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Capitolo 5 - Caso o Logos: Critica di Darwin

Il modello della creazione ed evoluzione attraverso il Logos, come si può facilmente osservare, si scontra frontalmente con la teoria dell’evoluzione delle specie tramite le mutazioni e la selezione naturale. Vedremo ora che il supporre l’esistenza di un Logos o progetto antecedente, permette di spiegare molte delle cose che sono inspiegabili con la teoria convenzionale dell’evoluzione casuale.

1. Creatività, necessità e caso

Data la grande importanza che molti scienziati danno oggi al ruolo del caso nella formazione ed evoluzione dell’universo, dedicheremo questo capitolo all’analisi di questo argomento.

È innegabile che vi siano meccanismi casuali che giocano un ruolo importante nelle formazioni geologiche, così come - ma in misura minore - nella formazione ed evoluzione degli esseri viventi.

Pertanto, non si tratta di negare l’esistenza di questi meccanismi casuali, ma di confutare che essi siano la causa principale o più importante della formazione e dell’evoluzione dell’universo. Infatti, questi meccanismi casuali sono meccanismi destinati a svolgere un ruolo terziario, e sono subordinati sia ad un progetto o disegno creativo che alla necessità di meccanismi guidati da leggi. Pertanto, la sequenza più corretta in ordine di importanza è quella di creatività, necessità e caso, invece di caso e necessità.

Meccanismi governati dal caso nella formazione dell’universo

Cominciamo con l’analizzare il modello delle formazioni geologiche; questo è infatti il modello che si vuole generalizzare ed estrapolare per adattarlo al mondo biologico e alla formazione dell’universo.

Il primo processo di formazione del mondo fisico o minerale, che va dal mondo quantistico alle strutture delle galassie, è stato controllato da campi fisici di forze governati da leggi ed equazioni matematiche e da processi accidentali o meccanismi casuali, senza che apparentemente compaiano tracce del progetto.

Tuttavia, se si vuole, si possono vedere dei segni indicativi di un progetto, di un intento; dei segni che ci fanno capire che il processo instaurato era preconfigurato da leggi universali e basato su costanti con valori numerici specifici.

Per esempio, la costante universale della legge di gravità che modella i movimenti orbitali; la distanza della terra dal sole, che determina la temperatura media della terra; l’inclinazione dell’asse della terra che dà origine ai cicli regolari delle stagioni; e le caratteristiche degli elementi semplici che determinano la composizione generale del nucleo, della crosta e dell’atmosfera della terra.

Meccanismi governati dal caso nei cicli della natura

Questo processo di formazione della terra, sebbene preconfigurato da queste costanti universali, non era completamente predeterminato in tutti i suoi dettagli a causa dell’esistenza di meccanismi casuali che danno sempre luogo a un margine di indeterminazione. L’aspetto concreto del pianeta, la forma precisa e la distribuzione geografica di continenti, mari, vulcani, montagne, valli e fiumi, non è stato ovviamente progettato, ma è dovuto a meccanismi accidentali o casuali.

Prendiamo, per esempio, i cicli naturali dell’acqua, le correnti marine o quelle atmosferiche. Sono tutti meccanismi regolari, retti da leggi che in sostanza sono molto simili al movimento di rotazione della terra intorno al sole. La differenza con questi ultimi è che il movimento circolare di questi cicli è fluttuante perché sono soggetti al cambiamento delle condizioni ambientali.

Per questo motivo, le forme concrete dei fiumi e dei mari, la formazione delle tempeste o la direzione dei venti e delle correnti, essendo continuamente modificate da meccanismi casuali, sembrano completamente capricciosi e arbitrari.

Tuttavia, dietro questi meccanismi casuali ci sono cicli o meccanismi regolari e necessari governati da leggi, e dietro di essi c’è una preconfigurazione o disegno generale. Quindi, abbiamo detto prima che la sequenza più corretta sarebbe: creatività, necessità e caso, cioè, progetto antecedente, meccanismi necessari governati da leggi deterministiche e meccanismi casuali.

Meccanismi governati dal caso nella formazione delle differenze tra le razze

Anche nel mondo degli esseri viventi ci sono dei processi casuali. Ne sono prova le trasformazioni che molte specie sperimentano attraverso meccanismi di adattamento all’ambiente, o microevoluzione, e la mescolanza delle razze.

Prendiamo ad esempio gli esseri umani. La specie umana è una famiglia fondamentalmente omogenea. Abbiamo tutti lo stesso tipo di occhi, naso, bocca, così come gli stessi organi interni e la stessa struttura ossea. La forma e la disposizione di ciascuno degli organi esterni e interni, così come la posizione eretta e la struttura scheletrica sembrano rispondere a un progetto originale comune della specie umana.

Tuttavia, le diverse pigmentazioni della pelle, la forma obliqua o dritta delle palpebre, la maggiore o minore lunghezza delle gambe, o il colore dei capelli e degli occhi, chiaramente non corrispondono ad un precedente progetto originale, bensì ad alcuni meccanismi di adattamento all’ambiente uniti ad una mescolanza di persone con caratteristiche diverse.

Ma, per quanto diverse possano essere le diverse razze, non si allontanano dall’unico identico progetto generale della specie umana. Pertanto, si può vedere che l’unica cosa che i meccanismi casuali fanno è trasformare, modificare o individualizzare i progetti generali.

2. La teoria darwiniana dell’evoluzione

Piccole variazioni spontanee e mutazioni casuali

Darwin, durante il suo famoso viaggio nell’arcipelago delle Galapagos, entusiasta della lettura di un libro di geologia, osservò che le stesse specie di uccelli che vivevano in isole diverse si erano trasformate per adattarsi all’ambiente di ogni isola.

Egli tentò di applicare ed estendere il modello delle formazioni geologiche all’evoluzione delle specie. Immaginò così che tutti gli esseri viventi subissero piccole variazioni naturali, spontanee e fortuite. Quelle variazioni erano la causa, secondo Darwin, della grande varietà di forme di esseri viventi che si è realizzata nel corso di un periodo di tempo molto lungo.

Quindi, quello che appariva come il progetto degli animali e delle piante in realtà era solo un’illusione: ogni essere vivente è in realtà una formazione naturale come le rocce scolpite dall’erosione e dal vento, le cui forme a volte sembrano essere state scolpite da un artista.

Più tardi, con la scoperta del DNA, la teoria sintetica neodarwiniana ha individuato le fonti di queste cosiddette variazioni spontanee nelle mutazioni accidentali del DNA, causate da deterioramenti prodotti da agenti esterni, da errori di copiatura o trasmissione del DNA e dalla ricombinazione dei geni attraverso la riproduzione sessuale.

Questa teoria sostiene inoltre che i presunti progetti, funzionalità e scopi degli organismi viventi e dei loro organi è una pura illusione, poiché in realtà sono il risultato di un meccanismo casuale e cieco.

La selezione naturale

Darwin, partendo dal presupposto che negli esseri viventi si verificano piccole variazioni spontanee, cercò di scoprire perché le variazioni più utili o favorevoli erano proprio quelle che si generalizzavano tra gli individui della specie.

Per questo motivo, si dedicò a studiare l’opera degli allevatori di animali e dei coltivatori di piante. Questi sceglievano gli individui migliori da utilizzare come individui da riproduzione e migliorare così la razza.

Capì tuttavia che questo tipo di selezione artificiale non gli era utile, poiché interveniva un agente intelligente. Ciò che Darwin cercava era un qualche meccanismo di selezione naturale, cioè una causa del tipo di quelle geologiche in cui non interveniva alcuna intelligenza.

Infine, leggendo le famose leggi di Malthus sulla popolazione - oggi obsolete e confutate dall’esperienza - ebbe l’ispirazione che la selezione avveniva attraverso la lotta tra individui per una fonte limitata di cibo, in cui sopravviveva il più adatto, cioè il portatore della variazione più utile. Questo poi, avendo molti discendenti, generalizzava quella variazione benefica nella specie.

La controversa credenza nel caso quale causa fondamentale dell’evoluzione

Perfino per Darwin fu difficile accettare l’estrapolazione di meccanismi geologici casuali per applicarli al processo totale dell’evoluzione delle specie, e cioè il porre il caso come causa base o fondamentale di tutto il processo. Tanto è vero che confessò di essere precipitato in un mare di dubbi:

Non posso pensare che il mondo come lo vediamo sia il risultato del caso; e tuttavia non posso considerare ogni caso isolato come il risultato di un Progetto... Sono, e sarò sempre, in un pasticcio insanabile. (Charles Darwin in una lettera ad Asa Gray, 26 novembre 1860, vedi Darwin, F. [1888] P. 378).

Sono incline a considerare tutte le cose come il risultato di leggi deliberate in cui i dettagli, buoni o cattivi, sono lasciati ad essere determinati da ciò che potremmo chiamare caso. E non è che questa spiegazione mi soddisfi del tutto. Sono intimamente convinto che l’intera questione sia troppo profonda per l’intelligenza umana (Charles Darwin in una lettera ad Asa Gray, 22 maggio 1860: vedi Darwin, F. [1888], 312).[1]

L’opacità di un mondo determinista che non lasciava spazio al caso e alla libertà

Come giustamente sottolinea lo zoologo australiano Charles Birch nella citazione seguente, ciò che fece decidere Darwin in favore del caso fu il suo rifiuto della visione totalmente determinista che prevaleva, nel suo tempo, in campo teologico e scientifico, e che non lasciava spazio alla libertà:

Darwin aveva ripetutamente dichiarato nelle sue lettere che non poteva vedere come il caso da solo potesse spiegare il mondo come un insieme ordinato, poiché il caso illimitato è solo caos.

Cosa segna i limiti del caso? Darwin lottò per trovare una risposta. Giunse persino a sostenere che le «leggi della natura» sono «progettate», mentre i dettagli sono lasciati al caso. Ma non era affatto soddisfatto di questa idea. Il «fango» in cui si sentiva immerso era l’opacità di una visione deterministica del mondo, concepita religiosamente o in altro modo, che non lasciava spazio al caso e alla libertà.[2]

«La spiegazione più ragionevole è quella dei miracoli»

In realtà, questa enfasi sul caso è ciò che ha sempre provocato grande scetticismo e dubbio tra gli scienziati nel valutare la teoria darwiniana dell’evoluzione, come ammette lo stesso Dobzhansky nella seguente citazione.

Naturalmente, con il passare del tempo e la forza della tradizione, questa teoria è diventata un dogma di fede per la maggior parte dei biologi professionisti che credono ciecamente in essa.

Tra gli oppositori della teoria neodarwiniana, la maggioranza la rifiuta perché attribuisce al caso un ruolo troppo importante nell’evoluzione.

Essi affermano che è assurdo supporre che un sistema immensamente complesso, e allo stesso tempo con una quantità di risorse straordinarie da mantenersi in vita in un ambiente ostile, possa sorgere per caso, o per una somma di casi. Il poeta Auden, che è anche un filosofo della biologia per vocazione, crede che la spiegazione più ragionevole sia data dai miracoli.[3]

I dubbi degli scienziati sull’ortodossia darwiniana

Scienziati di altri campi, come Pauli, Heisenberg, Bohr o Davies, si sentivano più liberi di esprimere i loro dubbi sull’ortodossia darwiniana. Questi sono ben espressi nella seguente citazione di Davies:

«Ma che dire dell’evoluzione», incalzò Heisenberg. «È molto difficile credere che organi così complicati come, per esempio, l’occhio umano, siano stati costruiti in modo totalmente graduale come risultato di cambiamenti puramente accidentali». Bohr concesse che l’idea di nuove forme originate per puro caso «è molto più discutibile». (...)

Più problematica è l’affermazione che il cambiamento evolutivo è guidato da mutazioni casuali. Porre il puro caso al centro dell’imponente edificio della biologia è per molti scienziati un po’ troppo difficile da digerire...

Come può un organismo incredibilmente complesso, così armoniosamente organizzato in un’unità funzionante integrata, magari dotato di organi estremamente complessi ed efficienti come occhi e orecchie, essere il prodotto di una serie di semplici eventi casuali?

Come può il solo caso essere responsabile dell’emergere di strutture completamente nuove e di grande efficienza, come il sistema nervoso, il cervello, l’occhio, ecc. in risposta alle sfide ambientali? [4]

La selezione naturale: un meccanismo impaziente, miope e opportunista

Anche il meccanismo della selezione naturale non è esente da critiche. Il sociologo John Elster fa un interessante confronto tra l’evoluzione culturale e tecnologica portata da nuove invenzioni da parte di attori intelligenti, come ingegneri o matematici, che hanno una capacità di scelta razionale, con il processo di evoluzione teoricamente guidato da mutazioni e selezione naturale.

Confrontando entrambi i processi con esempi, Elster conclude che le scelte razionali fatte da ingegneri e inventori è in grado di produrre progetti migliori e più efficienti del presunto meccanismo della selezione naturale, sottolineando che quest’ultimo è un meccanismo impaziente, miope e opportunista:

In primo luogo, la macchina [la selezione naturale] non può imparare dagli errori del passato, poiché solo il successo viene dal passato. Nell’evoluzione non c’è nulla che corrisponda ai «fallimenti utili» dell’ingegneria. Secondo, la macchina non può usare il tipo di strategie indirette riassunte nella frase «un passo indietro e due avanti» (...) Terzo, la macchina non è in grado di aspettare, cioè di rifiutare opportunità in un certo momento per poterne sfruttare altre più favorevoli in seguito... Qui vorrei solo sottolineare quello che è stato chiamato il carattere impaziente, miope e opportunista della selezione naturale; non ha memoria del passato né capacità di agire in termini di futuro.[5]

E tutto ciò mentre, come sottolinea Elster, «in molti casi ben documentati la soluzione naturale di problemi strutturali e funzionali è sorprendentemente vicina a quella che un ingegnere avrebbe scelto lavorando sullo stesso problema». [6]

Anche Hans Zeier sottolinea questo fatto nella citazione che segue. In effetti, i progettisti di aerei e barche si ispirano al - o semplicemente copiano il - disegno naturale delle ali degli uccelli e delle pinne degli squali, che curiosamente sono i più efficaci. Allora, come è possibile che un meccanismo di selezione naturale così miope e maldestro sia stato in grado di generare disegni così straordinariamente efficaci?

Studiando gli esseri viventi, sorprende sempre più il loro eccellente adattamento in termini di forma e di attività da soddisfare nella loro specifica area vitale. È come se tutto ciò fosse dovuto a un processo di conformazione universale e creativo che si manifesta anche nei più piccoli dettagli strutturali e funzionali.

Consideriamo il sistema circolatorio dei mammiferi: il suo scopo è trasportare il sangue in tutte le parti del corpo. Nell’uomo, il sistema circolatorio ha l’impressionante lunghezza di circa 100.000 km. È evidente che è della massima importanza che il trasporto del sangue attraverso la rete avvenga con il minimo sforzo. Gli ingegneri possono calcolare come dovrebbe essere costruito un tale sistema per una performance ottimale. È significativo che la soluzione data dalla natura coincida con i valori teorici ottenuti dal calcolo.[7]

Un meccanismo egoista che massimizza solo la riproduzione individuale

Un altro aspetto sottolineato da Elster è il carattere marcatamente egoista del meccanismo di selezione naturale. Non massimizza nemmeno l’adattabilità all’ambiente, il fenomeno che all’inizio aveva stupito Darwin. Ciò che realmente massimizza è la riproduzione individuale.

La conseguenza più logica e coerente che deriva da questo meccanismo di selezione naturale è quella che ne trae Dawkins. E cioè, che i geni sono egoisti e cercano solo di fare il maggior numero di copie di se stessi. Questo punto di vista, come dice Elster, mostra una visione piuttosto cupa e tetra del significato della vita:

In primo luogo, dobbiamo insistere sulla natura strettamente individualistica della spiegazione funzionale in biologia. L’evoluzione naturale promuove la capacità riproduttiva dell’organismo individuale, non quella della popolazione, della specie o dell’ecosistema (...)

Invece della confortante visione di una selezione naturale che adatta la specie al suo ambiente... otteniamo la triste storia di organismi individuali che si sforzano di massimizzare il numero di figli, qualunque cosa accada. O, cosa ancora più cupa, una storia di singoli geni che emergono per massimizzare le copie di se stessi, usando ogni organismo come destinatario.[8]

Se la selezione naturale massimizza solo il successo riproduttivo, perché l’evoluzione non si è fermata a organismi come i microbi o i ratti che hanno un successo riproduttivo così elevato? Davies insiste in questa sua obiezione alla selezione naturale nella seguente citazione.

Non è affatto chiaro come questa tendenza verso livelli più alti di organizzazione derivi dalla teoria di Darwin. Gli organismi unicellulari, per esempio, hanno un enorme successo. Esistono da miliardi di anni. Nella loro competizione con gli organismi superiori, compreso l’uomo, troppo spesso ne escono vincitori, come la professione medica sa bene.

Quale meccanismo ha spinto l’evoluzione a produrre organismi multicellulari di complessità sempre crescente? Gli elefanti possono essere più interessanti dei batteri, ma in senso strettamente biologico hanno davvero più successo? Nella teoria neodarwiniana il successo è misurato solo dal numero di figli; quindi, sembra che i batteri abbiano molto più successo degli elefanti.

Perché, allora, si sono evoluti animali complessi come gli elefanti? Perché tutti gli organismi non sono semplicemente involucri di sostanze chimiche che si riproducono freneticamente? [9]

In natura esiste davvero una lotta spietata per la sopravvivenza?

La selezione naturale ci porta a pensare che in natura esista una lotta spietata per la sopravvivenza in cui solo i più adatti o più forti sopravvivono, e i meno adatti o più deboli sono destinati all’estinzione.

Analizziamo ora il fenomeno naturale per cui alcune specie servono da cibo per altre.

I cicli di vita in natura sono progettati per garantire l’equilibrio dell’ecosistema

In natura, ci sono specie di predatori che cacciano o pescano nutrendosi di altre specie. Tuttavia, questo fenomeno fa parte di un ciclo vitale o di una catena di specie animali e vegetali che si nutrono l’una dell’altra; apporta, quindi, un beneficio all’intero ecosistema garantendo la sopravvivenza delle specie.

Ad esempio, se in un ecosistema eliminassimo i predatori, la sovrappopolazione delle specie intermedie potrebbe portare all’esaurimento delle specie vegetali e quindi squilibrare e rovinare l’intero ecosistema.

È curioso notare che i grandi predatori si riproducano solo una o due volte all’anno, mentre le specie che servono loro da cibo siano molto prolifiche. Secondo la teoria darwiniana, se i predatori hanno più successo nella lotta per la sopravvivenza, dovrebbero essere anche le specie più numerose e le loro vittime dovrebbero estinguersi.

Perché, allora, i predatori hanno meno successo nella riproduzione e sono più in pericolo di estinzione, mentre le loro vittime, le specie perdenti, hanno tanto successo nella riproduzione?

Non è necessario essere molto intelligenti per capire che la ragione per cui questa catena di specie che si mangiano a vicenda ha la forma di una piramide - cioè, le specie che stanno sotto si riproducono di più e sono più abbondanti, e quelle che stanno sopra si riproducono meno e sono meno numerose - è perché l’ecosistema è configurato in questo modo proprio per garantire il suo equilibrio.

Se fosse il contrario - come sembra indicare la teoria darwiniana - tutte le specie, comprese quelle dei vincitori o predatori, si estinguerebbero, perché semplicemente non avrebbero più nulla da mangiare.

In realtà, è molto più corretto interpretare questo fenomeno naturale dal punto di vista che alcune specie offrono alcuni dei loro membri come sacrificio a beneficio di altre specie. In questo modo, contribuendo al bene dell’ecosistema nel suo complesso, in ultima analisi, esse vanno a beneficio della loro stessa progenie.

3. Caso o Logos?

Vediamo ora che l’ipotesi dell’esistenza di un Logos o di un progetto permette di spiegare molte delle cose inspiegabili con la teoria convenzionale dell’evoluzione per caso.

La miracolosa comparsa del DNA

Secondo Davies, la probabilità reale che il DNA del più semplice virus si formi accidentalmente è pari a zero assoluto:

È possibile fare dei calcoli probabilistici approssimativi della formazione di un semplice virus. Secondo tali calcoli l’incessante scomporsi e riformarsi in forme nuove delle complesse molecole della zuppa primordiale potrebbe portare ad un virus non complesso in un miliardo di anni. L’enorme numero di combinazioni chimiche possibili è tale che le probabilità sono di una su oltre 10 2 000 000.

Questo numero da capogiro è più delle probabilità che fare testa con una moneta per sei milioni di volte di seguito. Passare da un virus a qualche ipotetico replicatore più semplice potrebbe migliorare considerevolmente le probabilità, ma con numeri come questi non cambia la conclusione: la generazione spontanea della vita tramite un rimescolamento molecolare casuale è un evento ridicolmente improbabile.[10]

Anche Monod, un fervente difensore del darwinismo, riconosce che l’apparizione della vita per caso è stata un evento unico la cui probabilità che potesse verificarsi era quasi nulla.

La vita è apparsa sulla Terra: quale era la probabilità della sua comparsa prima dell’evento? Non è esclusa, dalla struttura attuale della biosfera, l’ipotesi che l’evento decisivo non si sia verificato più di una volta. Ciò significherebbe che la sua probabilità a priori è quasi zero.[11]

E, come dice Popper, una spiegazione dell’origine della vita basata su probabilità prossime allo zero non può essere una spiegazione scientifica: al contrario, si tratta di credere in un miracolo straordinario!

Abbiamo la stessa situazione per quanto riguarda l’emergere della vita da qualcosa di non vivo. È incredibilmente improbabile che la vita sia mai emersa; tuttavia, è emersa. Poiché è incredibilmente improbabile, non può essere una spiegazione dire che è emersa per caso, perché, come ho detto prima, una spiegazione in termini probabilistici è sempre una spiegazione in termini di alta probabilità.[12]

La formazione del DNA attraverso il Logos

Al contrario, che un progetto, cioè un’informazione codificata in un campo vitale energetico, possa originare e ordinare una struttura molecolare, non è impossibile per la fisica quantistica attuale, in cui il campo è la realtà primaria, mentre le particelle e gli atomi sono una realtà derivata da esso, ed è sperimentalmente verificato che avvengono fenomeni di influenze causali non locali.

Il DNA come «ricevitore» capace di cogliere il progetto di una «nuova vita» da campi vitali energetici preesistenti

Si potrebbe sostenere che manipolando, tagliando, ricomponendo o addirittura sintetizzando parti di DNA, in futuro si potrebbero creare nuovi virus o addirittura cellule viventi, il che dimostrerebbe che non esiste altro oltre alle molecole.

Questo è il vecchio argomento secondo il quale, se una persona viene colpita alla testa smette di pensare, e si dimostra così che il pensiero è nella testa. È lo stesso che dire che, prendendo a martellate un ricevitore radio, e osservando che la voce dell’emittente non si sente più, si dimostra che l’emittente era dentro la radio.

Come spiega Charon nella citazione seguente, è possibile che il DNA sia come un ricevitore capace di catturare quelle onde emesse da un campo vitale preesistente che riempie lo spazio:

Una struttura materiale è incapace da sola di creare la vita, perché evolve sempre dall’ordine al disordine, mentre la vita va dal disordine all’ordine. La struttura non può quindi essere un «attore» vivente, può solo essere un «ricevitore» capace di entrare in risonanza con qualcosa di preesistente alla struttura materiale nello spazio e a ciò che i fisici chiamano spesso campo.

Il campo evolutivo è presente in tutto l’universo e quindi non abbiamo bisogno di sintetizzarlo. La sintesi della vita consiste nel costruire un ricevitore capace di cogliere tale campo.

È qualcosa di simile al costruire un ricevitore radio per captare i programmi di una stazione. La voce che sentiamo nel ricevitore è ciò che è veramente «vitale» di esso, mentre transistor, resistenze e trasformatori non sono altro che strutture materiali.

Allo stesso modo, la sostanza vivente è un campo che fluttua nel tempo, tra lo stato iniziale e lo stato finale dell’universo. Creare la vita è, per noi, poter costruire il ricevitore sintonizzato sul campo evolutivo.[13]

Usando la metafora del computer, il DNA potrebbe essere comparato al supporto materiale o hardware; se riusciamo a realizzare l’hardware giusto, questo potrebbe caricare e copiare automaticamente un software o progetto già in essere nel campo vitale.

In altre parole, ciò che avremmo fatto non è creare la vita, ma semplicemente fabbricare il supporto materiale o il ricevitore capace di catturare il programma o il progetto di una nuova vita. Ciò, quindi, non dimostrerebbe affatto che non c’è altro oltre alla struttura molecolare del DNA.

Qual è l’origine dell’informazione genetica e dove viene conservata?

Da un lato, si dice che i DNA sono solo strutture molecolari e, dall’altro, che portano un codice genetico che contiene tutte le informazioni sulle caratteristiche dell’essere vivente. Qui sorgono due problemi: da dove vengono queste informazioni? E dove sono conservate tutte queste informazioni?

Qualsiasi insieme significativo di informazioni deve essere ordinato e codificato in un linguaggio, che è un sistema funzionale, articolato e regolato di simboli ideati dall’uomo, come il linguaggio ordinario, il Morse, i linguaggi matematici o il codice binario dei programmi informatici. In altre parole, le lingue sono necessariamente un sistema progettato e creato per un processo mentale come minimo di livello umano.

Allora come si spiega che semplici strutture molecolari abbiano una capacità mentale così straordinaria da creare il linguaggio del codice genetico?

Quando si giunge alla famosa scoperta del codice genetico, si vede che questo consiste nel fatto che ogni tripletta di basi o combinazione di tre gradini della scala a spirale del DNA, è responsabile della fabbricazione di un tipo di amminoacidi, che sono la struttura primaria delle proteine, che a loro volta sono il materiale di base degli organismi viventi. Quindi, come dicono alcuni biologi, il DNA è più simile a una catena robotica di fabbricazione e assemblaggio di proteine che al famoso libro della vita. Dove sono allora le informazioni necessarie affinché queste proteine siano ordinate per formare tutti i tipi di cellule e organi, che danno origine a caratteristiche come il colore degli occhi e dei capelli? Davies parla molto chiaramente di questo problema:

Consideriamo, per esempio, il fenomeno della differenziazione cellulare. Come fanno alcune cellule a «sapere» che devono diventare cellule del sangue, mentre altre devono diventare parte dell’intestino o della spina dorsale? Poi c’è il problema del posizionamento spaziale. Come fa una data cellula a sapere dove si trova in relazione ad altre parti dell’organismo, in modo che possa «trasformarsi» nel tipo di cellula appropriato per l’organismo finito?

Correlato a queste difficoltà è il fatto che, sebbene le diverse parti dell’organismo si sviluppino in modo diverso, tutte contengono lo stesso DNA.

Se ogni molecola di DNA possiede lo stesso piano globale per l’intero organismo, come è possibile che cellule diverse implementino parti diverse di quel progetto?

Esiste forse un «metaprogetto» che comunica ad ogni cellula quale parte del progetto attuare? E se sì, dove si trova? Nel DNA? Ma ciò significa sicuramente cadere in un infinito ciclo di regressioni. (...)

Una possibile via di fuga è supporre che in qualche modo il progetto globale sia immagazzinato nei campi stessi, e che il DNA agisca come un ricevitore piuttosto che come fonte di informazioni genetiche.[14]

È evidente che l’informazione non è memorizzata nell’ordine dei passi della scala del DNA.

Tuttavia, proprio come un robot in una catena di produzione è guidato da un programma per computer, il DNA potrebbe essere l’hardware che supporta un software in cui sono contenute tutte le informazioni genetiche, compreso un completo disegno virtuale dell’essere vivente.

In questo caso, però, tali informazioni non possono essere nate da un ordine accidentale di molecole, ma devono essere state caricate o copiate da un’altra fonte.

Questa idea che il DNA carichi automaticamente, copiandola e individualizzandola, l’informazione genetica che eredita dai suoi progenitori, informazione che in definitiva deriva da un Logos specifico della specie registrato in un campo vitale, spiega meglio l’origine e il luogo in cui si trova l’informazione genetica.

Questo è, naturalmente, molto più ragionevole che sostenere che un ordinamento accidentale di molecole abbia dato origine a strutture molecolari così sapienti e intelligenti da essere state in grado di elaborare e codificare una vasta e straordinaria quantità di informazioni.

Il mistero della morfogenesi

La morfogenesi è un fenomeno inspiegabile tenendo conto del solo DNA, come confessa lo stesso Monod. «È certo che lo sviluppo embrionale sia uno dei fenomeni evidentemente “più miracolosi” di tutta la biologia. È anche vero che questi fenomeni, mirabilmente descritti dagli embriologi, sfuggono ancora, in gran parte, all’analisi genetica e biochimica».[15]

La morfogenesi è il processo tramite il quale un embrione o una cellula staminale fecondata comincia a scindersi in due e moltiplicarsi. Questo è almeno il primo stadio. Poi, le cellule cominciano a specializzarsi gradualmente dando forma a tutti i tessuti e organi, fino a formare l’organismo completo.

Nelle prime fasi, il processo è sorprendente. Non può essere spiegato con il DNA, perché il DNA semplicemente duplica e fabbrica le proteine per costruire le cellule, che sono fondamentalmente composte dagli stessi elementi.

Il fatto che le cellule che si moltiplicano siano disposte in una precisa struttura spaziale e si siano specializzate fin dall’inizio - in un momento in cui nulla sembra collegarle - è uno dei fenomeni più sorprendenti e misteriosi della biologia. È come se ci fosse un robot invisibile che mette ogni cellula al suo posto e assembla l’organismo, come spiega Davies nella seguente citazione:

La creazione di forme biologiche è conosciuta come morfogenesi, e nonostante decenni di studi è un argomento ancora avvolto nel mistero. (…) Studiando lo sviluppo dell’embrione, è difficile resistere all’impressione che esista da qualche parte un progetto, o piano di montaggio, che riporti le istruzioni necessarie per ottenere la forma finita.

C’è quindi un forte elemento di teleologia coinvolto. Sembra che l’organismo in crescita sia diretto verso il suo stato finale da una sorta di agente di supervisione globale.

Questo senso di destino ha portato i biologi a usare il termine mappa del destino per descrivere lo schiudersi, evidentemente pianificato, dell’embrione in via di sviluppo.[16]

Secondo Sheldrake, questo fenomeno potrebbe essere spiegato dalla teoria che l’informazione necessaria per realizzare il processo non si trova nel DNA - che sarebbe un semplice ricevitore - ma in un campo morfico (un campo generatore di forma), che guiderebbe questo processo attraverso qualche influenza causale non locale che egli chiama risonanza morfica.

Questa teoria è anche nella linea di pensiero che presuppone l’esistenza di un Logos o progetto precedente. Cercheremo di spiegare questo processo usando il concetto di Logos. Prima della fecondazione, esiste già il campo del logos della specie di quell’essere vivente.

Quando il nuovo DNA si forma, carica automaticamente il logos della specie, o informazione genetica, come se caricasse e copiasse un programma di computer, ma personalizzandolo grazie alla nuova combinazione unica di geni. Poi, si crea un nuovo campo associato specifico per quell’essere vivente.

All’interno di questo campo associato all’embrione c’è il logos specifico di quell’essere, cioè il progetto, o piano, completo che include il progetto virtuale del processo di crescita e la forma dell’intero organismo. Così le cellule sarebbero guidate da questo progetto virtuale tridimensionale, che servirebbe come stampo o modello.

Ciò potrebbe anche spiegare la sorprendente capacità degli embrioni di rigenerare cellule o organi mutilati artificialmente negli esperimenti.

Questo campo associato all’embrione assegnerebbe ad ogni cellula un ruolo o una funzione specifica da svolgere durante questo sviluppo.

Le cellule potrebbero ricevere istruzioni e muoversi perché sarebbero energeticamente connesse attraverso il loro DNA, come se fossero una rete di computer interconnessi a distanza.

Il miracoloso emergere dei processi mentali e dell’autocoscienza

I processi mentali sono quelli che danno agli esseri viventi una capacità di autonomia, e persino di creatività, irriducibile al livello molecolare.

Ciò può essere spiegato supponendo che il campo specifico associato dell’embrione abbia già, almeno potenzialmente, la capacità di sviluppare processi mentali secondo il suo livello.

Una tale capacità non sorgerebbe dal nulla, ma deriverebbe dal campo generale o logos della specie preesistente, di cui è una copia individualizzata.

Questo emergere di un nuovo livello di processi mentali è inspiegabile se si presume che l’unica cosa speciale che esiste nelle cellule sia la complessità della struttura molecolare del DNA. A meno che, dopo aver affermato ciò, non si cominci, come fanno molti biologi, ad attribuire intenzioni, fini e capacità creative straordinarie ai geni, che prima si è giurato essere pure molecole.

Il mistero della direzionalità nell’evoluzione delle specie

I biologi che credono che il DNA si sia formato per una disposizione fortuita di molecole, pensano che il fatto unico - il grande miracolo a probabilità zero! - sia stata la formazione accidentale del DNA del primo virus. Da quel momento in poi tutto divenne facile. Questo primo DNA ha cominciato a mutare a caso fino a diventare il DNA dell’essere umano.

Tuttavia, questo secondo passo è miracoloso quanto il primo. È ovvio che le mutazioni casuali non possono dare origine a nessun processo che mostri una qualche direzione costante, tanto meno una direzione generale così chiara come quella che mostra il processo evolutivo.

Darwin negava che l’evoluzione avesse una direzione definita, perché questa era la posizione più coerente con la sua teoria delle piccole variazioni naturali spontanee. Ammettere una direzione implicherebbe presupporre una forza direttrice, esterna o interna.

Darwin cercò di negare le teorie creazioniste che affermavano l’esistenza di un progettista divino esterno e anche le teorie evolutive precedenti alla sua, come quella di suo nonno e quella di Lamarck, che postulavano che l’evoluzione è guidata da una forza direttiva interna che opera dentro l’organismo.

La direzione generale dell’evoluzione delle specie

Oggi, gli stessi biologi darwiniani non possono che riconoscere che l’evoluzione ha una direzione ben marcata, che va dalle cose più piccole alle più grandi, e dagli esseri più semplici a quelli più complessi, come si può vedere nella citazione di Dobzhansky riportata più oltre.

Tuttavia, in modo assurdo e incoerente, continuano a sostenere che un meccanismo casuale sia capace di produrre un’evoluzione con una chiara direzionalità:

L’evoluzione nel suo insieme ha avuto senza dubbio una direzione generale, dal semplice al complesso, dalla dipendenza alla relativa indipendenza dall’ambiente, ad una sempre maggiore autonomia degli individui, uno sviluppo sempre maggiore degli organi di senso e dei sistemi che trasferiscono ed elaborano le informazioni sullo stato dell’ambiente in cui l’organismo si trova, e infine un aumento della coscienza.[17]

L’innegabile carattere finalista degli organismi viventi

Inoltre, l’innegabile carattere finalista degli organismi viventi fa riconoscere a Monod che c’è una profonda contraddizione tra questo finalismo, teleologia o teleonomia, o come lo si voglia chiamare, e i suoi presupposti o credenze meccanicistiche:

La pietra angolare del metodo scientifico è il postulato dell’oggettività della Natura. Vale a dire, il rifiuto sistematico di considerare capace di condurre a una conoscenza «vera» qualsiasi interpretazione dei fenomeni data in termini di cause finali, cioè di «progetto» (...)

L’oggettività, tuttavia, ci obbliga a riconoscere il carattere teleonomico degli esseri viventi, ad ammettere che essi realizzano e perseguono un progetto nelle loro strutture e prestazioni. C’è quindi, almeno in apparenza, una profonda contraddizione epistemologica. Il problema centrale della biologia è questa contraddizione, che si cerca di risolvere se è solo apparente, o di dichiararla radicalmente insolubile se tale è veramente.[18]

La graduale, continua e lenta apparizione di nuove specie secondo Darwin

Darwin, ispirato dalla geologia, pensava che gli esseri viventi fossero formazioni naturali come le rocce o i fiumi. Immaginò che all’interno di una specie avvenissero piccole variazioni che a poco a poco, in un periodo di tempo molto lungo, avrebbero differenziato alcuni individui fino a creare alla fine una specie nuova.

Anche se Darwin si rendeva conto che specie diverse non possono incrociarsi geneticamente tra loro, ipotizzò che le specie attuali fossero discendenti di forme intermedie che erano interfertili, ma che cessarono di esserlo quando si differenziarono maggiormente.

Per Darwin, l’evoluzione delle specie doveva avvenire in modo graduale, continuo e traboccante di forme intermedie. Però, nonostante i grandi sforzi fatti per trovare questi famosi anelli mancanti, la successione dei fossili mostra chiaramente che l’apparizione delle specie è avvenuta in modo netto, e cioè con notevoli salti da una specie all’altra.

Per questo motivo vari biologi hanno rivisto la teoria darwiniana, introducendo il concetto di mutazioni improvvise o catastrofiche.

Le ragioni, secondo i darwinisti, che supportano il passaggio di alcune specie a nuove specie

Dato che la documentazione fossile non dice molto a favore della teoria di un’evoluzione lenta e continua, vengono ulteriormente sottolineate altre ragioni per sostenere la convinzione che le specie si sono evolute spontaneamente le une dalle altre. Una di queste è l’universalità del codice genetico o DNA. Il fatto però che il linguaggio del codice genetico sia lo stesso per tutti gli esseri viventi, può anche significare che sia stato scritto dallo stesso autore.

Un’altra ragione proposta è la grande somiglianza tra tutti gli esseri viventi. Ciò potrebbe anche essere interpretato nel senso che tale somiglianza sia dovuta al fatto che la forma e la struttura di tutti gli esseri viventi rispondano allo stesso progetto generale comune a tutti e, come nel caso precedente, sarebbe un’altra prova che si tratta dell’opera dello stesso artista o progettista.

Viene addotta come motivo anche l’evidente continuità che esiste tra tutte le forme di vita, dalle forme inferiori all’essere umano. Tuttavia, il fatto che ci sia una continuità relativa - cioè una continuità con salti - nell’evoluzione delle specie potrebbe essere interpretato affermando che le specie superiori sono state create da un processo pianificato di modifica del progetto e del DNA di una specie inferiore.

La comparsa di nuove specie richiede un cambiamento del progetto e del DNA

La cellula non è solo l’unità o il blocco di base di tutti gli esseri viventi, ma contiene anche la fabbrica e la catena di montaggio degli organismi.

Se abbiamo una fabbrica e una catena di montaggio di automobili, e vogliamo apportare leggere variazioni al modello che stiamo producendo, possiamo farlo variando il progetto o il software nei computer che controllano i robot della catena di montaggio, senza dover cambiare questi robot.

Se però un giorno volessimo costruire anche degli aerei, non dovremmo solo cambiare il progetto e il programma (il prototipo virtuale dell’aereo), ma saremmo costretti anche ad aggiungere nuovi robot o macchinari alla catena di montaggio.

Allo stesso modo, il passare da una specie all’altra, per esempio da un rettile anfibio a un uccello - per seguire una sequenza classica di evoluzione -, richiede un cambiamento troppo grande nella struttura generale e nello scheletro che è molto difficile da spiegare con piccole variazioni morfologiche causate da mutazioni casuali del DNA. Bohm spiega molto bene questo punto:

Perché un uccello voli, non basta dargli le ali. Le sue ossa devono essere più leggere ma devono mantenere la loro robustezza; piume e penne devono essere adattate aerodinamicamente; il centro di gravità deve essere spostato, e sono necessari anche lo sviluppo dei muscoli e i cambiamenti nel metabolismo che permettano la produzione di energia sufficiente per volare.

Se tutti questi cambiamenti non avvengono in modo coordinato, è possibile che [quegli esseri intermedi] non sopravvivano. È difficile capire come molte delle probabilità altamente coordinate richieste per l’evoluzione possano essere sorte da combinazioni fortuite di piccole mutazioni casuali.[19]

L’ipotetico Logos o progetto generale, di cui sosteniamo l’esistenza, frutto di un primo processo mentale di progettazione che fu completato prima della prima esplosione di energia, conterrebbe anche il piano generale dell’evoluzione e il logos specifico di ogni specie.

Questo Logos, attraverso il suo supporto materiale o campo energetico, ha agito come una forza vitale cosmica che ha guidato l’intero processo di evoluzione, in parte in modo automatico ma anche autonomo e creativo, modificando i progetti e costruendo nuove sequenze di DNA.

Così, come per trasformare una fabbrica di automobili in una fabbrica di aeroplani è necessario prima progettare un prototipo virtuale di un mezzo volante, cambiare il software e costruire una nuova catena di montaggio, allo stesso modo affinché un rettile diventasse una nuova specie volante, era necessario l’intervento di una forza cosmica portatrice di un nuovo logos specifico (prototipo virtuale dell’uccello). Questa forza ha generato un cambiamento radicale del progetto, una riformulazione del codice genetico e una nuova ricombinazione del DNA.

«Perché un essere si sviluppi in un essere superiore, deve essere coinvolta una terza forza (Forza Cosmica)»

Sun Myung Moon in queste citazioni ci spiega la necessità dell’intervento di una forza esterna o cosmica perché un essere vivente diventi una nuova specie. Con questa forza cosmica si riferisce all’intervento del campo di forza vitale del Logos che include il logos specifico della nuova specie, un nuovo progetto e un nuovo DNA.

Le mutazioni casuali possono causare solo fluttuazioni all’interno della stessa specie (microevoluzione):

Perché il primo essere diventi il secondo essere, deve essere coinvolta una terza forza (forza cosmica). Gli stessi esseri viventi non possono creare la forza che cambia il primo essere nel secondo.

Perché un essere si sviluppi in un essere superiore, deve essere coinvolta una terza forza. Soprattutto una struttura complessa non può svilupparsi senza l’apporto di un fattore intenzionale e di una forza dall’esterno.[20]

Perché un essere si evolva, la forza necessaria deve provenire da qualche parte... Dobbiamo partire dal presupposto che esiste la forza cosmica che può causare cambiamenti interni negli esseri viventi.[21]

Direzionalità e processo «a gradini» nell’evoluzione delle specie

La nostra ipotesi spiega meglio l’evidente direzionalità dell’evoluzione, che da forme semplici progredisce verso forme più complesse; da una dipendenza dall’ambiente verso una maggiore autonomia e creatività; e da organi di percezione e processi mentali semplici verso organi di senso, cervelli, processi mentali e livelli di coscienza sempre più elevati.

Può anche spiegare meglio perché l’evoluzione delle specie è stata un processo intenzionalmente graduale. Come mostrano i ritrovamenti fossili, le specie sono apparse a tappe, o con salti improvvisi, rispetto ai livelli inferiori, e sempre dopo che l’ambiente per la nuova specie era stato preparato dalle specie inferiori.

I primi organismi apparsi negli oceani erano esseri unicellulari. Poi, circa 600 milioni di anni fa, all’inizio dell’era cambriana, apparvero improvvisamente in gran numero negli oceani gli organismi pluricellulari (invertebrati). I biologi chiamano questo fenomeno «il mistero dell’esplosione dell’era Cambriana».

Con gli invertebrati marini come base, e quando la composizione dell’atmosfera terrestre era diventata adeguata, apparvero gli esseri viventi vertebrati, come pesci, anfibi, rettili e mammiferi. E infine, sulla base degli antropoidi e degli ominidi, apparvero gli attuali esseri umani.

Le vecchie specie quali banco di prova per quelle nuove

Il fatto che il DNA sia similare in tutti gli esseri viventi e che ci sia una continuità relativamente graduale tra tutte le specie potrebbe essere spiegato come segue: poiché una cellula è come la fabbrica degli esseri viventi, è logico iniziare a fare cose semplici e poi espandere gradualmente quella stessa fabbrica aggiungendo nuovi progetti e nuovi macchinari.

Inoltre, le vecchie specie servirebbero come banco di prova per le nuove specie, proprio come nell’evoluzione dell’automobile sono stati creati nuovi prototipi modificando e migliorando quelli vecchi.

Ad esempio, gli ominidi o i precursori della specie umana potrebbero benissimo essere dei prototipi sperimentali che sono serviti come banco di prova e supporto materiale per la comparsa della nostra specie, e che si sono estinti quando hanno compiuto la loro funzione.

4. Varianti e alternative alla teoria darwiniana dell’evoluzione

L’evoluzione organica di Popper

Alcuni biologi, nel tentativo di spiegare la sorprendente capacità degli organismi di adattarsi all’ambiente, stanno ripensando le teorie di Lamarck.

L’idea è la seguente: dato che vediamo che gli animali hanno una certa intelligenza, capacità di autoregolazione per adattarsi all’ambiente, e anche un certo grado di creatività o capacità di cambiare e modificare l’ambiente, non potrebbe essere questa autonomia e creatività degli stessi organismi a causare in modo intenzionale quelle mutazioni che sono così opportune ed efficaci per potersi adattare al loro ambiente?

Popper era a favore di questa idea descritta come teoria dell’evoluzione organica:

Sono un po’ critico nei confronti della teoria dell’evoluzione e del suo potere esplicativo, soprattutto per quanto riguarda il potere esplicativo della selezione naturale. (…)

Posso citare ancora la teoria dell’evoluzione organica. Sir Alisten Hardy, nel libro The Living Stream [1965], così come Ernst Mayr [1963], sottolineano che la scelta dell’animale è un fattore causale nella costituzione del suo ambiente, portando così ad un certo tipo di selezione.

Possiamo dire che l’animale è creatore in un senso quasi bergsoniano o in un senso più o meno lamarckiano.[22]

La teoria dei campi morfici di Sheldrake

Altri biologi, come Sheldrake, cercano di superare lo scoglio della non ereditarietà dei caratteri acquisiti, ipotizzando che l’informazione genetica non sia codificata nel DNA come si pensa comunemente, ma in un campo morfico ad esso associato:

Da questo punto di vista, gli organismi viventi ereditano non solo i geni ma anche i campi morfici. I geni sono trasmessi materialmente dai loro antenati e permettono loro di realizzare particolari tipi di molecole proteiche; i campi morfici sono ereditati non materialmente, per risonanza morfica, non solo dagli antenati diretti ma anche da altri membri della specie.[23]

Il DNA sarebbe come il supporto hardware, e nel campo morfico si troverebbe il software genetico. Il DNA sarebbe anche qualcosa come una catena di montaggio di proteine robotizzata con un carattere di macchinario multifunzionale, cioè che se viene riprogrammato la produzione può essere variata.

Così, attraverso uno scambio di informazioni tra il codice genetico del campo da un lato, e l’organismo e l’ambiente dall’altro, attraverso il DNA, le informazioni contenute nel codice genetico potrebbero essere modificate o riprogrammate per produrre quelle variazioni morfologiche adattative che sarebbero poi ereditate dai suoi discendenti.

La microevoluzione non dà origine a nuove specie

Indipendentemente da come questo meccanismo adattativo funzioni effettivamente, tale microevoluzione produce solo trasformazioni del progetto generale della specie che non dà origine a nuove specie, come dice Bohm:

Mentre questo approccio generale potrebbe rendere conto in modo adeguato di cambiamenti e variazioni relativamente piccole, potrebbe non essere sufficiente per rendere conto di cambiamenti più drastici, come ad esempio l’emergere di nuove specie. E fatto è che i grandi cambiamenti evolutivi richiedono lo sviluppo coordinato di molti pezzi diversi del codice genetico.[24]

La teoria del Disegno o (Progetto) intelligente

Alla fine del secolo scorso, un gruppo di scienziati americani ha formulato una nuova teoria, chiamata «Disegno Intelligente», che è in diretta opposizione al dogma della teoria darwiniana dell’evoluzione.

Fondamentalmente, questo nuovo paradigma evolutivo afferma che è possibile dedurre dall’evidenza empirica che certe caratteristiche dell’universo e degli esseri viventi sono meglio spiegate ipotizzando una causa intelligente, e non supponendo un processo casuale come la selezione naturale.

Nel 1996, il biochimico Michael J. Behe ha sostenuto nel libro La scatola nera di Darwin: La sfida biochimica all’evoluzione, che alcune caratteristiche delle cellule viventi sono caratterizzate da una «complessità irriducibile» che non può essere spiegata dai processi darwiniani, ma che costituiscono al contrario indicazioni di un disegno intelligente.

Come spiega lo stesso Behe: «Per complessità irriducibile intendo un singolo sistema composto da diverse parti interagenti ben assortite che contribuiscono alla funzione di base, in cui la rimozione di una qualsiasi delle parti fa sì che il sistema cessi effettivamente di funzionare».[25]

Behe ha descritto diverse caratteristiche delle cellule viventi che considera irriducibilmente complesse, come il famoso caso del motore flagellare batterico[26], una sorta di sofisticata turbina composta da proteine che i batteri utilizzano quale meccanismo di propulsione.

William A. Dembski, filosofo e matematico, nel suo libro The Design Inference (1998), spiega che ci sono tre modi di spiegare i fatti: la regolarità (legge naturale), il caso e il disegno. Dembski introduce un altro criterio per rilevare il disegno, la «complessità specificata», vale a dire che contiene qualche tipo di informazione codificata o mostra conformità a un modello che già esista indipendentemente. Nel suo libro, The Design Revolution (2004) scrive:

L’affermazione fondamentale del disegno intelligente è diretta e facilmente comprensibile: cioè, ci sono sistemi naturali che non possono essere adeguatamente spiegati in termini di forze naturali indirette e che mostrano caratteristiche che in qualsiasi altra circostanza attribuiremmo all’intelligenza.[27]

È un fatto da celebrare che un gruppo di biologi abbia recuperato la sanità mentale e il buon senso che Socrate, il padre della scienza, esprimeva già 2.500 anni fa.

Il paradigma del Disegno Intelligente, a differenza delle teorie creazioniste cristiane, si basa esclusivamente su prove scientifiche, non su scritti e dottrine religiose. Non specula nemmeno sulla natura del progettista intelligente, ma si limita a studiare l’inferenza del disegno in casi particolari, senza tentare di elaborare un modello più generale che spieghi la creazione e l’evoluzione dell’universo.

Conclusioni

In breve, come abbiamo notato prima in questo capitolo, la sequenza corretta non è caso e necessità, ma creatività, necessità e caso. Il fattore più importante è la creatività. Una creatività che proviene da un Logos o progetto cosmico che guida l’evoluzione, e anche dall’autonomia e creatività di tutti gli organismi viventi. Poi, in ordine di importanza, viene la necessità derivata dai meccanismi guidati da leggi deterministiche. E, infine, il fattore altrettanto importante, ma non altrettanto decisivo, dei meccanismi casuali.

Questa spiegazione non solo è più ragionevole e completa, ma le sue implicazioni etiche sono più promettenti. Se si presume che sia l’universo che noi stessi siamo stati progettati o fatti per un qualche scopo, allora si può dire che abbiamo un valore intrinseco e che la vita umana ha un significato.

Al contrario, se si crede che tutto ciò che esiste nell’universo, compreso l’essere umano, sia un prodotto accidentale e fortuito - cioè, che siamo qui per puro caso - è quasi impossibile parlare di valore. L’universo risulterà privo di significato e non vi sarà alcuno scopo nella vita. Il quadro diventa ancora più fosco quando si crede nella teoria darwiniana della selezione naturale che santifica l’egoismo e la lotta per la sopravvivenza come unico e più alto scopo della vita.

Come dice Dawkins, diventiamo semplicemente delle macchine usa e getta - e, quindi, di nessun valore intrinseco - che spietati geni egoisti usano a loro capriccio, il cui unico obiettivo è quello di produrre freneticamente sempre più copie migliori di se stessi. [28]

Nota sui motori flagellari batterici

La struttura interna delle cellule in generale, e i meccanismi biologici che ne permettono l’esistenza, sono tra le migliori prove dell’esistenza di un disegno intelligente. Un caso molto interessante in proposito è quello dei flagelli di certi batteri, una «frusta» il cui azionamento permette loro di avanzare e, invertendo il senso del movimento, di retrocedere.

Questo caso è interessante perché, come in altre strutture cellulari, si nota la presenza di un vero e proprio motore che funziona ad elettricità. La differenza rispetto ai nostri motori elettrici sta nel fatto che sono composti di materiale biologico e non metallico. Digitando nei motori di ricerca «motori flagellari batterici» si ottengono vari risultati ed immagini che permettono di comprenderne il complesso funzionamento.

Lo schema di un motore flagellare batterico.

Un batterio flagellato, l’Helicobacter pylori

Dal sito microbiologiaitalia.it/batteriologia/il-movimento-flagellare

[1] C. Birch, «Azar, necesidad y propósito», in Estudios sobre la filosofía de la biología, F. J. Ayala y T. Dobzhansky, Ariel, Barcellona, 1983, pp. 291, 295.

[2] Ibid.

[3] T. Dobzhansky, «El azar y la creatividad en la evolución», in Estudios sobre la filosofía de la biología, F. J. Ayala y T. Dobzhansky, Ariel, Barcellona, 1983, p. 394.

[4] Paul Davies, Il cosmo intelligente: Le nuove scoperte sulla natura e l'ordine dell'universo.

[5] J. Elster, El cambio tecnológico, Gedisa 1990, pp. 49-50.

[6] Ibid., p. 50.

[7] J.C. Eccles & H. Zeier, El cerebro y la mente, Helder, Barcellona, 1985, p. 21.

[8] J. Elster, El cambio tecnológico, Gedisa 1990, pp. 51,53.

[9] Paul Davies, Il cosmo intelligente: Le nuove scoperte sulla natura e l'ordine dell'universo.

[10] Ibid., p. 118.

[11] Jacques Monod, Il caso e la necessità.

[12] K. R. Popper, L’io e il suo cervello.

[13] Jean F. Charon, De la materia a la vida, Guadarrama, Madrid, 1971, pp. 363-364.

[14] Paul Davies, Il cosmo intelligente: Le nuove scoperte sulla natura e l'ordine dell'universo.

[15] Jacques Monod, Il caso e la necessità.

[16] Paul Davies, Il cosmo intelligente….

[17] T. Dobzhansky, «El azar y la creatividad en la evolución», in Estudios sobre la filosofía de la biología, F. J. Ayala y T. Dobzhansky, Ariel, Barcellona, 1983, pp. 397-398.

[18] Jacques Monod, Il caso e la necessità.

[19] D. Bohm e D. Peat, Scienza, ordine e creatività.

[20] S. M. Moon, Discorso in Alaska, 27 agosto 1989.

[21] S. M. Moon, Rivista del Movimento di Unificazione giapponese, 11/06/1982.

[22] K. R. Popper, L’io e il suo cervello.

[23] Rupert Sheldrake, La rinascita della natura.

[24] D. Bohm e D. Peat, Scienza, ordine e creatività.

[25] Behe, Michael J., La scatola nera di Darwin: la sfida biochimica all’evoluzione.

[26] Per avere un’idea della sorprendente complessità del motore flagellare batterico vedi nota e link all’ultima pagina del capitolo.

[27] Dembski, William A. The Design Revolution: Answering the Toughest Questions about Intelligent Design. InterVarsity Press, 2004.

[28] «I riproduttori che sono sopravvissuti sono quelli che hanno costruito macchine di sopravvivenza per vivere in loro che siamo noi... Sono in voi e in me; ci hanno creato, corpo e mente; e la loro conservazione è la ragione ultima della nostra esistenza. Questi riproduttori hanno fatto molta strada. Ora si chiamano geni e noi siamo le loro macchine di sopravvivenza... Continueremo a trattare l'individuo come una macchina egoista, programmata per fare tutto ciò che è meglio per i loro geni». Richard Dawkins, Il gene egoista.

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