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1 - IL VILLAGGIO DEI MOON

Sun-myung Moon nacque nell’inverno del 1920 da una famiglia contadina, nel nord-ovest della Corea. La sua era una delle quindici case dal tetto di paglia che componevano un piccolissimo villaggio o “ri”, conosciuto come Sangsa-ri o Dok heung-ri. Nessuno sapeva quale fosse il nome ufficiale, comunque il primo dei due era quello più usato. Informalmente però gli abitanti della zona si riferivano all’abitato come al «villaggio dei Moon», perché dieci delle famiglie appartenevano al clan dei Moon, e sette di queste erano imparentate strettamente tra loro.

Pochi chilometri verso ovest si trovava Jeongju, una cittadina di poco meno di diecimila abitanti, con la stazione della linea ferroviaria più importante della nazione, che trasportava viaggiatori e merci a nord, verso la frontiera con la Manciuria, ed a sud, verso la capitale Seul ed oltre, fino a raggiungere la città portuale di Pusan, all’estremo sud della penisola. La contea di Jeongju si stendeva su un leggero declivio dalle montagne al mare, su millecinquecento chilometri quadrati di fertile terreno lungo la costa. Era la maggior produttrice di riso tra tutte le contee della provincia del Pyong-an del Nord, ed aveva anche una florida industria ittica. Nelle pianure si trovavano ricche cave di torba, e sulle montagne vi erano delle miniere d’oro.

La città principale della contea, ed i piccoli villaggi che la circondavano, avevano dato alla Corea vari personaggi importanti. Nel corso della Dinastia Yi, prima che i giapponesi si annettessero la nazione nel 1910, la contea di Jeongju deteneva il primato su tutte le altre contee – inclusa quella di Seul – per il numero di studenti che superavano il prestigioso esame superiore per entrare nell’amministrazione pubblica. Dalla stessa contea provengono due importanti figure del panorama letterario del XX secolo: il poeta Kim So-wol e lo scrittore Lee Kwang-su.

Le famiglie del «villaggio dei Moon» e del vicino villaggio Morum coltivavano riso, miglio, granturco, fagioli, cavoli e rafani. Almeno la metà erano mezzadri, quindi cedevano la metà dei raccolti ai proprietari. Il riso della migliore qualità non veniva consumato sul posto ma veniva venduto. Dopo l’occupazione giapponese si iniziò a portarlo a Jeongju, dove si teneva il mercato ogni cinque giorni; lì il riso veniva semilavorato e spedito in Giappone. Gli abitanti del villaggio si nutrivano principalmente di miglio invece che di riso, ma anche di granturco, fagioli, cavoli in salamoia e rafani. Allevavano le galline per le uova e mangiavano carne bovina, di maiale o di pollo solo in occasioni speciali, soprattutto nei compleanni. Era una vita difficile, ma nessuno soffriva la fame.

Anche altri villaggi vicini erano composti essenzialmente da clan. Un gruppo di duecento case era conosciuto come il villaggio Chun Inferiore. Un altro insediamento era composto da quindici famiglie del clan Chun. Seguendo la strada si trovavano due villaggi del clan Cho. Il nome Sangsa-ri non aveva un particolare significato(1), in contrasto con i nomi più altisonanti di altri villaggi, come il «Villaggio che conosce il Tao» o il «Villaggio della Sorgente d’acqua pura».

Uno dei villaggi Cho era un insediamento yangban, cioè di «classe elevata». Una persona yangban, il cui titolo di superiorità si basava sul fatto che un suo antenato aveva superato l’esame di funzionario statale in passato, prima dell’occupazione giapponese, raramente svolgeva un lavoro manuale. Il farlo avrebbe sminuito la sua dignità. Spesso preferiva vivere nella povertà più abietta ed apparire come (o lasciar credere di essere) qualcuno che si occupava solo della propria crescita morale. Le norme di comportamento imponevano ai cittadini comuni di inchinarsi in segno di rispetto quando incrociavano uno yangban, o anche quando entravano nei loro villaggi.

I Moon di Sangsa-ri erano cittadini comuni, che discendevano da un clan le cui origini risalgono al quinto secolo, e da un Moon Da-song che viveva a Nampyong, nei pressi della città sudcoreana di Kwangju(2). L’antenato più conosciuto è Moon Ik-jum, che secondo i libri di scuola ufficiali della Corea del Sud, è la persona che ha introdotto il cotone in Corea. Era il segretario di un diplomatico della dinastia Koryo e, nel 1363, contrabbandò i primi semi di cotone attraverso la frontiera cinese, nascondendoli nei suoi pennelli per scrivere. Suo suocero piantò i semi e costruì una macchina sgranatrice ed un filatoio a mano per filare il cotone. Questo filato fu da quel momento in poi usato per creare quello che divenne il tessuto standard per gli abiti in Corea, in sostituzione della ruvida canapa che i coreani avevano usato fino ad allora. La famiglia di Sun-myung Moon discende dal terzo figlio di Ik-jum, che si trasferì nel nordovest per assumere un incarico governativo verso la fine del quattordicesimo secolo.

Oltre ai nomi degli antenati maschili riportati nel libro del clan, poco d’altro si sa degli antenati di Sun-myung Moon fino agli anni attorno al 1880, quando si stabilirono a Sangsa-ri. A Sun-myung ed ai suoi cugini fu detto che il loro trisavolo, Jong-ul, era conosciuto per la sua gentilezza. Era conosciuto come «Sun-ok», che significa «gioiello di virtù»(3). Si diceva che, ai tempi di Jong-ul, i Moon non portassero il loro riso al mercato, come facevano gli altri contadini. Sembra che vendessero delle misure così ben ricolme e generose, che i clienti andavano direttamente da loro. Incassavano quindi meno di quanto avrebbero potuto, ma si guadagnavano così una reputazione talmente buona che i loro figli erano ai primi posti nelle liste dei candidati ai matrimoni stilate da coloro che li combinavano. Anche i mendicanti erano ben trattati nella casa di Jong-ul. Ad esempio, c’era una povera donna che percorreva le campagne vendendo del pesce secco, trasportandolo in una cesta che reggeva sulla testa: a questa donna Jong-ul regalava del riso. Gli abitanti del villaggio ricordano di aver sentito dire che Jong-ul una volta aveva acquistato un’oca e l’aveva liberata mentre tornava a casa dal mercato.

Si narra che avesse detto: «Se non l’avessi comprata e liberata, qualcuno l’avrebbe mangiata»(4). Era d’uso comune, nella Corea dei tempi andati, che le persone acquistassero uccelli, pesci ed anche tartarughe e le liberassero, nella speranza che la propria gentilezza venisse ricompensata. Il significato di questo aneddoto, per i coreani, non è che Jong-ul fosse gentile verso gli animali, ma che cercava di attirare la buona fortuna sulla sua famiglia.

Un gesto ancora più significativo, almeno per quanto riguarda i suoi discendenti, fu la costruzione del tempio per gli antenati e l’acquisto di un terreno per l’inumazione dei corpi dei membri della famiglia. Per acquistare la terra vendette un campo di poco meno di un ettaro, nonostante la relativa povertà della sua famiglia. Dal punto di vista dell’etica confuciana, un atto di pietà filiale così esemplare avrebbe fatto sì che tutta la sua discendenza ricevesse la benedizione del cielo.

Quando Jong-ul morì, nel 1918, Chi-kook, il maggiore dei suoi tre figli maschi, divenne il capo della famiglia, assumendosi così le responsabilità relative all’osservanza dei riti confuciani rivolti agli antenati. Chi-kook sembra sia stato, prima di tutto, un uomo con grandi capacità intuitive. Fu il primo a riconoscere che il suo secondo nipote, Sun-myung, aveva delle qualità particolari e dette alla famiglia la direttiva di sostenere la sua istruzione: una decisione importante, in una nazione in cui la maggior parte dei bambini non riceveva nemmeno l’istruzione primaria(5). I cugini di Sun-myung ancora ricordano l’opinione del nonno nei suoi confronti; quando, nel 1940, seppe che le autorità comuniste lo avevano arrestato, disse di lui: «Sarà un uomo o molto grande o molto malvagio».

Nonno Chi-kook sostenne che la famiglia non doveva unirsi all’ondata di coloro che, negli anni ’20 e ’30, migravano verso il nord e la Manciuria per sfuggire all’oppressione giapponese, e predisse: «In futuro, l’America ed il Giappone si combatteranno». Citando un antico libro di profezie coreano, il Chung-gam-nok(6), sostenne che la famiglia avrebbe dovuto spostarsi verso sud, o sulle montagne della Provincia di Kang-won, o sul Monte Gye-ryong nella Provincia del Chungchong del Sud che, da alcuni gruppi religiosi, è ancora considerata la capitale spirituale della Corea. Suo fratello minore e gli uomini più giovani della famiglia come vedremo seguirono il suo consiglio, ma Chi-kook restò nel proprio villaggio. Quando i comunisti invasero la Corea del Nord e chiusero la frontiera era ancora vivo ed aveva oltre ottanta anni.

Giunta la vecchiaia, Chi-kook e sua moglie vissero con il loro figlio maggiore, Kyung-yoo. La casa era costruita in quattro sezioni attorno ad un cortile(7). Vi erano le stanze dei nonni, dei genitori, del figlio maggiore e della sua famiglia, e due per i bambini. Naturalmente vi era anche la cucina, il gabinetto, dei depositi ed una piccola stalla per gli animali della fattoria. Kyung-yoo era responsabile della sa-dang, la speciale stanza nella quale venivano scritti e conservati i nomi degli antenati e dove si svolgevano le cerimonie confuciane. Il fratello di Kyung-yoo, Kyung-bok, e suo cugino, Kyung-chun, erano suoi vicini(8). Kyung-yoo, il padre di Sun-myung, era un uomo gentile, dal viso tondo. Pur essendo un contadino, aveva ricevuto una certa istruzione ed era molto versato nei classici confuciani. Era un appassionato cultore dei detti dei saggi. I cugini Moon riferiscono di non avergli mai sentito pronunciare una cattiva parola nei confronti di chiunque nel corso di tutta la loro vita, nemmeno nei confronti dei suoi figli. I padri coreani, al tempo di Kyung-yoo, lasciavano che fossero le mogli ad occuparsi degli affari della famiglia e dell’educazione dei figli; partecipavano attivamente solo alle decisioni importanti, come quelle relative ai matrimoni, all’istruzione e al lavoro, in particolare per quanto riguardava il figlio maggiore. I padri tendevano a vivere ai margini della famiglia, bevevano con gli amici e si preoccupavano solo della fattoria e del futuro. Kyung-yoo invece si dedicava alla propria famiglia più della maggior parte degli altri. Non fumava né beveva; era cortese con i mendicanti che incontrava e li invitava anche a riposare in casa(9). Sun-myung Moon ha fatto un riferimento in proposito in un discorso ad alcuni unificazionisti:

La mia famiglia aveva questo tipo di tradizione: non permetteva mai che qualcuno lasciasse la nostra casa con lo stomaco vuoto. La nostra abitazione era come un punto di incontro di mendicanti: tutte le persone più povere delle vicinanze sapevano che sarebbero state trattate bene, perciò venivano a casa nostra. Nessuno, proprio nessuno veniva trattato male. Mia madre serviva i nostri nonni e serviva anche i mendicanti di passaggio. Dava loro del cibo ogni volta che passavano da noi. Per mia madre questo era un grosso peso da un punto di vista fisico. In un’occasione non ha dato da mangiare ad uno di quei mendicanti, perciò mio padre ha preso il proprio pasto e lo ha ceduto a quella persona. Perciò mia madre era costretta a servire il cibo ai poveri, altrimenti mio padre sarebbe rimasto a digiuno(10).

Mentre il padre di Sun-myung Moon era in un certo qual modo colto e misurato nelle sue azioni, sua madre agiva in modo molto spontaneo. In proposito Moon ha detto una volta: «Mia madre decideva in modo intuitivo ciò che era buono, mentre mio padre aspettava e ragionava su tutto con calma, prima di prendere una decisione. Perciò quando bisognava decidere su qualcosa, c’era sempre un qualche conflitto tra loro»(11).

Sia per il carattere che per l’aspetto, Sun-myung Moon ha preso più da sua madre che da suo padre. Kim Kyung-gye era una donna alta e bella nata in un villaggio vicino nel 1888(12), ed aveva undici tra fratelli e sorelle(13). Kyung-gye entrò a far parte della famiglia Moon a seguito di un matrimonio combinato dai rispettivi genitori intorno al 1905, anno in cui russi e giapponesi si combattevano in Corea ed in Manciuria. Il fatto che lei al momento del matrimonio avesse sedici anni e suo marito solo dodici non era affatto inusuale, anzi, era normale. In quel tempo non era difficile vedere delle mogli aspettare fuori della scuola la fine delle lezioni per condurre a casa i loro giovani mariti.

Dei suoi dodici figli ne sopravvissero solo otto. Due figlie morirono di malattia prima della nascita di Sun-myung. Non avendo a disposizione la medicina moderna, le malattie suscitavano sempre grande preoccupazione. Nel corso della sua sesta gravidanza l’epidemia influenzale del 1918, che fece venti milioni di vittime nel mondo intero, colpì l’ottanta per cento della popolazione del nordovest della Corea, uccidendo molte persone. Mentre era incinta di Sun-myung si verificò un’epidemia di colera alla quale si aggiunse un cattivo raccolto dovuto alla siccità, eventi che aumentarono i suoi timori.

Vari mesi prima della nascita di Sun-myung Moon, l’indovino, «Pak il cieco», che viveva in un villaggio vicino, aveva predetto che nel clan dei Moon sarebbe nato «un grande uomo». Lo sciamano locale, che aveva un nome altisonante e poco comune, Dong-bang Cha-bong(14), confermò tale previsione. Le sette famiglie Moon, nelle quali c’era sempre una qualche donna incinta, non sapevano a quale delle madri si riferisse la previsione e non chiesero maggiori dettagli in proposito. La speranza allora era una merce rara e gli indovini, che avevano accesso ad un mondo misterioso e temuto, erano apprezzati per l’incoraggiamento che fornivano. Per una madre, la profezia che suo figlio sarebbe semplicemente sopravvissuto sarebbe stata più che sufficiente.

Gli abitanti del villaggio erano adusi ai segni ed alle profezie. Una mattina all’alba una donna del villaggio dei Moon vide una gru color oro su un albero vicino alla propria casa. Il giorno dopo l’uccello apparve di nuovo. Nessuno sapeva dove avesse fatto il nido. In effetti forse non era affatto un uccello. Un cugino di Sun-myung, Yong-gi, lo descrive come un uccello vero, mentre suo fratello, Yong-sun, lo definisce «un fenomeno» che sua madre «vide». Ricordano che era stato detto loro che ogni giorno, per tre anni, quell’uccello volò via verso est per riapparire il mattino dopo. All’inizio del 1919 smise di tornare. Gli abitanti del villaggio presero l’apparizione come un segno, un qualcosa che fece nascere in loro la sensazione di non essere dimenticati da Dio.

Reale o immaginario che fosse, lo strano uccello potrebbe aver ispirato il fratello più giovane di Chi-kook, Yoon-kook, che era il locale pastore presbiteriano, ed uno degli Anziani della stessa chiesa, Lee Myong-nyong. Entrambi erano ardenti oppositori della sottomissione coloniale della Corea e desideravano profondamente la liberazione della loro nazione. Come molti altri attivisti religiosi del tempo avrebbero assunto la guida morale della nazione, ruolo che l’imperatore e la nobiltà avevano perso a seguito della cessione della Corea al Giappone senza alcun tentativo di opposizione armata.

Moon Yoon-kook, il pastore, al momento della sua conversione al cristianesimo era un insegnante di scuola. Si era nel 1910, l’anno in cui la Corea era diventata una colonia giapponese ed era stata rinominata Chosen. Nel 1918, all’età di quarant’anni, si era diplomato presso lo Union Theological Seminary della città di Pyongyang, ed era divenuto il pastore di tre chiese: la Chiesa presbiteriana di Dok-heung nel villaggio Morum, e le vicine chiese di Dosun e di Yunbong. L’Anziano Lee Myong-nyong era l’abitante più benestante del villaggio, e sarebbe diventato uno degli attivisti nazionalisti meglio conosciuti nel Paese.

Le chiese cristiane costituivano per i giapponesi una minaccia continua ed incombente. Le chiese erano le sole organizzazioni indipendenti rimaste nella nazione dopo l’occupazione giapponese ed in esse i credenti si imbevevano delle nuove idee di indipendenza e di libertà personale introdotte dai missionari occidentali. Lo scontro, di per sé inevitabile, avvenne nel 1911, quando centocinque persone vennero processate con l’accusa pretestuosa di aver complottato per assassinare il governatore generale giapponese. Novantotto degli accusati erano cristiani, la metà dei quali dalla città di Jeongju. L’evento divenne famoso come il Processo per cospirazione e contribuì a far identificare il nord-ovest della Corea come un forte centro della resistenza cristiana.

Il 1 marzo 1919 alcuni leader cristiani, buddisti e del Chondo-kyo(15), presero completamente di sorpresa le autorità dichiarando l’indipendenza della Corea. I trentatré firmatari della Dichiarazione di Indipendenza, uno dei quali era l’Anziano Lee Myong-nyong, furono immediatamente arrestati, ma nelle settimane che seguirono oltre due milioni di coreani di tutte le classi sociali risposero al loro appello con centinaia di manifestazioni in tutta la nazione. Questo divenne il movimento di massa più grande di tutta la storia coreana. I giapponesi lo repressero selvaggiamente. Secondo dati nazionalisti, settemila cinquecento coreani furono uccisi, e cinquantamila arrestati. «In Tyungju (Jeongju) i manifestanti sono stati colpiti a fucilate o trapassati con le baionette come maiali», riportava il giornale coreano «L’Indipendente». Il pastore della chiesa presbiteriana della città fu «ridotto quasi in poltiglia a forza di bastonate» e la sua chiesa fu bruciata, secondo la relazione di un missionario. Il Rev. Moon Yoon-kook guidò una manifestazione di diecimila persone presso l’Accademia di Osan, stando ad una relazione manoscritta scoperta anni dopo la sua morte. La scuola fu saccheggiata dalla polizia ed incendiata.

La sollevazione fu schiacciata; non aveva influito sul morale dei giapponesi e non aveva ottenuto un vero appoggio, ma solo una certa simpatia, da parte delle nazioni cristiane occidentali. Nonostante questo fallimento politico, qualcosa era però cambiato. Diciassette milioni di coreani oppressi, intorpiditi da un sistema di caste rigido ed immutabile da secoli, tiranneggiati nel corso di tutta la loro storia da potenze più forti ed ora privati della loro nazione, avevano agito come un unico corpo. La Corea aveva riscoperto la propria anima(16).

Il Rev. Moon Yoon-kook fu arrestato, torturato e condannato a due anni di prigione. Una volta in libertà, tornò al suo villaggio e riprese a predicare. La sua passione per l’indipendenza della Corea era più profonda di prima ed avrebbe continuato a procurargli guai con le autorità giapponesi. Nel periodo immediatamente successivo alla sommossa, gli indipendentisti si erano scissi: alcuni si erano dati alla guerriglia, altri avevano accolto le nuove idee dei partiti comunisti russo, cinese e giapponese. Yoon-kook sostenne il governo provvisorio costituito nell’aprile del 1919 dagli esiliati nazionalisti in Shanghai, in Cina.

I politici in esilio avevano un disperato bisogno di fondi. Yoon-kook sentiva che la sua famiglia doveva dare tutto ciò che possedeva per sostenere la causa dell’indipendenza, ma sapeva che non sarebbe stato in grado di convincerla. Decise di indurre i suoi parenti a fare una donazione con l’inganno. Persuase il proprio fratello maggiore, Nonno Chi-kook, a vendere la terra di famiglia, dicendogli che avrebbe investito i soldi in una miniera di carbone nella provincia di Kang-won. Chi-kook approvò l’idea, nonostante l’opposizione di sua nuora, la madre di Sun-myung Moon. Quest’ultima acquistò segretamente, con soldi di sua proprietà, un campo a qualche chilometro dal villaggio. Come previsto, la presunta miniera di Yoon-kook non si materializzò mai, ed il patrimonio di famiglia, settantamila won, una somma allora considerevole, fu perso(17). La madre di Sun-myung Moon vendette la terra che aveva appena acquistato e la famiglia fu in grado di acquistare circa tre ettari di terreno nei pressi della propria abitazione. La donna aveva salvato tutta la famiglia dalla rovina. Dopo questo evento, considerò la strana gru color dell’oro come un presagio di sfortuna. Yoon-kook, in passato stimato pastore presbiteriano, non era più considerato una persona affidabile dalla famiglia. «Fu considerato un pazzo», ricorda uno dei suoi parenti. Essendo sotto continua sorveglianza da parte della polizia, cedette il mandato relativo alle tre chiese e, nel 1928, lasciò il villaggio per nascondersi alle autorità, ritornando solo occasionalmente per vedere la moglie ed i tre figli.

Fu solo nel 1965 che la verità su Yoon-kook venne a galla, una verità che riscattò la sua reputazione. I cugini Moon, in Sud Corea, scoprirono che il loro parente era fuggito al sud prima dello scoppio della guerra di Corea nel 1950, ed era morto nel 1959 in un remoto villaggio, dove aveva vissuto poveramente insegnando calligrafia. Aveva lasciato un resoconto scritto della propria vita, resoconto dal quale sono estratti questi fatti che riportiamo(18). Nella sua testimonianza, il vecchio combattente cristiano per l’indipendenza scrive:

Ero separato da mia moglie, dai miei figli e dai miei parenti. Con le lacrime agli occhi, mi incamminai verso sud e giurai a Dio: «Sono lontano dalla mia vecchia moglie e dal mio giovane figlio… seguirò le nuvole verso il sud. Resisterò e lavorerò per la democrazia in questo Paese. Anche se mi uccidessero, non seguirò mai i comunisti in Nord Corea». Dopo un lungo viaggio, attraverso montagne e fiumi, giunsi finalmente alla casa di mio cugino.

Il matto della famiglia ne divenne l’eroe. I Moon chiesero al governo di Seul di riconoscere il contributo di Yoon-kook al movimento indipendentista. Gli investigatori governativi furono in grado di riscontrare tutti gli elementi principali della storia di Yoon-kook, tranne il particolare della donazione al governo provvisorio, che non registrava tali donativi né emetteva le relative ricevute. Yoon-kook fu dichiarato Patriota Speciale, ed è oggi sepolto nel Cimitero della Chiesa di Unificazione di Paju, vicino alla frontiera con la Corea del Nord.

Sun-myung Moon nacque mentre suo zio era in prigione, il 25 febbraio del 1920, che in quell’anno era il 6 gennaio del calendario coreano (calendario al quale i coreani fanno riferimento per i loro compleanni(19). Ricevette il nome di Yong-myung. Negli anni ’50, dopo la sua fuga verso il sud nel corso della guerra coreana, cambiò il suo nome in quello di Sun-myung(20).

La madre lo allattava al seno, se ne prendeva cura e lo osservava crescere. Ma appena Sun-myung fu in grado di fare i primi passi sua madre fu di nuovo incinta. Venne perciò affidato sempre più frequentemente alla cura delle sorelle più grandi. «Yong-meng!» lo chiamavano, con il forte accento locale. «Yong-meng-a!» ed il fratellino correva sorridente verso di loro, con il viso abbronzato dal sole estivo.

Da bambino era forte e selvaggio, proprio il carattere tipico degli abitanti della provincia di Pyong-an, che si diceva simile a quello di «una tigre che sbuca dai cespugli». Quella tigre si rivelò difficile da controllare. In effetti, ai suoi genitori pareva che fosse lui a controllare loro. Sua madre disse ad uno dei seguaci di Sun-myung, anni dopo, che non era mai stata in grado di disciplinarlo.

Una cugina ricorda che la madre gli diede una volta – il bambino aveva circa sei anni – un ceffone talmente forte che Sun-myung cadde e rimase privo di sensi per un po’. La mamma si spaventò così tanto che non fece più una cosa del genere.

Gli abitanti del villaggio si accorsero che il bambino, già dall’età di cinque anni, aveva un carattere fuori del comune(21). Quando faceva i capricci, si trascinava così a lungo sul pavimento da graffiarsi profondamente la pelle delle mani e della nuca. Quando piangeva, continuava a farlo per ore ed a volte per giorni. Una volta suo zio Kyung-chun, che era considerato l’anziano del villaggio, entrando nella sua casa lo vide giocare e disse: «Questo ragazzino diventerà o un re o un terribile traditore». La famiglia interpretò la frase nel modo che, essendo impossibile in un regime coloniale, diventare re, Sun-myung sarebbe diventato un leader di qualche movimento clandestino ed avrebbe così provocato grossi problemi al clan dei Moon.

Sun-myung Moon non ha parlato spesso dei suoi ricordi d’infanzia. Una volta però, in un discorso, ha narrato che già da bambino aveva un grande intuito per quel che riguardava le persone, e riusciva a vedere come erano spiritualmente(22). Ha detto anche che sentiva un odio profondo per l’ingiustizia, sin dalla più giovane età(23). Aveva sviluppato anche un profondo amore verso la natura. Ha raccontato ai suoi seguaci che una volta, da giovane, dopo aver pregato all’aperto, sentì come se l’erba e gli alberi si rivolgessero a lui e gli dicessero di sentirsi abbandonati dall’uomo(24). La sua vita era quella tipica dei contadini poveri. Poiché gran parte degli abitanti del villaggio erano parte della famiglia estesa, i rapporti tra tutti erano stretti. Per far comprendere l’atmosfera di intimità in cui era cresciuto, in un discorso a dei seguaci coreani disse che da bambino riusciva a distinguere le feci dei suoi genitori e fratelli nel gabinetto esterno(25).

Gli abitanti del villaggio indossavano abiti tradizionali cuciti in casa. Gli uomini avevano gilet, giacca e pantaloni a sacco, mentre le donne indossavano abiti lunghi. In inverno vi si cuciva dentro una fodera in cotone. Il tipo di coltivazione (il riso), l’irrigazione ed il trapianto relativi, richiedevano che i lavori fossero svolti in forma collaborativa. Alcuni dei momenti più belli erano quelli in cui si doveva realizzare un progetto comune, come ad esempio la costruzione di una casa o il rifacimento dei tetti di paglia. Tutti i parenti si univano nell’impresa. C’erano molti scherzi grossolani, o si urlavano ordini contraddittori, più per spirito di autoaffermazione che per necessità organizzative. In cucina le donne scherzavano ed imprecavano, ed assicuravano il flusso di cibo e bevande. I bambini scorrazzavano attorno, a volte si fermavano per aiutare o per intralciare il lavoro, e poi cominciavano a lottare tra loro.

Fino all’età di dieci anni, Sun-myung era dispettoso e lottava spesso con gli altri bambini. Questi cercavano di non cedere alle provocazioni, perché Sun-myung era forte e temevano di essere battuti. Attorno ai nove anni si azzuffò selvaggiamente con un ragazzo del villaggio della famiglia Lee, di tre o quattro anni più grande di lui(26).

Cominciò come un gioco scatenato che si trasformò in una zuffa e finì con la resa di Lee. Conoscendo il carattere di Sun-myung, e curiosi di vedere come avrebbe lottato, i passanti si erano fermati ad osservare la zuffa. Anche quando finiva con le spalle a terra Sun-myung rifiutava di arrendersi e continuava a dimenarsi ed a scalciare. Lee non poteva rinunciare alla lotta ma non riusciva a vincere, così guardava verso gli adulti sperando che qualcuno intervenisse a dividerli; nessuno però si muoveva. Lee cominciò a piangere e lasciò andare l’avversario. Una volta libero Sun-myung saltò sul ragazzo, lo afferrò per le orecchie e cominciò a sbattergli la testa al suolo. A quel punto gli adulti intervennero per mettere fine alla lotta.

Poco dopo quell’avvenimento Sun-myung smise di lottare. Divenne più pensieroso e laconico. Suo cugino Seung-gyun ricorda che «sembrava pesasse le parole, e che pensasse profondamente in merito a tante cose».

Sun-myung era molto vicino a suo fratello maggiore, Yong-soo. Nel 1965 disse ai seguaci americani: «Ho un meraviglioso fratello che mi vuole davvero bene. Ha avuto delle esperienze spirituali; in effetti è l’unico della mia famiglia ad aver capito almeno un po’ la mia missione»(27). Yong-soo cominciò a sentire che quel suo fratello più giovane aveva qualcosa di speciale, e più avanti ne condivise il fervore religioso. Una volta Yong-soo riprese la prima moglie di Sun-myung che si lamentava della devozione del marito alla sua opera religiosa: «Tu non lo conosci. Non lo capisci. Diventerà un grande uomo»(28). In qualità di fratello maggiore, Yong-soo era destinato ad ereditare la fattoria, e non ricevette l’istruzione che Sun-myung aveva ricevuto. Quando i comunisti presero il potere, nel 1945, rimase con i propri genitori. Quando Moon tornò in Corea del Nord nel 1991 per la prima volta dalla guerra di Corea, la vedova di Yong-soo gli riferì che era stato ucciso nel corso della guerra di Corea da aerei americani che avevano bombardato il villaggio e che avevano parzialmente distrutto la loro casa(29).

L’istruzione primaria di Sun-myung era consistita nel tradizionale insegnamento dei caratteri cinesi, che erano stati insegnati in Corea per secoli. L’aula scolastica, o so-dang, non aveva né banchi né sedie. Gli studenti sedevano sul pavimento di legno e venivano istruiti nei testi confuciani. Suo cugino Yong-sun, di sei mesi più giovane, era suo compagno di classe; in un’intervista ha detto: «Nel nostro so-dang vi erano circa quaranta bambini. Iniziavamo attorno alle otto o alle nove del mattino, e continuavamo fino alle cinque del pomeriggio, con un intervallo per il pranzo che portavamo da casa in un contenitore». Se faceva troppo caldo o troppo freddo ricevevano un giorno di vacanza; allora andavano a pescare o, in inverno, a pattinare. Altrimenti si frequentava la scuola sette giorni la settimana.

L’educazione nel so-dang durava sette anni(30). L’insegnante del primo anno era Moon Hyong-chong, nel so-dang annesso alla chiesa del villaggio Morum, della quale era ancora pastore il suo prozio Yoon-kook. Lì Sun-myung Moon imparò i mille caratteri cinesi di base(31), studiando per quattro anni con i maestri Pak-Chang-je e Chong Shin-taek, nel so-dang vicino alla casa di Pak il Cieco. Poi studiò altri due anni a Sangsa-ri con Pak Ki-ho.

A tredici anni conosceva quindi a memoria i caratteri cinesi essenziali, ed aveva studiato i detti dei saggi. Lo studio dei detti filosofici, della storia e della letteratura aveva, in teoria, lo scopo di far sì che l’allievo diventasse un giovane cittadino con una forte consapevolezza etica e di permettergli di avanzare socialmente, piuttosto che di metterlo in grado di trovare un lavoro. Imparò che, nella visione confuciana, la famiglia, e non l’individuo, è l’unità sociale di base, e che le virtù che caratterizzano l’uomo ideale sono la lealtà, la fedeltà, ed altre virtù che si manifestano nei rapporti interpersonali, piuttosto che qualità individuali quali il coraggio o l’umiltà. Imparò che la moralità confuciana si focalizza sulla correttezza dei rapporti. Il centro del sistema era costituito dalla pietà filiale. Come aveva affermato lo studioso confuciano del 19° secolo Chong Yak-yong: «Gli studi del gentiluomo confuciano iniziano con la pietà filiale e finiscono con la devozione verso Dio».

Che secondo i suoi insegnanti Sun-myung Moon fosse o meno un bravo piccolo gentiluomo coreano è tutto un altro discorso. Secondo suo cugino Seung-gyun, che aveva studiato con lui, Sun-myung era il miglior allievo per quanto riguarda la calligrafia, e spesso gli si chiedeva di mostrare alla classe il modo corretto di scrivere un qualche particolare carattere cinese. Superava tutti gli altri ragazzi della sua classe nella perfetta padronanza di due tecniche originali: lo scrivere tenendo il pennello nella bocca e tra le dita dei piedi. «Un giorno a scuola per divertirsi Sun-myung scrisse dei caratteri con queste sue tecniche particolari. Gli altri ragazzi scrissero normalmente, poi qualcuno portò tutti questi compiti all’insegnante perché li valutasse. L’insegnante chiedeva man mano i nomi degli autori dei compiti, e quando giunse a quello di Yong-myung, gli dissero che li aveva scritti tenendo il pennello con i piedi. L’insegnante si arrabbiò e lo sgridò».

Entrando nell’adolescenza divenne robusto «come un albero d’ontano», secondo un abitante del villaggio. Dalle interviste emerge l’immagine di un ragazzo estremamente attivo, sempre di corsa, che non camminava mai normalmente e che si interessava a tutto. Infilava le dita nei buchi dei tetti di paglia alla ricerca di nidi, ed in effetti, il suo passatempo preferito era proprio la cattura degli uccelli.

La sera, i giovani Moon raggiungevano furtivamente i cumuli di legna da ardere nei quali i passeri costruivano i loro nidi. Uno di loro gettava una rete su un lato della catasta mentre gli altri picchiavano sul legno dall’altra per spaventare gli uccelli, che volavano direttamente nella rete. Il problema che si presentava era come tenere gli uccelli man mano che venivano catturati, mentre si procedeva alla ricerca delle prossime vittime. Se li avessero messi nella tasca della tunica sarebbero volati via. La soluzione migliore fu quella di metterli nei loro pantaloni a sacco, che erano legati alle caviglie. Alla fine della caccia cucinavano poi i passeri per i bambini più piccoli(32).

Una volta, Sun-myung catturò una coppia di uccelli e li mise in gabbia per vedere come si sarebbero accoppiati: «Volevo sentirli cantare ed esprimere il loro amore... Naturalmente più avanti compresi che l’amore vero può essere espresso solo in un ambiente naturale, non in una gabbia. Questa è una delle cose ‘cattive’ che ho fatto nella mia giovinezza… Ho ricevuto dalla natura un tipo di conoscenza ancora più importante di quella che ho ricevuto a scuola»(33).

Inventò anche un fucile per sparare agli uccelli. La canna era costituita dall’asta centrale di un ombrello, ed aveva un lungo manico di legno. Usava come polvere da sparo la parte incendiaria dei fiammiferi ed aggiungeva dei pallini.

Un’altra sua monelleria consisteva nel rubare i meloni dal campo dello zio. Invece di limitarsi a mangiare un solo melone, Sun-myung, sempre frettoloso, strappava tutta la pianta in modo da poter vedere subito i meloni e portarli via. Suo zio, quando raggiungeva il campo e vedeva in che stato erano le sue piante, sapeva già con chi prendersela(34).

Quando andavano a raccogliere le noccioline, cercava sempre di prendere quelle più in alto, solo per il gusto della sfida. Per raggiungerle legava assieme dei bastoni e quelle che riusciva a cogliere le regalava ai bambini più piccoli. Una volta – aveva dieci o undici anni – inseguì per tutta la notte una donnola, seguendo le tracce che l’animale lasciava sulla neve, e la catturò. Tornò a casa la mattina dopo ed affrontò l’ira dei genitori, ira temperata dal fatto che avrebbero potuto vendere la donnola per un importo notevole.

In estate i bambini del villaggio catturavano i pesci in un ruscello poco profondo. Usavano una rete, ma i pesci si muovevano velocemente ed era difficile catturarli. Un giorno Sun-myung chiese a suo cugino Seung-gyun di correre con la rete nell’acqua dietro di lui. Sun-myung cominciò a far rumore spaventando così i pesci che finirono direttamente nella rete tenuta da Seung-gyun. Con questa nuova tecnica catturavano due o tre pesci ad ogni tentativo.

Tuttavia la migliore dimostrazione dell’ingegnosità del giovane Sun-myung era costituita dal modo in cui catturava le anguille. Sarebbe stato possibile catturarle con la rete, cosa giudicata però da lui troppo semplice. Preferiva afferrare le anguille di piccole dimensioni, strizzarle fino a far loro aprire la bocca, infilarvi il pollice e lanciarle sulla riva. Un altro metodo consisteva nel bloccare tutte le uscite della tana in cui si nascondevano, ad eccezione di una, e nel catturarle quando provavano ad uscire. La sua tecnica migliore però era quella della cattura con i denti. Racconta Seung-gyun: «Metteva la testa sott’acqua con la bocca vicino la tana; l’anguilla usciva a partire dalla coda e l’afferrava con i denti. Quando toccava a me, mi manteneva la testa sotto l’acqua. Io protestavo, dicevo che mi facevano male le gengive, che avremmo potuto usare una rete, ma mi rispondeva che sarebbe stato troppo facile». L’invito rivolto a Seung-gyun di fare attenzione a che l’anguilla non gli si infilasse in gola non costituiva certo un incoraggiamento. In questo modo riuscivano a catturare anche venti anguille al giorno. Le legavano con una corda e le portavano a casa, appestando tutto il villaggio con l’odore di pesce.

Note

(1) Alcuni unificazionisti, scrivendo il nome del villaggio con i caratteri cinesi, ed attribuendo loro il rispettivo significato (sang = superiore, e sa = pensiero), hanno dichiarato che, profeticamente, il nome significherebbe «villaggio del pensiero celeste». Ma è un caso di interpretazione forzata.

(2) I cognomi coreani sono 275, ed i clan 3.349. Tutti i coreani di cognome Moon appartengono allo stesso clan. Nella Corea del Sud vi sono al momento della redazione (1997) circa 400.000 Moon. Sempre alla stessa data Sun-myung Moon è riconosciuto come capo del clan.

(3) Ai maschi coreani viene dato, nella mezza età, uno pseudonimo, se hanno raggiunto una buona posizione sociale. Questo pseudonimo può essere conferito da una persona più anziana o dal «capo» del clan. Quando ciò avviene, quelle persone vengono chiamate dai loro amici con lo pseudonimo.

(4) Vedi articolo Jeongju-eso Somun-nan Bok-padul Jib (La casa di Jeongju che si diceva fosse benedetta), in Tong-il Se-gye, il mensile della Chiesa di Unificazione coreana, febbraio 1983, pag. 30, che riporta quanto detto da Kim Heung-bok, allora settantunenne, che viveva in un villaggio vicino.

(5) Le iscrizioni alle scuole aumentarono notevolmente con l’occupazione giapponese, ma anche nel 1945 solo il 20 percento dei coreani aveva ricevuto una qualche livello di istruzione formale. Una ricerca del 1944 aveva rilevato che circa la metà della popolazione era totalmente illetterata. Vedi: Korea: the Politics of the Vortex, di Gregory Henderson, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1968, p. 89.

(6) Libro scritto da Lee Dam agli inizi del 1600.

(7) L’indirizzo era 2221, Sang-sa ri, Dokon-myon (-città), Jeongju-gun (-contea), Pyong-an Buk-do (-provincia).

(8) I tre figli di Kyong-bok e due dei figli di Kyong-chon vivono oggi in Corea del Sud.

(9) La reputazione dei Moon è confermata da Lee Yong-chul, che viveva nel villaggio vicino prima di fuggire nel sud della Corea nel corso della guerra coreana (intervista concessa all’Autore).

(10) Sun-myung Moon, sermone da Textbook of Love, 5 febbraio 1984, HSA-UWC, New York, pag. 11. HSA-UWC è la sigla del Movimento dell’Unificazione USA, nome che, tradotto, significa: Associazione dello Spirito Santo per l’Unificazione del Mondo Cristiano. È lo stesso nome che il Movimento aveva assunto in Corea.

(11) Sun-myung Moon, discorso Individual course of life, 20 gennaio 1980, HSA-UWC, New York, pag. 8.

(12) Sulle lapidi delle loro tombe in Corea del Nord, è scritto che la madre di Moon è nata il 25 ottobre 1888, e suo marito l’11 luglio 1893. Queste date si riferiscono al calendario lunare, che è in arretrato grosso modo di un mese rispetto al calendario solare. Il padre è morto l’11 ottobre 1954 e la madre il 7 gennaio 1968, sempre in base al calendario lunare.

(13) La casa della sua famiglia era al 207 di Daesan-dong, città di Dokon, contea di Jeongju.

(14) Ecco un raro caso di cognome coreano formato da due sillabe.

(15) La «Religione della Via Celeste» è una religione tradizionale coreana che si è sviluppata nel corso del diciannovesimo secolo quale alternativa al cattolicesimo. Conosciuta in origine come Tonghak, («Insegnamento orientale», contrapposto all’«Insegnamento occidentale»), era nazionalistica ed alimentata da un forte spirito antistraniero. Anche se tuttora in esistenza, ha poca influenza sulla vita della Corea.

(16) Alcuni storici coreani affermano che il «Movimento 1 marzo» segna la nascita della Corea moderna. Vedi ad esempio The history of Korea, di Han Woo-kyun, Casa Editrice Eul-yoo, Seul, 1970, pagg. 477-478.

(17) La valuta era lo yen giapponese. In coreano il carattere cinese corrispondente si pronuncia won.

(18) Il documento è stato reso disponibile all’autore da un cugino di Sun-myung Moon, Yong-gi. Questi gli aveva riferito che Yoon-kook gli era apparso in sogno e gli aveva dato l’indirizzo di un remoto villaggio della Corea del sud. Yong-gi aveva scritto a quell’indirizzo e gli era stato confermato che in effetti Yoon-kook aveva vissuto lì, ma che era morto da diversi anni.

(19) In altre parole, Sun-myung Moon celebra il suo compleanno il 6 gennaio secondo il calendario lunare. Questo giorno cade ogni anno in un giorno diverso secondo il calendario solare.

(20) Vedi capitolo 10 nota 42.

(21) Fatti ricavati da interviste con il secondo cugino di Sun-myung Moon, Seung-gyun (che negli anni ’60 ha cambiato nome in Seung-yong).

(22) Moon: «Fin dall’infanzia ero chiaroveggente e chiaroudente. Potevo vedere attraverso le persone, vedere il loro spirito» (da una sessione di domande e risposte con membri del Movimento americano, pubblicata da The Unified Family, Washington DC, 1967, rif.: MS1, pag. 1.

(23) Vedi Unification Theology – Revised Edition, di Young-oon Kim, New York, 1987, pag. 15.

(24) Ibid.

(25) Sun-myung Moon, discorso La nostra Chiesa in Corea dal punto di vista della provvidenza di Dio, 19.02.1989, note dell’Autore.

(26) Fatto narrato all’Autore da Moon Seung-gyun.

(27) Sun-myung Moon, discorso The blessing of God through History, 13 febbraio 1965, Oakland, California, pag. 4, The Unified Family, Washington D.C., 1967.

(28) Intervista al cugino di Moon, Yong-hyon.

(29) Ad oggi è stato impossibile verificare quest’affermazione. Potrebbe esserci un’altra spiegazione, che la vedova potrebbe non aver rivelato per paura, a motivo della presenza dei dirigenti comunisti che accompagnavano Sun-myung Moon nella visita. In un’intervista un vicino, Lee Yong-chul, che era rimasto nel villaggio fino all’ultimo, sfuggendo alle forze comuniste nel 1950, riferì che i comunisti definivano i villaggi Morum e Sangsa-ri come «ee-nam bu-rak» (ulteriori villaggi sudcoreani) perché vi risiedevano molti cristiani anticomunisti. Una tale reputazione rende lecito pensare che Yong-soo ed altri che vi erano rimasti fossero divenuti in seguito vittime del regime.

(30) Su questo punto vi sono delle discrepanze tra le fonti. Secondo Moon Yong-sun erano sette anni. Moon Seung-gyun sostiene invece che durasse quattro anni, e che il ciclo scolastico iniziasse quando i bambini avevano dieci anni.

(31) Anche se le lingue sono diverse, Cina, Corea e Giappone possono comunicare per iscritto per il tramite della comune radice linguistica dei caratteri cinesi. I sudcoreani imparano i caratteri sinocoreani (e cioè dei caratteri cinesi con pronuncia coreana).

(32) Dall’intervista concessa all’Autore da Moon Seung-gyun.

(33) Vedi Today’s World, mensile del World Mission Department, HSA-UWC, New York, maggio 1986, pag. 8.

(34) Questo fatto ed i successivi sono stati riferiti all’autore da Moon Seung-gyun.

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