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10 - LA ROCCIA DELLE LACRIME

Nel corso del gelido inverno del 1950-51 i profughi, in fuga dalle forze comuniste, si riversarono in Pusan. Verso la fine di gennaio, le truppe degli aggressori cinesi e nord coreani furono bloccate a circa cento chilometri a sud di Seul e, entro la metà di marzo, la capitale tornò di nuovo nelle mani del sud grazie alle forze ONU. Dal momento però che le sorti della guerra continuavano ad essere incerte, l’afflusso dei profughi non si arrestava. Pusan era il luogo più sicuro, o almeno quello più lontano che i comunisti avrebbero potuto raggiungere. I suoi circa sessanta campi di raccolta straripavano di persone.

Novantunomila persone erano state evacuate per nave da Heungnam. Centinaia di migliaia di profughi erano giunti con camion, per ferrovia, a piedi. Al largo di Pusan, l’isola di Koje ospitava oltre un milione di rifugiati, ed un’area recintata accoglieva circa centotrentamila prigionieri di guerra nordcoreani e cinesi. Il cibo mancava e la situazione era esacerbata dall’accaparramento. Il mercato nero prosperava, il crimine imperversava. Nonostante la vita esteriormente miserabile però, gli orgogliosi coreani mantenevano la loro dignità. Erano state messe in funzione delle scuole; i dignitari locali e delle ragazze vestite a festa davano il benvenuto alle navi americane che giungevano in porto. I sudcoreani si riprendevano un po’ alla volta dal panico provocato dall’improvviso scoppio della guerra: ora avevano più fiducia nella possibilità che le forze ONU avrebbero potuto respingere gli invasori. Il simbolo più espressivo di questa totale fiducia consisteva nella costruzione, lungo la strada dell’aeroporto, di palizzate destinate a nascondere lo squallore dei campi profughi agli occhi dei dignitari stranieri in visita.

I cittadini applaudivano educatamente i soldati stranieri che andavano al fronte, chiedendosi con quali mezzi o motivazioni, e se per intervento divino o umano, così tanti stranieri fossero venuti in loro aiuto. Pochi si preoccupavano del futuro e si chiedevano ad esempio se, come era successo altre volte nella storia della Corea, le forze straniere se ne sarebbero andate alla fine del conflitto o se sarebbero state riluttanti a farlo.

Sun-myung Moon e Kim Won-pil giunsero alla stazione di Pusan di notte, e la trascorsero accovacciati accanto ad un fuoco acceso in una latta vuota(1). All’alba il sole rivelò tutto lo squallore della città traboccante di sfollati.

Moon iniziò la ricerca dei suoi conoscenti che sapeva essere nella città. Trovò Kwak No-pil, l’amico di scuola, nella cui casa abbandonata aveva di recente abitato in Seul. Kwak viveva in una stanzetta con la moglie e la piccola figlia(2). Si salutarono con calore, e rimasero tutta la notte a parlare di religione. Moon cercò di convincere Kwak che Dio stava lavorando per riscattare l’umanità dal male. Per Kwak, questa era una favoletta. Era cristiano, ma nutriva dei dubbi sulla fede della sua infanzia. Quando la guerra era scoppiata, era al primo anno di studi politici all’Università Yonsei di Seul; sia gli studi, sia la brutale realtà della guerra, lo portarono a porsi mille domande sulla sua fede.

«L’esistenza di Dio ormai per me è solo un problema filosofico. Non sono nemmeno sicuro della sua esistenza», disse Kwak.

«Stai ponendo la domanda sbagliata» rispose Moon. «Non devi chiederti se Dio esiste oppure no: è troppo teorica. Chiediti invece: perché Dio esiste? Per cosa esiste? Se c’è una risposta a queste domande, la domanda sull’esistenza di Dio è scontata».

«Facile a dirsi… Come si fa ad evitare la domanda di base? Dio o esiste o non esiste».

«Voglio dire che, se riesci a capire perché Dio esiste, tutto torna, compreso il fatto dell’esistenza di Dio. Riflettere sull’esistenza di Dio in sé non permette di cogliere l’essenziale. La vera questione è se il rapporto esiste, voglio dire il rapporto tra Dio e l’uomo».

Kwak non era convinto. Il mattino dopo Moon cominciò a parlare del proprio futuro, e gli disse:

«Un giorno tutte le religioni si uniranno, dobbiamo unire le diverse fedi». Affermò che avrebbe presto scritto un libro e che quell’insegnamento avrebbe dovuto essere diffuso in tutto il mondo.

«Un giorno la Corea sarà una grande nazione. I cristiani verranno qui da tutto il mondo per apprendere questo insegnamento».

Kwak ascoltava in silenzio, pensando tra sé e sé: «La Corea grande? Al momento Pusan è tutto ciò che resta della Corea. Quest’uomo è pazzo»(3).

Un pomeriggio, poco dopo il loro arrivo in città, Moon stava salendo una scalinata vicino alla stazione di Pusan. Pioveva a dirotto. In cima ai quaranta scalini riconobbe le fattezze di una persona: era Aum Duk-moon, il suo vecchio amico di Waseda. Dapprima Aum pensò che la persona che lo guardava, anche se il volto gli appariva vagamente familiare, fosse un mendicante: non rasato, zuppo di pioggia, Moon indossava una camicia bianca tradizionale ormai grigia per lo sporco, pantaloni color cachi e scarpe nere di gomma.

«Moon!» urlò Aum riconoscendolo. Si abbracciarono(4). Moon gli raccontò di essere fuggito dalla Corea del Nord. Quando era scoppiata la guerra Aum stava lavorando in città come architetto, ed in quel momento si occupava della costruzione di un ospedale.

«Quando sei arrivato? Che fai?» chiese Aum. Moon sorrise e non rispose. «Dove vivi?» insistette.

«Sono arrivato ieri, perciò non ho un posto dove stare»(5) rispose Moon. Poiché Kim Won-pil aveva trovato un lavoro come cameriere, e riceveva l’alloggio dal proprietario del ristorante, Moon era da solo e senza casa.

«Vieni a stare con me» gli disse Aum.

«Non voglio crearti fastidi» rispose Moon, ma Aum insistette.

«Va bene, ma resterò per tre giorni» ribatté Moon. Aum, la moglie ed i loro due figli vivevano in una stanza al secondo piano di una casa nel quartiere di Bumin-dong. Aum dette a Moon dei vestiti asciutti.

«Non c’è riscaldamento qui. Fa davvero freddo. Andiamo a bere qualcosa» disse l’architetto all’amico. Poi ricordò che Moon non beveva e gli disse che comunque avrebbero potuto mangiare qualcosa.

«Preferirei non andare» gli rispose Moon, così rimasero in casa. La moglie di Aum, Ko Hee-yong, preparò la cena e lavò i vestiti del profugo. Durante la cena, Moon raccontò la storia del viaggio con Pak Chong-hwa e Kim Won-pil da Pyongyang.

«Dal momento che leggevi la Bibbia così intensamente quando studiavamo in Giappone, parliamo di cristianesimo», propose Aum. E non appena Moon cominciò a parlare, l’amico sentì un grande calore nascere dentro di lui.

Moon gli parlò della sua visione di Dio e della Sua provvidenza per vari giorni. Educato come buddista, Aum non sapeva pressoché nulla di cristianesimo, ma rispettava Moon e non contraddiceva il suo punto di vista. Una notte sognò una donna che affermò di essere la sorella di Gesù. La donna gli raccontò che Gesù provava del risentimento verso la propria madre, e che Moon possedeva la chiave per liberarlo da questo sentimento. Aum narrò il sogno a Moon; questi gli parlò della vita di sofferenza di Gesù che, affermò, nemmeno i cristiani comprendevano. L’architetto smise di trattare familiarmente l’amico, e cominciò a chiamarlo Sonseng-nim. In segno di rispetto cedette a Moon i propri bastoncini d’argento per il riso, che fino ad allora aveva usato lui, e chiese alla moglie di servire Moon per primo ai pasti.

Aum e la moglie sentivano che le loro vite stavano cambiando. Sentivano che Moon aveva un rapporto speciale con Dio. Un giorno la moglie di Aum cadde per le scale e svenne. Il marito voleva portarla all’ospedale, ma Moon la stese sul pavimento e pregò per lei intensamente finché non rinvenne.

Quella domenica, Kim Won-pil e Ok Se-hyun raggiunsero la casa di Aum e tennero un piccolo servizio religioso. Moon e Kim avevano trovato la signora Ok per il tramite del Rev. Han Sang-dong, un pastore, profugo anch’egli, che conoscevano perché avevano partecipato ai servizi religiosi da lui tenuti a Pyongyang(6). Moon trovò anche la signora Lee, la sua ex padrona di casa in Seul; la donna diede ad Ok della stoffa per cucire degli abiti nuovi per Moon e Kim, ma questi tempo dopo la vendettero per pagare l’affitto.

Poco dopo quel primo servizio religioso, l’anziana padrona di casa di Aum disse a Moon che se ne doveva andare. Le sembrava assurdo che vivesse con Aum, la moglie ed i due figli in così poco spazio, ed era irritata dalle loro conversazioni, che duravano fino a notte fonda. Aum le chiese di smettere di dare ordini a Moon, e la donna, esasperata, sfrattò tutta la famiglia. Trovarono un nuovo alloggio con due stanze, dove prese posto anche Kim Won-pil. Gli uomini dormivano in una stanza e la signora Aum con i bambini nell’altra. Dopo una settimana furono cacciati anche da lì. L’architetto mandò perciò la propria famiglia a trovare un alloggio in Masan, una città lungo la costa vicino a Pusan. Aum passò le notti nell’auto di un amico.

Nel frattempo Moon aveva rintracciato Kim Won-dok, l’ufficiale dell’esercito nordcoreano che aveva incontrato in prigione. Dopo il trasferimento da Heungnam, Kim era sopravvissuto ad un massacro di prigionieri perpetrato dalle guardie comuniste in ritirata durante la guerra. Era fuggito in Corea del Sud, dove era diventato poliziotto(7). Moon abitò in casa di Kim Won-dok e della moglie, che aveva sposato da poco, per due settimane.

Moon andava a volte con Kim Won-dok ed Aum Dukmoon nel ristorante in cui Kim Won-pil lavorava. Won-pil chiedeva allora al proprietario se poteva loro servire qualcosa da mangiare. In una di quelle occasioni notò che Moon ingurgitava avidamente il cibo: allora capì quanto dovesse essere affamato. In effetti Sun-myung spesso non aveva di che nutrirsi ed in aprile non aveva nemmeno un tetto. A volte andava al porto di Pusan per cercare lavoro; se lo trovava, lavorava la notte e dormiva all’aperto nel caldo del giorno.

C’era comunque speranza che la situazione cambiasse, perché Moon portava ancora con sé la mappa del tesoro che Pak aveva ricevuto in prigione. Nell’estate del 1951, Moon ed Aum andarono nella città di Yosu alla ricerca del tesoro. Yosu aveva acquistato notorietà in quanto anni prima era stata la sede di una rivolta comunista e le vittime erano state seppellite nel cimitero pubblico. Era lì che, secondo il racconto che Moon aveva sentito in prigione, il viaggiatore coreano di ritorno dall’India aveva sepolto i propri gioielli. Alloggiarono in una locanda presso il cimitero e cominciarono a cercare il piccolo cartello con i caratteri «nam-hae-bo» (tesoro dei mari del sud) nel cimitero. Dopo due giorni abbandonarono le ricerche e tornarono a mani vuote a Pusan(8).

Moon e Kim si trasferirono in una pensione per lavoratori, di fronte alla stazione di Choryung. Moon aveva finito di scrivere la sua teologia nella casa di Kim Won-dok, ma l’atmosfera del nuovo alloggio non era granché favorevole alla continuazione del lavoro. I muri di carta non permettevano di avere un minimo di riservatezza, né si riusciva ad evitare il rumore delle bevute notturne di gruppi di amici che alloggiavano nelle stanze vicine. Dopo dieci giorni decisero di trovare un luogo nel quale poter costruire la loro casa; in giugno quindi si trasferirono a Pomne-gol, una collina nel distretto di Pomil-dong, alla periferia della città(9).

Aum e Kim restavano al lavoro per buona parte della giornata; Moon quindi costruì gran parte della casa da solo. Come fondazione dell’edificio utilizzò delle grosse pietre trovate nei dintorni, che trasportò a spalla con un contenitore. Riempì poi dei sacchi di terra che trasportò sul luogo della costruzione.

Iniziò la costruzione posando uno strato di pietre coprendolo con uno strato di terra, vi versava sopra dell’acqua e passava poi a realizzare un altro strato. I muri ed il tetto erano in legno e scatole di cartone raccolte dai negozi. Fece una finestra e coprì il tetto con dei cartoni. I primi due tentativi di creare la fondazione fallirono a causa delle piogge primaverili, ma la terza volta la base si rivelò utilizzabile. La «casa» - un’unica stanza di tre metri per due – fu finita nel mese di settembre: «Ai nostri occhi quella baracca appariva come un palazzo», ricorda Aum(10).

Moon, Kim ed Aum dormivano su una stuoia, alternandosi di testa e di piedi, e mangiavano mettendo il cibo su una cassetta per frutta rovesciata. Dalla collina la sera potevano vedere la città, ed anche il porto, dove erano ormeggiate le navi americane e delle Nazioni Unite, che trasportavano soldati e rifornimenti. Moon chiedeva a volte ad Aum di cantare, ed insieme parlavano e cantavano fino a notte fonda.

Circa venti metri più in basso c’era un’altra costruzione realizzata da una famiglia di rifugiati, nella quale vivevano sedici persone, tutti membri dì una famiglia di nome Song. Queste persone erano di religione buddista; quando vivevano in Corea del Nord erano benestanti, ma con la guerra erano fuggiti ed erano giunti a Pusan da Pyongyang con un treno merci (11). Uno dei figli di Song, il dodicenne Moon-kyu, era il capo di una banda di ragazzini figli di rifugiati, che saltuariamente avevano aiutato Moon e Kim Won-pil nella costruzione della casa.

Un giorno Moon, che i ragazzini chiamavano «Grande zio»(12), lo chiamò: «Seguimi sulla collina», gli disse. Song Moon-kyu lo seguì.

«Sai chi è Gesù Cristo?» chiese Moon all’improvviso.

«No, non lo so», rispose Moon-kyu.

«Sai dov’è Israele?»

«No»

«Ora non lo sai figliolo, ma la prossima volta te lo dirò». Il ragazzo non era granché interessato, ma fu colpito dallo «zio».

Dopo aver costruito la casa, Moon scavò sotto una vicina sorgente per farne un pozzo, che la famiglia Song usava. Una sera. Durante la stagione dei tifoni il tetto dei Song volò via. Al mattino Moon portò loro della zuppa calda. I Song ricostruirono la loro casa come Moon aveva fatto la sua, con una fondazione di pietre ed argilla.

Spesso Moon portava il piccolo Moon-kyu sulla collina fino ad una grande roccia, e gli chiedeva di aspettarlo mentre lui la scalava. Moon a volte scompariva per ore. Anche se nervoso e curioso, Moon-kyu aspettava, come gli era stato detto. Più tardi seppe che Moon stava scrivendo la sua teologia. Durante una giornata di vento, Moon-kyu permise con riluttanza al Grande Zio di usare il proprio aquilone. Moon-kyu, il leader della banda di ragazzini, aveva legato dei pezzetti di vetro al filo; in questo modo, quando toccava i fili degli altri aquiloni, li tagliava. Moon fece volare l’aquilone, e poco tempo dopo si alzò un forte vento che lo trascinò via. Il ragazzino era desolato. Non poteva dire niente al Grande zio, che era sempre stato gentile con lui, così sfogò la sua frustrazione urlando contro i membri della sua gang.

Gli abitanti delle case vicine entravano sempre più in confidenza. Il padre di Moon-kyu invitò Moon più volte a bere qualcosa, ma Moon declinò sempre l’invito. Sua madre e sua sorella a volte aiutavano Moon e Kim a preparare ed a cuocere i pasti. Anni dopo, il giovane Moon-kyu, suo padre, sua sorella ed un altro membro della banda divennero seguaci di Moon.

In quel periodo, la signora Ok Se-hyun andava da loro due volte alla settimana per cucinare e per lavare i loro abiti. Più oltre cominciò a prendersi cura più frequentemente di Moon, di Kim e dei loro ospiti, un impegno che creò ancora più attrito con la propria famiglia. Aum ad un certo punto lasciò la casa per raggiungere la famiglia(13).

Moon saliva sulla collina, prima dell’alba, per pregare. A volte portava con sé Kim Won-pil e gli chiedeva di fermarsi in un certo punto a pregare, mentre lui si spostava su un’altra roccia. Moon passava molto tempo in quel luogo, che più oltre fu conosciuto tra i suoi seguaci come «la roccia del pianto».

In quel periodo quando pregava piangeva continuamente. A volte Kim si svegliava nel cuore della notte perché Moon cantava sottovoce o piangeva raccolto nella preghiera.

Moon passava molto tempo a scrivere il Principio. Scriveva varie pagine, poi chiedeva a Kim di leggerle ad alta voce ed apportava delle correzioni. A volte riceveva improvvisamente l’ispirazione di scrivere delle frasi, le scribacchiava velocemente sulle pareti o sul soffitto. Una mattina presto svegliò Kim e gli chiese di accendere la lampada a cherosene. Gli dettò così di getto l’intero capitolo sul ritorno del Cristo(14).

Kim Won-pil, in quel periodo, lavorava come assistente di un pittore presso una base americana; trovò così per Moon un lavoro come carpentiere della durata di un mese. Uno dei colleghi di lavoro di Kim faceva dei ritratti per i soldati americani – mogli, amiche, membri delle loro famiglie – ricavandoli dalle foto che gli venivano fornite. Un giorno, per ricompensare Kim per averlo coperto durante una sua assenza, il collega gli offrì di collaborare con lui.

La prima richiesta che mi fece fu di fare il ritratto di una ragazza nera. Fino ad allora non avevo mai visto di persona un nero. E dal momento che quella che avevo era una foto in bianco e nero, non avevo idea del colore che avrei dovuto usare per il volto. Dopo aver provato e riprovato faticosamente per quattro ore, riuscii finalmente a finire il piccolo quadro. Timoroso che il risultato non fosse soddisfacente, glielo portai il giorno dopo.

Mi sarei accontentato che il mio compagno apprezzasse il fatto che lo avevo finito, anche se poteva pensare che non fosse abbastanza buono da essere pagato. Con mia grande sorpresa il ritratto gli piacque molto, e mi disse che era molto buono. Non solo mi pagò più di quanto mi aspettassi, ma mi passò altri ordinativi. Così divenni un pittore professionista(15).

Kim tornava a casa dal lavoro verso le sei del pomeriggio e Moon faceva trovare pronti pennelli e colori. Con il tempo gli ordini aumentavano, così giunsero a passare sei o sette ore a fare ritratti. Kim, l’artista, schizzava la figura e Moon colorava gli abiti e lo sfondo; giunsero così alla «produzione di massa»: un ritratto ogni venticinque minuti. Kim consegnava a Moon tutto il suo guadagno. Quest’ultimo acquistava riso ed altri cibi, legna da ardere e kerosene. Una mattina chiese scusa a Kim perché aveva finito i soldi e gli fece un meticoloso resoconto di quanto aveva speso in cibo ed in viaggi per i visitatori, il cui numero era in continua crescita.

Anni dopo, i racconti che Kim fece di queste esperienze dei primi anni di vita con Moon, furono pubblicati ed ebbero una grande influenza sulla nuova generazione di seguaci di Moon. Uno dei fatti riguardava la sua gelosia nei confronti di un altro seguace, gelosia che divenne così forte che un giorno Kim rifiutò di parlare con Moon:

Il Padre continuava a dirmi: «Devi parlarmi, per favore parlami», ma io rifiutavo di farlo. Me lo ripeteva continuamente; nel cuore provavo un profondo dispiacere, ma il mio orgoglio mi impediva di rispondergli. Infine il Padre iniziò a piangere, implorandomi: «Per favore, parla!». Dal momento che il Padre piangeva, anch’io mi commossi ed iniziai a piangere. Alla fine riuscii a parlargli di nuovo.

Il Padre ascoltò ciò che sentivo dentro di me e mi rispose: «Se hai un problema o se ti senti male per qualcosa, non tenerlo dentro di te per più di tre ore. Devi risolvere il problema entro tre ore»(16).

Il 10 maggio del 1952 Moon finì di scrivere il Principio. Lo stesso giorno una giovane frequentatrice del Seminario presbiteriano, la venticinquenne Kang Hyun-shil, percorse la salita fangosa che portava là dove Moon viveva, in Pomne-gol, per incontrarlo. La sua intenzione era di convertirlo; invece, diventò la prima evangelizzatrice di quella che sarebbe diventata la Chiesa di Unificazione.

La signorina Kang proveniva da una famiglia profondamente cristiana(17). Suo padre era un Anziano della sua chiesa, che era stato imprigionato dai giapponesi per aver rifiutato l’ordine di praticare il culto nei templi scintoisti. Indebolito dalle torture, morì alcune settimane dopo la sua liberazione. Kang dedicò la propria vita a Dio e, dopo la sconfitta dei giapponesi, entrò nel Seminario Teologico Coreano di Pusan il cui fondatore, il Rev. Han Sang-dong, era stato in prigione con suo padre. Il seminario era molto rigido ed il suo indirizzo era fondamentalista. La donna frequentava la chiesa di Pomil-dong.

A quel tempo ero pazza di Gesù. Ero determinata a testimoniare fin quando tutta la Corea non fosse stata convertita. Pregavo per ore ogni giorno. Visitavo anche i malati di tubercolosi allo stadio terminale nell’ospedale, persone alle quali nemmeno i famigliari si avvicinavano per paura dell’infezione, e pregavo e piangevo, e li abbracciavo per salvarli(18).

Quando un membro della sua chiesa le disse che c’era un giovane predicatore che spiegava la caduta dell’uomo e la salvezza in modo diverso, Kang pregò per una settimana per sapere da Gesù se doveva andare a salvarlo o no. Il 10 maggio pioveva e, invece di andare a visitare dei fedeli, andò in chiesa a pregare. Lì ebbe l’ispirazione che era giusto andare a trovarlo. Con una certa difficoltà trovò la sgangherata casa di Moon, dove la signora Ok la invitò ad entrare. Qualche tempo dopo Moon arrivò. Indossava un paio di vecchi e sporchi pantaloni di stile tradizionale, una vecchia giacca di pelo color marrone, scarpe di gomma e calzini militari. La donna pensò che fosse un operaio.

«Salve. Da dove viene?» chiese Moon(19).

«Vengo dalla chiesa presbiteriana del villaggio, sono un’evangelista», rispose. Moon stese una stuoia sporca sul pavimento ed invitò l’esitante Kang a sedersi.

«Dio le ha dato tanto amore negli ultimi sette anni», le disse Moon. Quel commento era così inatteso che sconvolse Kang. Invece di iniziare a parlare del motivo per cui era giunta lì, si trovò a chiedersi cosa Moon intendesse dire. Notò così che erano trascorsi sette anni da quando aveva dedicato la propria vita a Dio.

«Oggi è un giorno davvero speciale, e lei è fortunata ad essere qui», continuò. Tempo dopo, le avrebbe rivelato che quel giorno aveva finito di scrivere il manoscritto ed era appena tornato dalla collina, dove era andato a chiedere a Dio in preghiera di mandargli dei discepoli.

Moon iniziò a parlare del ritorno del Cristo. Man mano che approfondiva l’argomento, parlava in modo sempre più energico, e con un tono di voce così alto che la giovane donna cominciò a provare imbarazzo. Si allontanò da lui appoggiandosi al muro e guardò il suo viso. Gli occhi sembravano lampeggiare, e continuava a bere acqua da una bottiglia.

«Il Messia verrà in Corea» disse infine Moon.

«Sarebbe una cosa davvero bella» rispose Kang. «La Corea è una nazione molto povera con tanti problemi. E sarebbe bello se il Messia tornasse con un corpo fisico come il nostro. Ma è impossibile credere che ciò possa avvenire».

Dopo tre ore Moon finì di parlare. Kang, sollevata, si alzò per andarsene, ma Moon insistette perché restasse a cena. Le fu servito un pasto a base d’orzo, kimchi acido e crema di fagioli su una piccola tavola di pino.

«Può pregare?» chiese Moon prima di mangiare. Kang, ancora incapace di raccogliere i propri pensieri dopo il bombardamento di tre ore, declinò l’invito. Esausta ed irritata, aveva abbandonato ogni idea di convertire quell’eretico. Moon chiuse gli occhi per pregare. Iniziò una preghiera di consolazione di un Dio sofferente e, nel farlo, cominciò a piangere: «Vorrei davvero sciogliere il tuo dolore. Vorrei davvero consolarti. Padre del Cielo, hai sempre desiderato trovare qualcuno che potesse realizzare la tua volontà. Io voglio realizzare la tua volontà e riportare a te il mondo».

Kang era spaventata. In quelle parole aveva rilevato il grande contrasto tra il proprio atteggiamento verso Dio e quello di Moon. Lei aveva pregato per ore ogni giorno, per la propria Chiesa e per la Corea, ma il suo approccio fondamentale era una continua richiesta a Dio di aiutarla e di darle ciò di cui aveva bisogno. Invece questo strano personaggio sulla collina stava dicendo a Dio: non ti preoccupare, mi prenderò io cura di te… Non aveva mai incontrato qualcuno che avesse un simile atteggiamento verso Dio. Era profondamente commossa; capì che era quella la persona che avrebbe dovuto insegnarle cos’era la fede, e non viceversa.

«Mi ha detto tutto ciò che voleva dirmi?», gli chiese dopo cena.

«Se dovessi parlarle sul serio, dovrei farlo notte e giorno per diversi giorni. Tutto ciò di cui parlo è nuovo», rispose.

«Allora devo ritornare», rispose Kang.

«Questa stanza è misera ed impresentabile, ma sto aprendo questa porta per tutta l’umanità. So quante persone hanno smarrito la via e non sanno cosa fare. Troppe persone soffrono, ed io voglio aiutarle. Per questo la mia porta è aperta ventiquattro ore al giorno». Moon la riaccompagnò alla sua chiesa nell’oscurità.

Kang tornò la settimana seguente, e Moon le spiegò la propria visione dello scopo della creazione di Dio.

Alla terza visita, Kang fu così presa da ciò che Moon le stava dicendo che senza accorgersene restò fino alle 3,45 del mattino: un comportamento assolutamente sconveniente per una giovane donna nella società coreana di allora. Si affrettò a tornare alla sua chiesa per guidare l’incontro di preghiera delle 4 del mattino, preoccupata perché non aveva preparato il servizio. Cominciò quindi a parlare a braccio, e fu sorpresa nel vedere che i fedeli cominciavano a piangere, a battersi il petto ed a pentirsi dei loro peccati. L’incontro con Moon l’aveva riempita di nuovo zelo ed ispirazione, ma non riusciva ancora ad immaginare dove quel percorso l’avrebbe condotta. Lo chiese a Moon, aspettandosi come risposta che avrebbe dovuto credere in quello che lui diceva, altrimenti sarebbe andata all’inferno.

«Vuole sapere se questa filosofia viene da Dio o da un uomo? Allora deve scoprirlo», le rispose.

«Ma come posso scoprirlo?».

«Dio la ama molto. Le darà Lui la risposta».

Ogni mattina cominciò così a pregare per scoprire se ciò che aveva sentito era vero oppure no. All’inizio dubitava di Moon. Nella storia vi erano state moltissime teologie, pensò, ma nulla era davvero cambiato. Quella filosofia era logica e ragionevole, ma poteva essere anche una moda passeggera. Mentre pensava così, sentì che la comunicazione con Dio era bloccata e non riusciva a pregare. Le venne un forte mal di testa ed un dolore al petto. Pensò: «Questo è l’inferno… l’inferno non è un luogo, ma la mancanza di comunicazione con Dio!».

Nel quarto giorno di quel tormento, le venne in mente un versetto biblico:

Se qualcuno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è un bugiardo; perché colui che non ama suo fratello, che vede, non può amare Dio che non vede(20).

Iniziò a pentirsi della propria mancanza di fiducia in Moon e sentì che il suo cuore si apriva di nuovo allo spirito di Dio.

«Dove è stata?» chiese Moon quando la donna tornò a trovarlo.

«Sono stata all’inferno», rispose rabbiosamente.

«Cosa intende dire?» le chiese, e Kang gli raccontò ciò che aveva provato: «Prima che la incontrassi non avevo problemi. Tutto andava bene, mentre adesso ho mal di testa e dolori dappertutto. Il mio cuore è confuso e pieno di preoccupazioni. Prima non mi era mai successo di non riuscire a pregare. Mi deve risarcire in qualche modo dei problemi che mi sta procurando». Moon la guardò con tristezza. Le sue lamentele lo avevano turbato ed uscì a pregare, lasciando che la signora Ok la consigliasse.

«È davvero un grande uomo. Dio lo ama molto» le disse Ok.

«Perché lo esalta sempre? Non è che un uomo!» ribatté irritata Kang.

«Ho capito chi è grazie ad una rivelazione da Dio».

«Cosa vuol dire, una rivelazione da Dio? Dio le ha parlato davvero?»

«Sì, ho sentito la voce di Dio che mi parlava».

«E com’è la voce di Dio?».

«Beh, è simile alla voce di un uomo».

«Sono cristiana da tanto tempo e non ho mai sentito la voce di Dio. La prossima volta che lo sente, perché non mi invita?».

«Quando Dio parla ad una persona, è un’esperienza spirituale per quella persona, che è la sola che può sentirlo».

«Ed io, come posso sentire la voce di Dio?».

«Se lei abbandona tutti i pensieri egoistici e prega con cuore sincero, e si apre a Dio, allora Lui potrà parlarle».

Dopo vari giorni di preghiera, Kang fu sorpresa quando sentì una voce molto forte che recitava un versetto della Bibbia:

Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore(21).

Si trovava nella chiesa, da sola, quando udì la voce. Il versetto fu ripetuto tre volte. Si guardò intorno, alla ricerca della persona che aveva parlato, ma non vide nessuno.

«Sta diventando pazza?» le chiese Moon quando gli riferì l’episodio.

«Cosa intende dire? Sto cercando di capire!».

«Non si preoccupi; se sta diventando pazza per Dio, allora va bene…» scherzò lui.

Un giorno si trovava nella povera casa di Moon. Guardò i muri, macchiati di umidità, i pezzi di tela che coprivano il suolo, e disse: «Siamo seduti in questa piccola e sporca baracca e lei parla di unire il cristianesimo e tutte le religioni, e di creare il regno di Dio sulla terra… Prima di iniziare a parlare di queste cose, non pensa che dovrebbe trovare una casa decente, dove poter invitare le persone?».

«Apra la sua Bibbia, dove vuole», rispose Moon.

Prima di poter vedere a quale pagina la donna stava aprendo la Bibbia, Moon disse: «È Matteo 14:31. Lo legga». Stupita, Kang lesse:

E Gesù, stesa subito la mano, lo afferrò e gli disse: «O uomo di poca fede, perché hai dubitato?».

«Perché ha dubitato?» ripeté Moon ad alta voce. Kang sentì interiormente che era Dio che le stava parlando.

Un altro giorno, Moon le chiese di cominciare a testimoniare: «Lei domani incontrerà qualcuno», le disse.

«Ma io non posso testimoniare. Non so insegnare il suo Principio. Con la Bibbia era molto semplice, ma così è tutto molto più complicato!».

«Deve solo parlare, deve solo dire qualcosa».

Il giorno dopo, alla fine del servizio di preghiera dell’alba, Kang invitò Kim Je-san, l’evangelizzatrice principale della chiesa, a casa sua(22). Diversamente da Kang, Kim Je-san aveva avuto molte esperienze spirituali. Quando era giovane, aveva pensato che Dio fosse come il sole, ed una volta era uscita di casa di nascosto prima dell’alba per incontrarlo. Tutto il villaggio si era mosso alla sua ricerca. Quando aveva attorno ai venti anni suo marito una volta la picchiò perché aveva dato la decima alla sua chiesa, e rimase in coma per tre giorni; in quel periodo, raccontò, aveva incontrato degli angeli, San Pietro e Gesù, ed aveva chiesto loro dove poteva trovare Dio. Per cinque anni pregò da mezzanotte alle cinque del mattino per la liberazione della Corea dal dominio giapponese. Aveva avuto una visione della Seconda Guerra Mondiale due anni prima che scoppiasse; prima della guerra di Corea le era apparso Gesù, che le aveva detto di trasferirsi con la famiglia da Seul a Pusan. In quella città si unì alla chiesa di cui faceva parte Kang Hyun-shil.

«Entrambi crediamo in Gesù, ma il nostro scopo è incontrare il Signore quando ritorna. Preghiamo per questo», le disse Kang.

Dopo aver pregato, Kim disse di aver visto tre globi luminosi, poi tre rose di Sharon (il fiore nazionale coreano) e poi il volto di Gesù.

«Questo significa che la luce verrà in Corea» affermo Kang.

Il giorno seguente pregarono di nuovo assieme, e Kim Je-san ebbe un’altra esperienza spirituale. Nella preghiera, disse, vide Gesù che la chiamava con un cenno da una collina. Salita sulla collina apparve un angelo che teneva una bilancia sulla quale c’era una pera, che poi divenne un sole. Sembrava che l’angelo volesse dirle qualcosa. «C’è solamente un sole – la donna disse all’angelo – ed è in Cielo. È Dio. Ce ne è forse un altro sulla terra?». L’angelo posò il sole e la condusse ad una casa sulla collina. «Forse Satana sta cercando di farmi qualche brutto scherzo», pensò. Socchiuse la porta e vide che nella casa c’era un uomo.

«Oggi la mia preghiera non ha avuto successo» disse a Kang. «Ho visto un angelo, una casa ed una persona, ma non ha senso».

Il terzo giorno, Kang la condusse ad incontrare Moon. Avvicinandosi alla sua casa, Kim la riconobbe come quella nella quale era quasi entrata durante la sua visione. Aprì la porta, entrò, vide Moon nella piccola stanza, e scoppiò in lacrime.

«Come è stato possibile per lei giungere fin qui?» chiese Moon.

«Come dice?» chiese Kim, non riuscendo ad afferrare il senso della domanda.

«La sua eredità spirituale l’ha messa in grado di farlo. Lei ha dato vita a tante persone che erano morte», spiegò Moon.

«È stato Gesù, non sono stata io».

«Lei ha sofferto davvero tanto» rispose Moon con una voce carica di emozione. Quando Kim gli narrò la visione che l’aveva guidata, Moon le disse che la visione era per Kang, e non per lei: «Per Hyun-shil è così difficile credere in qualsiasi cosa».

Nel frattempo, Moon aveva saputo che Kim Baek-moon, il leader della Chiesa di Gesù Cristo di Israele, che aveva frequentato in Seul nel 1946, si era rifugiato a Pusan con alcuni seguaci. Gli mandò così del riso in regalo, e poi andò a trovarlo, ma fu respinto. La numerosa ed influente congregazione di Kim Baek-moon si era dispersa nel corso della guerra; più tardi egli avrebbe ricostituito il gruppo, ma non sarebbe mai più tornata allo status precedente(23). Quattro o cinque dei seguaci di Kim andarono a visitare Moon. Uno di questi era la signora Lee Kee-hwan, che Moon aveva conosciuto quando era studente(24). Donna di profonda fede, si mostrò sorpresa quando Moon le chiese di pregare per capirne la missione(25). Quella sera, in preghiera, la signora Kim sentì Dio che le diceva che amava Moon più di tutto il resto dell’umanità. Quando lo disse a Moon, questi le rispose che avrebbe dovuto chiedere a Dio chi amava di più tra lui e Gesù. Come devota cristiana, la donna era riluttante a pregare in un modo che giudicava blasfemo. Ricordando però la risposta alla prima preghiera, continuò. In risposta ricevette una visione in cui Gesù e Moon apparvero di fronte a lei, con lo spirito di Dio tra di loro. Dio si mosse verso Moon e si fuse in lui. Sulla base di questa profonda esperienza divenne una sua seguace.

Un altro dei seguaci di Kim Baek-moon era Pak Kyong-do, uno degli studenti della scuola domenicale di Moon ai tempi del suo soggiorno a Seul. In quel momento collaborava come traduttore con il 2° Reggimento di Fanteria USA. Nei sette o otto mesi seguenti, Pak visitò frequentemente la casa di Moon, ed a volte restava per la notte(26). Accompagnò Moon a visitare il Rev. Pak Song-san, che aveva guidato la chiesa pentecostale di Heuksok-dong, in Seul, e gli chiese se potevano tenere un revival religioso assieme. Moon spiegò che, dal momento che la propria casa non era una chiesa ufficiale, i suoi servizi avevano cominciato ad attrarre attenzione. Il reverendo rifiutò.

Un giorno in Pusan, Pak Kyong-do vide un soldato americano che distribuiva dei volantini, in inglese ed in coreano, con cui invitava le persone ad una chiesa locale. Pak si fermò per parlare con lui e lo invitò a Pomne-gol. Il soldato accettò, evidentemente al fine di fare proseliti(27). Si presentò come Clayton O. Wadsworth, e disse che lavorava nell’amministrazione dell’Ospedale militare in Pusan. Con Pak che fungeva da interprete, Moon gli parlò della sua visione dello scopo di Dio per la creazione e della caduta dell’uomo.

Ok Se-hyun insistette perché Pak dicesse all’americano che Moon era il Messia. Anche se nemmeno lui era convinto di ciò, Pak lo fece quando Wadsworth visitò la casa di Moon per la terza volta. Wadsworth tornò ancora due volte, poi disse che non sarebbe tornato più.

«Per favore, preghi su queste cose», chiese Pak.

«Non ne ho bisogno» rispose Wadsworth. «Anche in America ci sono tante persone come lui»(28).

Nel dicembre del 1952, Moon ricevette la visita di un evangelizzatore cristiano di nome Lee Yo-han. Lee aveva trentasei anni e veniva da Sonchon, un villaggio a pochi chilometri dalla casa natale di Moon. Aveva frequentato un seminario in Giappone, dal quale era stato espulso per aver rifiutato di partecipare alle cerimonie scintoiste. Questi aveva già sentito parlare di Moon quattro anni prima, nell’ottobre del 1948, mentre si trovava in Seul e Moon era in prigione in Heungnam. Alcuni dei seguaci di Moon, tra cui la signora Ok, erano giunti a Seul ed avevano parlato del giovane predicatore, secondo il quale tutte le chiese si sarebbero dovute unire(29).

Quando la guerra di Corea scoppiò, Lee fuggì, con un gruppo di profughi presbiteriani, a Pusan e poi a Cheju, una grande isola tra Giappone e Corea. Lee cercò di persuadere gli altri fedeli che la fede nella salvezza non era abbastanza: «Dobbiamo usare la Bibbia per sviluppare la nostra personalità e per superare la natura caduta e le cattive abitudini», affermava(30). Pensava anche che stavano vivendo negli Ultimi Giorni, il tempo in cui, secondo le profezie, dovrebbe ritornare il Cristo; inoltre, secondo lui, il Cristo sarebbe ritornato come uomo. Per queste affermazioni Lee fu definito dal pulpito, di fronte a quattrocento fedeli, un eretico. Uno dei suoi vicini cristiani notò che le pagine della Bibbia di Lee erano ricoperte di note, cosa davvero inusuale. L’«eretico» era considerato strano anche perché pregava con gli occhi aperti. Il vicino si chiese se Lee non fosse per caso un comunista, ma la moglie gli impedì di denunciarlo alla polizia(31). Non bisogna prendere alla leggera il pericolo di un tale sospetto. L’isola di Cheju era stata teatro delle peggiori brutalità anticomuniste nella storia coreana: nel 1948 era scoppiata una rivolta popolare guidata dai comunisti, che fu spietatamente stroncata. A seconda delle varie stime, fu uccisa una percentuale variante dal dieci al venticinque percento dei trecentomila abitanti dell’isola. La strage avvenne ad opera della polizia e delle milizie formate da gruppi giovanili anticomunisti provenienti dalla Corea del Nord.

Nel settembre del 1952 Lee tornò a Pusan, dove formò un gruppo con dei cristiani che avevano ricevuto la rivelazione del ritorno del Cristo. Nel novembre dello stesso anno incontrò la signora Ok, che gli parlò di nuovo di Moon. Gli spiegò che stava parlando degli Ultimi Giorni, e che i suoi servizi religiosi erano molto ispirati. Il giorno in cui giunse a Pomne-gol, Moon dette a Lee dei soldi e gli chiese di andare in un negozio a comprare del cibo(32). Considerata l’estrema sensibilità dei coreani per tutto ciò che riguarda il rispetto della posizione sociale, Lee avrebbe potuto offendersi ed andarsene immediatamente. Dopo tutto, era un evangelizzatore ed aveva dei propri seguaci: non era esattamente un fattorino. Ma se Lee si sentì offeso non permise che questo suo sentimento si frapponesse al motivo per il quale voleva parlare con Moon. La richiesta, che successivamente alcuni unificazionisti avrebbero interpretato come una «messa alla prova» della sua umiltà probabilmente fu, per lo schivo Lee, né più né meno di ciò che era, e cioè la richiesta di andare a comprare del cibo.

Lee fu ispirato dai discorsi di Moon sulla caduta dell’uomo e sulla vita di Gesù; ma fu il suo insegnamento sul percorso logico che Dio segue nella storia di salvezza che lo convinsero della loro verità. Decise di seguire Moon ed andò a vivere nella sua casa. Fu anche colpito dalla capacità di Moon di penetrare in modo misterioso e particolareggiato nel passato della gente.

«Lei ha rifiutato di praticare lo scintoismo, vero?» gli chiese Moon un giorno.

«Sì. Sono stato cacciato dal seminario per questo. Come lo sa?» chiese Lee. Se lo sapeva perché gli era stato riferito dalla signora Ok, Moon non lo disse. Lee immaginò che fosse stato Dio a rivelarglielo.

Moon doveva affrontare adesso una nuova e dolorosa prova personale proveniente da una fonte inattesa: la sua famiglia. Nel novembre del 1952 finalmente incontrò di nuovo sua moglie, Choi Sun-kil. La donna non aveva mai abbandonato la speranza di riunirsi a lui e gli era rimasta fedele durante gli anni di separazione, provocati dalla prigione e dalla guerra. Purtroppo la sua sofferenza non era ancora finita.

Il loro primo incontro definì il tono di quanto sarebbe seguito. Sun-kil aveva incontrato uno dei cugini di Moon ed aveva ricevuto l’indirizzo della casa di Pomne-gol. Un giorno la donna entrò come una furia nella casa, mentre Moon stava parlando con alcuni seguaci, tra i quali la signora Ok e Kang Hyun-shil(33). Choi indossava pantaloni viola, un maglione grigio e scarpe sportive. Il loro figlio, Sung-jin, che aveva ormai sei anni, indossava dei pantaloni cadenti ed una camicia a strisce multicolori.

«Sei vivo!» gridò la donna; «Perché non hai detto niente per tutti questi anni? Ho sofferto tanto. Ho mangiato orzo per dare del buon riso al bambino e per prendermi cura di lui nel modo migliore che potevo!». Moon era rimasto seduto, senza dire nulla. Lentamente gli altri nella stanza si alzarono ed uscirono.

La signora Choi aveva lavorato nel mercato internazionale di Pusan(34). Quando Moon era partito per la Corea del Nord, la società nella quale lavorava le aveva pagato il salario del marito per tre mesi, e poi aveva cessato i pagamenti. Dopo di ciò, aveva lavorato nel mercato Dongdaemoon in Seul, dove aveva venduto frutta ed altri articoli. Aveva cercato varie volte di andare in Corea del Nord per riunirsi a Moon, ma i soldati sovietici l’avevano sempre fermata alla frontiera. Nel 1946 fu fermata, sempre alla frontiera, da guardie sudcoreane che, sospettando fosse una comunista, la misero in carcere e la torturarono bruciandola con dei mozziconi di sigaretta prima di lasciarla andare(35).

Si trasferì nella casa di Pomne-gol, ma non riuscì a trovare il tempo per restare sola con suo marito e ricostruire il rapporto con lui; non fu in grado quindi di liberarsi dell’amarezza e del senso di profonda e dolorosa solitudine che aveva provato negli ultimi anni. C’era sempre gente in casa, anche di notte. Kim Won-pil era così innocente e con la testa tra le nuvole che non gli venne da pensare che Moon e sua moglie potessero desiderare di passare la notte da soli. Parlando anni dopo agli unificazionisti di questo periodo, Kim confessò di provare un grande dolore per la propria ignoranza, considerandosi almeno in parte colpevole del fallimento del matrimonio. Moon, ha spiegato Kim, non poteva chiedergli di andarsene, né poteva chiedere agli altri seguaci di lasciargli del tempo per restare con la propria famiglia, perché ciò avrebbe significato mettere se stesso ed i propri bisogni prima dei bisogni spirituali dei propri seguaci. Sarebbe quindi stata responsabilità di Kim decidere di lasciarli soli e magari cercare un alloggio altrove. Egli non lo fece(36).

Il risentimento di Choi per il passato fu presto sostituito dal rifiuto della vita di Moon quale pastore religioso. Istruito e capace egli sarebbe stato in grado, anche nella Corea in guerra, di trovare un lavoro che avrebbe potuto fargli guadagnare più denaro e mettere entrambi in grado di costruire una vita normale insieme. Perché sceglieva di vivere in povertà e di tenere la porta aperta a così tante persone? Choi non riusciva a capire. Ogni giorno sembrava che dovesse cadere preda di attacchi d’ira.

Moon cercava di ragionare con lei: «Non ricordi che ti avevo detto, quando ci siamo fidanzati, che dovevi essere pronta a passare sette anni da sola e poi avresti potuto sposarmi?» le disse(37). «Ti avevo detto che dovevi essere in grado di trovarti un lavoro e di guadagnare, nel caso mi fosse successo qualcosa. Perché allora ti comporti così adesso? È successo quello che ti ho detto che sarebbe successo».

Moon sapeva che sua moglie, nel contesto del suo ruolo spirituale in qualità di eventuale co-leader del suo movimento messianico, sarebbe stata sottoposta da Dio ad un difficilissimo corso di vita, che avrebbe comportato una grande sofferenza spirituale, e sapeva anche che sarebbe stato un periodo di sette anni. Le sue argomentazioni però non servivano a calmarla. L’attrito divenne così intenso che Moon lasciò sua moglie a Pomne-gol e si spostò in un’altra parte della città, Sujong-dong, in modo da poter continuare ad insegnare.

Il 14 marzo del 1953, Kang Hyun-shil, che viveva nella propria città natale, Kimchon, nella provincia del Kyongsang del Nord, si presentò nella casa di Pomne-gol. Moon l’aveva invitata a celebrare il proprio compleanno. Nella lettera le aveva descritto le difficoltà che al momento aveva con la moglie, definendole come un «crocifissione famigliare». Kang non era riuscita a mettere da parte i soldi per il viaggio ed aveva perso il compleanno(38). Giunse così alla stazione a notte fonda e la polizia le impresse sulla mano un timbro con l’autorizzazione a circolare dopo il coprifuoco(39). Dal momento che non conosceva l’esatto indirizzo della nuova casa in Sujong-dong, andò direttamente a Pomne-gol, dove la moglie ed il figlio di Moon vivevano da soli. Choi le si scagliò contro: «Dove ha nascosto mio marito?» le chiese, insultandola. Kang, imbarazzata, passò la notte in una tenda che era stata eretta vicino alla casa per essere usata come cucina. Faceva un freddo terribile e restò sveglia tutta la notte, seduta, prendendo a pugni le gambe per tenersi al caldo. Alle 4,30 del mattino se ne andò, trascinandosi appresso due valigie.

Quando scese dall’autobus in Sujong-dong fu fermata dalla polizia, che sospettò fosse un’agente nordcoreana. Gli uomini la condussero alla stazione di polizia e perquisirono il suo bagaglio. Intanto lei era riuscita a nascondere la lettera con l’indirizzo di Moon nelle calze. Poi mostrò loro la sua tessera di identificazione rilasciata dal seminario, così fu rimessa in libertà.

Attorno alle 10 del mattino, la donna vide Lee Yo-han che stava uscendo a testimoniare. Lee le disse che Moon aveva lasciato la casa alle 4 del mattino per andare a pregare su una collina nei dintorni.

Nel tardo pomeriggio, la moglie ed il figlio di Moon arrivarono a Sujong-dong; erano accompagnati dal figlio della signora Ok, il poliziotto militare che aveva rifiutato di portare in salvo Moon ed il suo compagno durante l’evacuazione di Pyongyang. Con lui c’erano due suoi colleghi. Il poliziotto spinse Kang nella casa. La moglie di Moon la maledisse: «Mi hai detto di non sapere dove fosse!» urlò. Strappò la Bibbia di Moon e cominciò a scagliare piatti e posate contro i muri. Gli agenti di polizia rimasero a guardare. Fuori si era radunata una piccola folla di curiosi.

«Ti uccido, puttana!» urlò la moglie di Moon a Kang. Quest’ultima, una donna mite e gentile, pensò fosse più prudente dileguarsi: «Scusatemi, devo andare alla toilette», disse, ed uscì in strada. Lì incontrò la signora Ok e Kim Won-pil, che stava tornando dal lavoro.

«Dobbiamo recuperare i soldi prima che li trovino loro» disse Kim. I soldi erano nascosti tra le travi della casa. Era possibile che, se fossero stati trovati, la moglie di Moon li avrebbe reclamati come propri, o i poliziotti avrebbero potuto semplicemente farli scomparire. La polizia impediva però a chiunque di entrare, quindi tutti e tre andarono a dormire da un amico nel quartiere di Yongju-dong.

Nel frattempo Moon stava osservando la scena dalla collina. Dopo un certo tempo capì che la situazione non si sarebbe risolta se non si fosse presentato di persona. Decise quindi di raggiungere la casa. Quando sua moglie lo vide cominciò ad urlare ed a maledire, meravigliando la folla in strada con il suo linguaggio volgare. La polizia lo condusse via. Una seguace, di nome Song, lo accompagnò(40). Grazie ad una fortunata coincidenza Kim Won-dok, il suo ex compagno di cella in Corea del Nord, l’uomo nella cui casa aveva soggiornato in precedenza in Pusan, lavorava in quella stazione di polizia e fu in grado di farlo liberare il giorno seguente.

La signora Ok, la signora Song, Lee Yo-han, Kim Won-pil e Kang Hyun-shil ritornarono il giorno seguente nella casa di Sujong-dong.

«Presto, nasconditi» disse Moon a Kang, non appena la vide arrivare. «Se mia moglie ti vede, ricomincerà…» ma la signora Kang reagì troppo lentamente. La moglie di Moon uscì, la vide e la percosse su un braccio. Kang corse fuori e si nascose in un vicino campo d’orzo.

In casa, Moon ed i suoi seguaci cercarono di ragionare con la donna, ancora sconvolta. Parlarono diverse ore; Moon cercò di spiegarle che lui non si stava comportando in modo egoistico, e che quella era la sua missione. Sua moglie aveva grosse difficoltà a comprendere quelle argomentazioni. Dal momento che si erano sposati prima che Moon avesse parlato a chiunque della propria teologia, e prima di iniziare il proprio ministero religioso, la donna non aveva idea di cosa stesse insegnando a quelle persone, né della missione provvidenziale che era convinto di aver ricevuto da Dio.

«Non sto facendo quello che mi pare, né sto vivendo facendo semplicemente ciò che desidererei fare. Sto lavorando per fare la volontà di Dio. Vivi con me, non cercare di fermare il mio lavoro; io mi prenderò cura di te, farò tutto per te». Choi accettò.

«Ora devi chiedere scusa alla signora Ok», le disse. Choi fece le sue scuse.

Kim Won-pil, che aveva preso un giorno di permesso dal lavoro a motivo di quella crisi famigliare, uscì a cercare la signora Kang.

«Va tutto bene. Si è pentita. Ora può entrare», la rassicurò.

«Cosa vuol dire con ‘si è pentita’? Io non voglio entrare là dentro» rispose Kang, che alla fine però si lasciò convincere ed entrò, riluttante, nella casa.

«Devi chiedere scusa a Kang Hyun-shil», disse Moon a sua moglie.

«L’ho già detto una volta. Devo dirlo a tutti?» borbottò Choi.

«Sì» disse Moon. La moglie guardò Kang:

«Mi dispiace, ho sbagliato», le disse.

«Da adesso in poi vi prego di vivere in armonia tra voi, come sorella maggiore e sorella minore», disse Moon alle due donne. Poi pregò e tutti, sua moglie inclusa, piansero. Pochi giorni dopo, la moglie di Moon andò a Seul per raccogliere le sue cose. Al ritorno, egli acquistò una casa in Sujong-dong dove il gruppo viveva in comunità.

Tuttavia le lotte di Sun-kil non erano giunte al termine. Non partecipava mai ai servizi di preghiera del marito, né ascoltava i suoi discorsi ai membri, e non mostrava nemmeno il minimo interesse verso il Principio. Di conseguenza non riuscì mai a capire perché le persone continuavano a venire.

«Ma perché così tante persone amano mio marito?» si lamentò in varie occasioni. «Lui è mio marito!».

I seguaci vedevano chiaramente che amava Moon in modo profondo; ma poiché Sun-kil cercava di distoglierlo dal continuare la sua opera religiosa, egli la teneva a distanza. I fedeli avevano notato che Moon, di fronte a loro, non la trattava come sua moglie. Anzi, la trattava come qualunque altra persona, cosa che aggiungeva frustrazione alla sua gelosia.

«Perché segue mio marito?» chiese una volta a Kang Hyun-shil, gettando bastoncini di legna per il fuoco contro la porta. Kang era seduta e non diceva nulla, pensando che la donna stesse impazzendo. Dopo ogni sfogo, Choi si scusava.

A quel tempo, Moon era perseguitato anche dal fratello di una recente convertita, Kim Song-shil. Questa donna era parente dei Kim di Pyongyang, tra i quali c’era Kim Won-pil, che era stato il suo principale seguace in Corea del Nord, ed il suocero di lei era un noto educatore(41). Suo fratello credeva che Moon avesse distrutto la sua famiglia, ed era determinato a farlo arrestare ed a far cessare la sua opera. La pressione da parte delle famiglie di alcuni seguaci, e da importanti esponenti delle chiese cristiane, che era iniziata in Pyongyang, avrebbe preso vigore nel corso degli anni ’50, con la rapida crescita dei seguaci di Moon che si era verificata nella Corea del Sud.

Nel marzo del 1953, Moon cambiò formalmente il proprio nome da Yong-myung in Sun-myung. Secondo Pak Chong-hwa, che si occupò personalmente delle pratiche per il cambio del nome, il motivo principale di questa variazione consiste nel fatto che i cristiani avrebbero potuto usare il nome «Yong», che significa «dragone», come prova che Moon era l’anticristo. Una motivazione più pratica potrebbe essere trovata nel desiderio di cercare di evitare le ricerche da parte delle famiglie dei membri, che tormentavano la polizia con continue richieste di arresto(42).

In quel periodo, due delle donne che avevano partecipato ai servizi di Moon in Pyongyang, Chi Seung-do e Chong Dal-ok, lo raggiunsero(43). Un altro visitatore fu il cugino di Moon, Seung-gyun, che si era sposato, e che aveva saputo dal cognato che Moon era in città(44). Su suggerimento di Moon, Seung-gyun lavorò con Kim Won-pil come pittore della segnaletica presso l’8a Armata, unità 8069, dove i soldati ONU che arrivavano in Corea venivano istruiti ed equipaggiati prima di essere mandati al fronte. Nel corso della settimana i due vivevano nella base. Nei fine settimana Kim tornava alla casa di Sujong-dong.

Kim gli spiegò l’insegnamento di Moon ed i due andavano nella chiesa presbiteriana di Yongnak, una chiesa costituita per i profughi dalla Corea del nordovest. Seung-gyun era convinto che suo cugino fosse un eretico. Ricordò la predizione di suo padre, che Sun-myung sarebbe diventato o un grande uomo o un traditore. Era vero: Sun-myung era diventato un traditore del cristianesimo, ma tenne quella convinzione per sé. Però, quando andava a trovarlo, si sentiva ispirato dalla visione di suo cugino.

Una volta Moon disse a Seung-gyun: «Sai, quando studi la Bibbia, devi guardare all’alfa ed all’omega; altrimenti è impossibile interpretarne il significato. La gente cerca di scioglierne i nodi che trova a metà, ma non funziona… devi partire dalla Genesi e finire all’Apocalisse».

Moon gli parlò della sua visione del futuro. Il mondo, gli disse, sarebbe stato unificato dal Principio, incentrato su Corea, Giappone, America e Germania, e aggiunse: «Dobbiamo imparare l’inglese»; continuò dicendogli che in cinque anni avrebbe potuto impararlo e parlarlo efficacemente.

Mentre il cugino gli parlava, in genere per quattro o cinque ore di fila, a Seung-gyun tornava in mente ciò che Cha Sang-soon, il seguace di Pyongyang che aveva visitato la famiglia di Moon nel villaggio anni prima, secondo il quale Moon era il Cristo che era tornato.

«È impossibile», pensava Seung-gyun. «Lui è il mio fratellone…(45)». Mentre Moon parlava di unificare il mondo, Seung-gyun ricordava le loro uscite da bambini. Persona pratica e riflessiva, Seung-gyun non rifiutò immediatamente il concetto messianico come assurdo o blasfemo. Lo studiò per un certo periodo ed alla fine decise di diventare un seguace. Dallo studio del Principio giunse a credere che, al contrario di ciò che insegna il cristianesimo, era necessario che il Cristo tornasse nella carne.

«Qual è il principio secondo il quale il mio fratellone non può essere il Cristo che ritorna?» si chiese(46).

Era ormai chiaro a Moon che in pratica non ci fossero più possibilità che sua moglie assumesse il ruolo che egli si attendeva; tenne però per sé il dolore che gli causava il fallimento del suo matrimonio. Nel settembre del 1953 egli si trasferì a Seul, mentre la moglie restò a Pusan. Nel corso dei suoi attacchi di gelosia, Sun-kil lo aveva accusato di adulterio con le sue seguaci, cosa che, se fosse stata provata, avrebbe provocato il suo arresto(47). Più oltre avviò un procedimento di divorzio ed il matrimonio fu legalmente sciolto nel 1958.

Nell’estate del 1953 i colloqui di pace, che si erano trascinati per mesi, produssero infine un armistizio, che fu segnato il 27 luglio. La Guerra di Corea era finita – beh, quasi finita, poiché il Sud aveva rifiutato di firmare l’armistizio. Inoltre, i governi rivali di Kim Il-sung al Nord, e di Syngman Rhee al Sud, restavano intatti; quindi era finita la guerra vera e propria, ma era iniziata la Guerra fredda. Il terribile conflitto aveva cristallizzato la divisione tra Nord e Sud con un’amarezza che sarebbe durata per decenni.

In luglio, poco prima dell’armistizio, Moon disse a Kang Hyun-shil che desiderava andasse da sola a Taegu, una città ad un centinaio di chilometri a nord di Pusan, per insegnarvi il Principio. Le spiegò che, essendo Taegu il più forte centro cristiano in Corea del Sud, avrebbe trovato molte persone pronte ad ascoltare la parola di Dio. Quella richiesta era diversa dai precedenti inviti a diffondere la parola; costituiva una forma di evangelizzazione completamente nuova.

«Devi andare per quaranta giorni. Sii certa che siano esattamente quaranta giorni. Se tornerai dopo trentanove giorni non ti aprirò la porta. Devi resistere per quaranta giorni». Uno dei membri diede a Kang due cambi d’abito, ma Moon ne riprese uno dicendo: «Uno è abbastanza». Le dette i soldi necessari solo per il viaggio di andata e per due chili di riso.

«Vivrai dei momenti di grande difficoltà e solitudine» le disse, «ma se preghi e chiedi aiuto a Dio, Egli sarà lì ad aiutarti con il Suo amore».

La donna partì il 20 luglio. Moon pregò con lei prima della partenza: «Ti prego, Padre del Cielo, resta con questa tua piccola figlia che sta partendo, aiutala a costruire una buona fondazione in Taegu».

Mentre scendeva dalla collina, Kang si voltò. Vide Moon fuori della casa che la guardava, con gli occhi pieni di lacrime. Agli occhi di Kang l’esile e malvestito Moon appariva davvero miserabile e triste. Com’era triste che avesse così poche persone da dover fare assegnamento su una persona senza esperienza come lei, pensò, con il cuore a pezzi.

In agosto, Moon chiese a Lee Yo-han di raggiungerla in Taegu, e la piccola congregazione iniziò ad espandersi rapidamente.

In quel periodo qualcuno chiese ad un’anziana donna del gruppo di Taegu, Lee Jae-gun, a quale chiesa cristiana appartenesse.

«La Chiesa di Unificazione» rispose la donna, creando il nome al momento.

Nel corso del seguente anno Moon scelse un nome «ufficiale» per il proprio gruppo: «Associazione dello Spirito Santo per l’Unificazione del Mondo Cristiano»(48). Con la costituzione di questa associazione, Moon sperava ancora che il Principio ed il numero crescente di seguaci sarebbe servito a rinnovare il Cristianesimo e ad avere un effetto unificante sullo stesso. Non si aspettava che la sua Associazione sarebbe stata considerata come un’altra denominazione separata. Ma in effetti è ciò che divenne dal momento che – come era prevedibile – il nome informale rimase nell’uso comune.

Note

(1) Kim Won-pil, Today’s World, Aprile 1983, pag. 21. I ricordi del periodo di Pusan sono stati redatti estrapolandoli da numerosi discorsi e pubblicati dal Today’s World, maggio 1982, pagg. 9-19.

(2) Intervista concessa all’Autore da Kwak No-pil. Il dialogo che segue è stato ricostruito con qualche libertà. L’Autore si è preso qualche libertà anche riguardo all’epoca dell’evento. Potrebbe essere avvenuto alcuni giorni o alcune settimane dopo.

(3) Tempo dopo, quando Kwak partì per il servizio militare, che sarebbe durato quattro anni, Moon andò a salutarlo, e gli chiese di unirsi a lui una volta finito il periodo di servizio: un invito che Kwak si pentì di non aver seguito. Trent’anni dopo infatti dichiarò: «Penso che se lo avessi fatto oggi sarei una persona importante. Allora pensavo che fosse un pazzo, ma oggi penso che sia davvero un grande uomo»

(4) Questo episodio si basa sull’articolo di Aum Duk-moon, From schoolmate to disciple, Today’s World, giugno 1982, p. 6, con ulteriori particolari tratti dall’intervista concessa da Aum all’Autore.

(5) Aum riferì all’Autore che l’incontro avvenne il 30 o il 31 gennaio. Moon potrebbe aver detto «ieri» invece di «tre giorni fa» nel senso di «sono arrivato da poco».

(6) Intervista concessa all’Autore da Ok Se-hyun.

(7) Tempo dopo Kim Won-dok divenne un uomo d’affari. Si unì alla Chiesa di Unificazione e ne uscì nel 1959.

(8)Aum Duk-moon, in un’intervista concessa all’Autore.

(9) Il nome ufficiale della zona era Pomil-chon. Pomne-gol, che significa «Valle del ruscello della tigre», era il nome locale non ufficiale.

(10) Op. cit., Today’s World, giugno 1982.

(11) Today’s World, Settembre 1983, pagg. 16-20.

(12) «Zio» (Ajoshi in Coreano) è un modo educato per rivolgersi ad un uomo più anziano. Moon era il «Grande zio» per distinguerlo da Kim Won-pil, il «Piccolo zio».

(13) Intervista concessa all’Autore da Ok ed Aum.

(14) Il testo originale del Principio, scritto da Moon, fu tenuto per molti anni da Kim Won-pil, ed è oggi conservato nella sede della Chiesa di Unificazione in Seul. Anche Kang Hyun-shil ne possiede una versione manoscritta. Il testo ufficiale fu scritto più tardi da altri seguaci. (Vedi Cap. 2, nota 16).

(15) Today’s World, maggio 1982, pag. 13.

(16) Today’s World, maggio 1982, pag. 16. Questa lezione semplice e toccante ha avuto un profondo impatto sugli unificazionisti occidentali alla fine degli anni ’70, quando a Kim fu assegnata una missione in Gran Bretagna dove, in una certa misura, capovolse l’interpretazione semiautoritaria dell’insegnamento di Moon che allora prevaleva nel giovane Movimento europeo.

(17) Quest’episodio relativo a Kang Hyun-shil si basa sulle interviste da lei concesse all’Autore e da punto tratti dall’articolo From Evangelist to Disciple, Today’s World, agosto 1982, e da un discorso non pubblicato che lesse di fronte a dei ministri di culto cristiani americani a Seul, nel 1985.

(18) Intervista concessa all’Autore.

(19) Moon usò la frase coreana «Odi-so o-shos-oyo?», che è una forma più educata dell’italiano «Da dove viene?». Questa forma sarebbe troppo diretta (e quindi scortese) per i coreani.

(20) Giovanni (4:20).

(21) Filippesi (3:20).

(22) L’insolito racconto che segue è stato fatto all’Autore da Kim Je-san nel corso di un’intervista. Il racconto della signora Kim era un insieme talmente intricato di visioni e di fatti reali, caratteristico di chi ha spesso rapporti con altre dimensioni, che l’Autore si è basato, per riportarlo, sul racconto di Kang Hyun-shil.

(23) Fino agli anni ’80 Kim Baek-moon aveva ancora un piccolo seguito di circa cinquanta persone che si incontravano nella Chiesa di Songsu, nel distretto Chongnung di Seul. Morì poi nel 1990. Aveva riportato la sua teologia in tre opere: Songshin Shinhak (Teologia dello Spirito Santo), 1954; Kumbon Wonri (Il Principio fondamentale), 1958; e Shinang Inkyoron (Teoria della natura della fede), 1970. Queste opere furono pubblicate da Daeji Publishing Co., Seul. Secondo il teologo Pak Sang-ne (vedi cap. 5, nota 19), gli insegnamenti di Moon e Kim, anche se superficialmente simili nelle loro categorie, sono in realtà molto diversi nel contenuto. Alcuni hanno affermato, anni dopo, che Moon aveva copiato l’insegnamento di Kim, un’accusa che secondo Pak Sang-ne è falsa.

(24) Lee Kee-hwan era sorella di Lee Kee-bong e di Lee Kee-ha, le proprietarie della casa in cui Moon alloggiava in Heuksok-dong, Seul. Questo resoconto è tratto da interviste concesse da sua figlia, Baek Hee-suk, e da Pak Kyong-do.

(25) Riferito da Kim Won-pil, Today’s World, maggio 1982, pag. 15.

(26) Pak Kyong-do riferì all’Autore che si sentiva in colpa a lasciare Kim Baek-moon, perché questi gli aveva pagato gli studi. Restò nella Chiesa di Kim e si unì a quella di Moon anni dopo.

(27) Motivazione che emerge da una lunga lettera che Wadsworth scrisse più tardi a Pak.

(28) Alla metà degli anni ’80 Wadsworth era il pastore di una Chiesa nel Maine. Fu invitato da membri della Chiesa di Unificazione Americana a visitare la Corea, assieme ad altri ministri religiosi, per una presentazione dell’insegnamento di Moon, ma declinò l’invito.

(29) Da un’intervista all’Autore concessa da Lee Yo-han.

(30) Lee aveva il dono particolare di rendere gli episodi della Bibbia applicabili alla vita di fede dell’uomo moderno. Alcune delle sue lezioni sono state pubblicate in Faith and Life, International One World Crusade, Tokyo, 1977.

(31) Il vicino, Lee Bong-eun, divenne anni dopo un Unificazionista. Vedi Lee Bong-eun, «Chookbok» (Benedizione), Witness: experiences of Faith, Vol. 2, HSA-UWC, Seul, 1984, pag. 171. Altri episodi relative a Lee Yo-han sono stati riferiti all’Autore dal figlio del vicino, Soo-kyung, diventato un Unificazionista in posizione di rilievo.

(32) Kim Won-pil, Today’s World, maggio 1982, pag. 14.

(33) Questo fatto relativo alla moglie di Moon fu riferito all’Autore da Kang Hyun-shil.

(34) Im Nam-sook, in un’intervista concessa all’Autore.

(35) Intervista concessa da Choi Sun-kil ad Im Nam-sook.

(36) Vedi Kim Won-pil, Father’s Course and Our Life of Faith, HSAUWC, Londra, 1982, Cap. 21.

(37) È chiaro che Moon considerava il primo periodo del matrimonio, durante il periodo di test, come una specie di fidanzamento. Il «test», in quel periodo, sarebbe consistito, sia per Moon che per sua moglie, nel mettere la volontà di Dio prima dei loro propri desideri.

(38) Il compleanno di Moon cade il 6 gennaio secondo il calendario lunare. Quell’anno cadeva, secondo il calendario solare, il 19 febbraio.

(39) Il coprifuoco era entrato in vigore dall’inizio della guerriglia nel 1946 e durò fino al 1981, anno in cui fu abolito dal nuovo Presidente, Chun Doo-hwan. Durava in genere da mezzanotte fino alle quattro del mattino, ed in certi periodi dalle 11 di sera alle cinque del mattino.

(40) La signora Song era la moglie di un ufficiale dell’Esercito della Salvezza, ed aveva conosciuto Moon tramite Lee Yo-han.

(41) Secondo Pak Chong-hwa il suocero, Chang Hee-wook, era l’ex presidente dell’Università Statale di Seul.

(42) In Corea il cambio di nome proprio è più comune e facile da ottenere che in altri Paesi. Quanto riportato è stato riferito da Pak Chong-hwa. Pak ha anche detto all’Autore di aver dichiarato in un documento che l’età di Moon era di 44 anni, in modo che potesse evitare le esercitazioni della Riserva dell’esercito. Secondo quanto afferma, Moon ricevette una multa per questa falsa dichiarazione nel 1955. Sembra comunque che Moon abbia cambiato nome in modo informale sin dal 1951. Kang Hyun-shil ricorda che quando lo incontrò, nel luglio del 1952, egli già usava il nome «Sun-myung».

(43) Chi Seung-do si era trasferito a Seul dopo che Moon era stato imprigionato in Corea del Nord. Si trovava a Taegu quando suo figlio le comunicò che Moon viveva a Pusan. Chong Dal-ok tempo dopo sposò Kim Won-pil.

(44) Quanto segue è stato riferito da Moon Seung-gyun nel corso di un’intervista concessa all’Autore.

(45) Vedi Cap. 3, nota 68.

(46) Moon Seung-gyun si trasferì a Seul alla fine del 1953. Decise di entrare a far parte della Chiesa di Unificazione nel febbraio 1956 e si unì ad essa formalmente il 1 gennaio 1957.

(47) Moon fu arrestato, nel 1955, con l’accusa di adulterio, ma non fu trovata nessuna prova a suo carico.

(48) La Chiesa di Unificazione fu costituita nel 1954 come Se-gye Kido-kyo Tong-il Shilyong Hyop-hae.

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