere con Horward ci riempì di gioia.

Ci fu spiegato che con il termine collettiva di norma si intendeva una seduta in cui, oltre allo spirito guida del medium, detto anche guardiano della soglia, avrebbero potuto scendere anche altre entità a cui lui avrebbe “dato il passo”. Questo evento però, nell’arco dei dodici anni in cui si svolsero le sedute di due ore, accadde solo un paio di volte e fu Gina, la sorella di Jo, andata diciottenne nel mondo spirituale a causa di una brutta peritonite, che venne a parlarci.

Fu un’esperienza molto interessante. La discesa di Gina ci permise di relazionarci con un’altra persona e renderci conto di come e quanto l’individualizzazione che, grazie all’esperienza fisica raggiungiamo, ci caratterizzi e faccia di noi un piccolo mondo unico ed irrepetibile che conserviamo anche quando lasciamo il corpo.

Di solito alle sedute erano presenti da 6 a 8 persone che facevano parte della cerchia più ristretta di Jolanda e avvenivano in concomitanza di quello che era definito il “compleanno della discesa di Horward” e intorno alle festività di Pasqua o Natale.

Il gruppetto dei partecipanti si incontrava prima della seduta per preparare le domande che vertevano su argomenti di carattere generale. Potevamo registrare, lo sbobinare e la rilettura ci avrebbe dato la possibilità di chiedere ulteriori chiarimenti nelle sedute successive. Di fatto l’opportunità di rileggerle è stato prezioso per me.

Mi sono resa conto di come, quando un testo contiene dei messaggi per la coscienza e non solo per la mente o per il piano emozionale, il rileggerlo fa sì che ogni volta si abbia l’impressione che sia la prima in cui veniamo a contatto con quei concetti. L’unica spiegazione che mi sono data è che, man mano che cambia il livello di coscienza, si acquisisce una differente capacità di comprensione del messaggio.

Questo è uno dei motivi che mi ha indotta a non limitare il mio intervento in questo libro alla sola prefazione e a un capitolo introduttivo ma a rileggere per l’ennesima volta e a rivedere domande e risposte organizzandole per argomenti, datandole e inserendo dei commenti che spero possano essere utili a chi vorrà vivere l’avventura di leggere questo testo

Novembre 2007 - Daniela Braghieri Granata

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