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Gesù: la Sua Missione e il Suo Destino

IL RITRATTO DI GESÙ NEI CREDI TRADIZIONALI

È sorprendente vedere come i credi ecumenici del IV e V secolo hanno indirettamente, ma decisamente, influenzato i cristiani per ciò che riguarda la comprensione di Gesù e la loro visione del Nuovo Testamento. La chiesa tradizionale, invece di affidarsi solamente alle Scritture, le interpreta alla luce dei dogmi di Nicea di Calcedonia.

Poiché questi concili della chiesa hanno definito Gesù Cristo come il Figlio eterno, che è della stessa sostanza del Padre e Dio vero da Dio vero, i laici esaminano il Nuovo Testamento partendo da questa prospettiva. C.S. Lewis, il famoso apologista cristiano e scrittore di fantascienza, fu un esponente particolarmente convincente di questo punto di vista. Il figlio della Beata Vergine Maria è Dio – egli scrisse. [1] Fra gli ebrei ecco apparire improvvisamente un uomo che parlava come se fosse Dio. Egli proclamava di essere esistito fin dall’inizio della creazione e si arrogava il diritto di perdonare i peccati degli uomini. Inoltre, asseriva che sarebbe venuto alla fine dei tempi per giudicare il mondo. Non si può descrivere una tale persona semplicemente come un grande maestro religioso. In base a quanto egli affermava, si deve concludere che Gesù o era Dio, o semplicemente un pazzo o il diavolo. [2]

Inoltre, il Nuovo Testamento, secondo Lewis, racconta che la morte di Gesù Cristo ci ha in qualche modo riconciliati con Dio e ci ha dato la possibilità di cominciare una nuova vita. [3] Cristo fu ucciso per noi. La sua morte ha lavato i nostri peccati e per mezzo della sua crocifissione possiamo ottenere la vittoria sulla morte. [4]

Ora, poiché si suppone che questo sia il punto centrale del messaggio cristiano, è naturale che i Vangeli vengano letti in questa luce.

Secondo la definizione data dal Consiglio Mondiale delle Chiese su quali sono le qualifiche basilari per essere membri del Cristianesimo, essere cristiani significa credere che Gesù Cristo è “Dio e Salvatore”. Quando il Nuovo Testamento viene letto con questa struttura mentale, lo scopo principale è quello di vedere come Gesù non era umano ma divino. Quindi i Vangeli servono soprattutto per provare le dottrine dell’incarnazione e dell’espiazione.

Come si è arrivati a tutto questo? Primo: prima che sorgesse la critica storica si pensava che i Vangeli fornissero una conoscenza accurata e diretta di Gesù, tramandata per iscritto dagli apostoli stessi o da persone che erano in continuo contatto con loro. Matteo e Giovanni erano due dei dodici apostoli originali. Marco era il traduttore di Pietro e può darsi che sia stato quel giovane che fuggì nudo dal giardino del Getsemani all’arresto di Gesù. Luca era un compagno di viaggi di Paolo. In altre parole, gli evangelisti erano degli storici su cui si poteva fare assegnamento dato che avevano partecipato agli eventi da loro descritti o che comunque avevano controllato i loro racconti con membri della comunità apostolica.

Secondo: il Nuovo Testamento dimostra chiaramente l’autorità e la potenza soprannaturale di Gesù. Egli non poteva essere soltanto un uomo, perché faceva dei miracoli straordinari. Quale uomo può camminare sulle acque o dar da mangiare a 5000 persone con 5 pani e 2 pesci? Chi, se non una figura soprannaturale, può cambiare l’acqua in vino o resuscitare i morti? C’è forse qualcun altro nato da una vergine? E sicuramente – come confessò Tommaso – Gesù deve essere stato sia “Signore che Dio” poiché apparve con il suo corpo fisico ai discepoli dopo essere stato crocifisso e sepolto. Pensando ai miracoli straordinari narrati dai Vangeli, i cristiani ortodossi concludono che Gesù Cristo era della stessa sostanza di Dio Padre, generato, non creato, Dio da Dio, come affermano i credi.

Terzo: la natura soprannaturale di Gesù fu riconosciuta da quelli che gli erano più vicini e lo conoscevano meglio. Giovanni Battista sentì Dio chiamare Gesù Suo Figlio diletto (Mt. 3:16-17), e lui stesso descrisse Gesù come l’Agnello che toglie i peccati del mondo (Gv. 1:29). Pietro confessò che Gesù era il Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. 16:16). Matteo, il pubblicano, udì Gesù correggere e migliorare la Torah rivelata di Mosè (5:21-48). I discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni videro Gesù trasfigurarsi e conversare con Mosè ed Elia (MC. 9:4). Maria Maddalena vide con i suoi occhi Gesù e lo sentì dire che sarebbe presto asceso al Padre (Gv. 20:17). Il centurione romano che vide Gesù morire lo lodò come il Figlio di Dio (MC. 15:39). E Paolo, che aveva lunghe conversazioni con i discepoli originali, definì Gesù come uno che era nella forma di Dio e che aveva ricevuto ora un nome al di sopra di ogni altro (Fil. 2:6-11).

Sulla base di queste testimonianze riportate direttamente, il Nuovo Testamento, conferisce a Gesù dieci titoli principali: Profeta, Servo Sofferente, Sommo Sacerdote, Messia, Figlio dell’Uomo, Signore, Salvatore, Logos, Figlio di Dio e Dio. [5]

Quarto: Gesù è unico perché numerosi particolari della sua vita rappresentano un adempimento preciso delle profezie dell’Antico Testamento. Come dice il vescovo Fulton J. Sheen, se qualcuno deve venire da Dio per salvare gli uomini, il minimo che Dio potrebbe fare sarebbe di preannunciarne la venuta. Dio dovrebbe far conoscere prima agli uomini quando il Suo messaggero verrà, dove nascerà, che cosa insegnerà, i nemici che si creerà e in che modo morirà. Se qualcuno poi si fosse conformato a tali predizioni noi saremmo stati in grado di riconoscere che questa persona veniva veramente da Dio. Nell’Antico Testamento – dice il vescovo Sheen – noi possiamo trovare proprio queste profezie che furono adempiute esattamente da Gesù. [6] Nella traduzione di Isaia 7:14 della versione dei Settanta, fu predetta la nascita da una vergine. Soprattutto nel Vangelo di Matteo si pone grande accento sul modo in cui la vita di Gesù corrisponde alle profezie dell’Antico Testamento. Egli nacque a Betlemme per realizzare la profezia di Michea 5:2, fuggì in Egitto per realizzare Osea 11:1, visse in Galilea per adempiere Isaia 9:1-2, divenne un Servo Sofferente (Is. 53), fu tradito da Giuda per 30 pezzi d’argento (Zc. 11:12), fu condannato per essere crocifisso (Sal. 22:16), gli fu dato del vino misto a fiele (Sal. 69:21), morì citando le esatte parole del Salmo 22:1 e fu resuscitato dopo essere stato tre giorni nella tomba secondo le Scritture (Gn. 1:17). Quindi, ciò che distingue il Cristo da tutti gli uomini, è il fatto che egli era atteso: il suo avvento era stato predetto molto dettagliatamente.

Quinto: quando i cristiani ortodossi studiano la vita di Gesù si concentrano sulla sua passione. Nel credo degli apostoli tutto ciò che apprendiamo sulla vita terrena di Gesù è che nacque dalla Vergine Maria, patì sotto Ponzio Pilato e fu crocifisso. Poiché l’unico scopo di Gesù era quello di espiare i peccati dell’umanità morendo sulla croce, non c’è affatto bisogno di preoccuparsi tanto dei primi anni della sua vita o del suo ministero ed insegnamento.

Pertanto, per uno studioso evangelico, l’aspetto più importante dei Vangeli è la loro teologia sulla morte di Gesù. Gesù previde la sua morte? Che significato vide in essa? Il prof. George E. Ladd del Fuller Theological Seminary ci offre una delle spiegazioni neo-evangeliche più accurate della vecchia teologia. A suo parere, Gesù comprese la sua missione come una combinazione del Figlio dell’Uomo escatologico e del Servo Sofferente. Come servo obbediente di Dio, Gesù si aspettava un destino in qualche modo insolito che avrebbe portato un grande dolore ai suoi discepoli. Marco ci dice che i cristiani avrebbero digiunato perché lo sposo sarebbe stato loro tolto. (2:20). Quando i discepoli Giacomo e Giovanni chiesero un posto d’onore nel Regno, Gesù disse loro che egli era venuto per dare la sua vita a riscatto di molti (Mc. 10:45). Inoltre, nell’Ultima Cena, Gesù guardò con gioia alla sua morte e descrisse il sangue dell’alleanza versato per molti a remissione dei peccati (Mt. 26:28).

Che cosa si può concludere dall’atteggiamento di Gesù stesso verso la morte? Secondo Ladd, la morte di Gesù fu una parte essenziale della sua missione messianica: “Il Figlio dell’Uomo venne per dare la sua vita” (Mc. 10:45). Poiché Gesù interpretò la sua missione come il Servo Sofferente di Dio, egli credette che il suo sangue sarebbe stato versato fino alla morte per prendere su di sé i peccati di molti (Is. 53:12). La morte di Gesù fu una morte sostitutiva perché egli diede la sua vita al posto dei peccatori. Gesù sacrificò la sua vita come un’offerta per i peccati (Is. 53:10), una morte offerta liberamente per ottenere il perdono per gli altri. Oltre ad essere un riscatto ed un sacrificio sostitutivo, la morte di Gesù fu anche una vittoria sul regno di Satana. Grazie alla croce come atto di redenzione, al principe di questo mondo fu tolto il potere (Gv. 12:31). Morendo sulla croce, Gesù ha liberato gli uomini dalla legge del peccato e dalla morte (Rm. 8:2). [7]


RECENTI SCOPERTE BIBLICHE

L’interpretazione della vita di Gesù basata sui passi della Bibbia per provarne la veridicità, come abbiamo appena descritto, crollò come un castello di carte non appena gli studiosi del XIX secolo cominciarono ad esaminare le Scritture da un punto di vista storico. È sorprendente come i cristiani recentemente abbiano cominciato a ricercare il Gesù storico. Nel 1819 Schleiermacher tenne un primo corso di conferenze universitarie sulla vita di Gesù, [8] e nel 1835 Strauss pubblicò il suo studio critico sui Vangeli, uno scritto che fece epoca. Da allora in poi i teologi sono stati costretti a riesaminare e rivedere la loro comprensione dell’Uomo di Nazareth.

Durante l’Illuminismo apologisti come il vescovo Butler avevano cercato di provare l’unicità di Gesù sulla base dei miracoli e sul modo in cui si pensava egli adempisse le profezie dell’Antico Testamento. [9] La prova delle profezie fu screditata quando gli studiosi cominciarono ad interpretare la letteratura sacra ebraica da un punto di vista storico. I profeti scrivevano cose riguardanti il loro tempo ed il loro messaggio era diretto ai loro contemporanei. Per esempio, Isaia prediceva la nascita di Gesù da una vergine ma diceva ai suoi ascoltatori che nei loro giorni avrebbe avuto luogo un importante cambiamento perché una certa giovane donna avrebbe presto dato nascita ad un figlio (7:14) [10]

Oppure, per fare un altro esempio, il fatto che il profeta Giona sia stato inghiottito da un pesce serviva per fargli obbedire alla missione datagli da Dio e non per predire la resurrezione di Gesù. Similmente le poesie del Servo Sofferente (Is. 53 et al.) non erano profezie messianiche su Gesù ma un’antica interpretazione della missione storica della nazione di Israele, come scrittori ebrei hanno sostenuto per lungo tempo. [11]

Poi, quando gli storici iniziarono a studiare il Nuovo Testamento, scoprirono che i Vangeli non erano racconti di testimonianza diretta sulla vita di Gesù. La prima ad essere abbandonata fu la nozione che il quarto Vangelo era stato scritto dall’apostolo Giovanni. Poi si fu generalmente d’accordo che Marco e una raccolta di detti su Gesù (chiamata Q) erano stati usati da Matteo e da Luca nel comporre i loro Vangeli. In altre parole, gli evangelisti non stavano scrivendo memorie di ciò che avevano visto personalmente; essi erano trascrittori di tradizioni più antiche che circolavano nelle comunità cristiane da quaranta a sessanta anni dopo la morte di Gesù. [12] Pertanto, per comprendere il Nuovo Testamento si dovrebbe vedere come i vari scritti riflettono lo sviluppo della fede cristiana. I Vangeli descrivono i cambiamenti dottrinali, etici ed ecclesiastici che si verificarono quando il messaggio di Gesù fu alterato per adattarsi alle necessità dei cristiani ebrei ellenistici e, più tardi, delle chiese gentili. Dietro il Nuovo Testamento ci sono quattro livelli diversi di vita e di pensiero cristiano: il Giudaismo apocalittico di Gesù e dei suoi discepoli, il Cristianesimo ebraico di persone come Giacomo, il Giudaismo ellenico di Paolo e il Cristianesimo gentile di una generazione successiva illustrato dalla letteratura giovannea. [13]

La source criticism (critica delle fonti) letteraria e storica dei Vangeli preparò la via alla form criticism (critica delle forme), di cui Bultmann e Martin Dibelius [14] furono pionieri. La critica delle forme fornisce un metodo col quale gli studiosi possono capire le tradizioni orali, che sono più antiche dei racconti scritti. Poiché i primi cristiani aspettavano il ritorno imminente del loro Signore, essi non avevano alcun interesse a scrivere vite di Gesù o storie sugli atti degli apostoli.

Tuttavia, quando predicavano e insegnavano, i cristiani citavano un detto di Gesù o raccontavano un episodio della sua vita per provare qualche punto. Inoltre, era necessario raccontare la storia della passione che spiegava perché i cristiani celebravano il pasto eucaristico e rispondeva anche ai critici che accusavano il loro Signore di non essere altro che un criminale respinto dal suo popolo. Quindi la tradizione orale consisteva in una varietà di sentenze e di episodi sconnessi, nonché del racconto della Passione narrato in una forma in qualche modo fissa.

Gli scrittori dei Vangeli, specialmente Marco, misero assieme queste tradizioni orali. Perché era diventato necessario un racconto scritto? Perché la terribile guerra fra Roma e gli ebrei terminata nel 70 d.C., aveva disperso la comunità cristiana che conservava la tradizione orale; [15] perché la prima e la seconda generazione dei cristiani stavano scomparendo [16] e perché il ritardo prolungato della Parusia obbligava i cristiani a dare una nuova interpretazione alla vita e all’insegnamento di Gesù da un punto di vista non escatologico. [17]

Marco, Luca, Matteo (e in grado minore Giovanni) furono compilatori e trascrittori delle tradizioni orali. Ognuno modellò la tradizione per adattarla alle esigenze dei suoi lettori. [18] Molti studiosi direbbero che Marco conservò le tradizioni della comunità cristiana a Roma, Matteo raccolse quelle custodite nella chiesa siriana, Luca scrisse un Vangelo per i cristiani gentili e Giovanni preparò una difesa del messaggio cristiano per i credenti mistici semi-gnostici di Efeso o forse di Alessandria. [19] Ma se ciascun evangelista ha modellato la tradizione per degli specifici scopi dogmatici e liturgici, diventa necessario esaminarli per vedere che influenza essi hanno avuto sul loro modo di ritrarre Gesù. Negli ultimi anni la redaction criticism (critica delle edizioni) ha portato avanti uno studio sulle revisioni teologiche creative fatte dagli scrittori dei Vangeli. [20]

La critica delle fonti, la critica delle forme e la critica delle redazioni hanno trasformato radicalmente il nostro modo di intendere i Vangeli ed hanno demolito per sempre il modo tradizionale di spiegare la vita di Gesù. Nessuno può più sostenere che, semplicemente perché qualcosa si trova nel Nuovo Testamento, deve per forza risalire al Gesù storico. Prima di tutto dobbiamo eliminare quelle aggiunte che mascherano ed alterano gli avvenimenti della sua vita e il suo insegnamento. Tenendo presente questo, guardiamo ora alle scoperte contemporanee nella ricerca del Gesù storico.


IL GESÙ STORICO

Il Nuovo Testamento ci fornisce quasi le sole informazioni credibili che abbiamo su Gesù, tuttavia in tutto il testo, il materiale è fortemente influenzato dalle dottrine e dal culto delle chiese posteriori. [21] Ma anche così, per un critico contemporaneo della Bibbia come Günther Bornkamm, è ancora possibile recuperare “la rozza traccia” della figura e della storia di Gesù. [22]

Bornkamm, uno studioso del Nuovo Testamento di Heidelberg e discepolo di Bultmann, pubblicò la prima estesa vita di Gesù nella “nuova ricerca” del Gesù storico, dopo la II Guerra Mondiale. Il prof. Norman Perrin, famoso studioso della Bibbia americano, lodò il Jesus of Nazareth di Bornkamm, come uno “stupendo” ritratto della vita e degli insegnamenti di Gesù e probabilmente “il miglior libro su Gesù attualmente disponibile”. [23] Per questo motivo riassumiamo le conclusioni di Bornkamm.

Che dati biografici possediamo? Il paese natale di Gesù era Nazareth nella Galilea semi-pagana e disprezzata. Suo padre Giuseppe [24] era un falegname. Forse Gesù seguì lo stesso mestiere. I suoi quattro fratelli erano Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simone. Aveva delle sorelle ma non se ne conoscono i nomi (Mc. 6:3). Nessun membro della sua famiglia fu uno dei discepoli originali di Gesù.

Come tutti i galilei Gesù parlava l’aramaico ma sapeva anche leggere le antiche Scritture ebraiche. Il greco era molto usato nella Palestina del I secolo da mercanti e pubblici ufficiali, ma non sappiamo se Gesù o i suoi discepoli erano capaci di parlarlo o di capirlo. Gesù accentrò il suo ministero nei più piccoli villaggi e paesini sulle colline e lungo il Mare di Galilea. Perciò possiamo presumere che egli avesse pochissimi contatti con la filosofia greca e con lo stile di vita ellenistico.

All’età di circa 30 anni, Gesù fu battezzato da Giovanni e cominciò il suo ministero di predicazione. I racconti degli evangelisti sul Battista sono delle reinterpretazioni a scopi apologetici, [25] perciò non possiamo sapere che cosa pensasse Gesù di questo rito. Come Giovanni, Gesù divenne un profeta dell’imminente era messianica, predicando in Galilea, mentre il Battista predicava nella valle del fiume Giordano. Diversamente da Giovanni, il ministero di Gesù si accentrava non sul battesimo, ma sulla parola (specialmente le parabole) e sull’aiuto concreto (soprattutto le guarigioni con la fede).

Non possiamo sapere con sicurezza quanto durò l’attività di Gesù. Probabilmente alcuni mesi o forse un anno. [26] I Vangeli non ci danno una cronologia della sua vita su cui si possa fare affidamento. [27] Ciononostante ci dicono molte cose sulla sua predicazione, i suoi atti di guarigione, l’opposizione da lui sollevata e la sua popolarità tra tutte le classi dei palestinesi.

Bultmann [28] afferma che, con un po’ di cautela, dal Nuovo Testamento possiamo vedere che Gesù era un esorcista, che violò il comandamento di non lavorare il Sabato, che abbandonò i riti di purificazione tradizionali del Giudaismo e si impegnò in una polemica contro lo stretto legalismo farisaico. Gesù stupì anche i suoi contemporanei perché faceva amicizia con gli emarginati della società, come collettori di tasse, prostitute, soldati romani e samaritani. Inoltre, egli era diverso dalla maggior parte dei rabbini perché c’erano spesso molte donne intorno a lui e amava i bambini. Diversamente da Giovanni, Gesù non era un asceta. Ecco perché i suoi critici lo accusavano dicendo che gli piaceva troppo banchettare e bere vino. Probabilmente è significativo che la sua piccola compagnia di seguaci includesse le donne. Questo straordinario cameratismo con gli emarginati, le donne, i bambini, nella mente di Gesù può essere stato un segno dell’alba dell’era messianica. [29]

Per Bornkamm l’ultimo punto di svolta decisivo nella vita di Gesù fu la sua risoluzione di andare a Gerusalemme per mettere la città capitale di fronte al messaggio dell’imminenza del Regno di Dio. Tuttavia, ciò che accadde a Gerusalemme, è intessuto di elementi leggendari e degli interessi dottrinali delle chiese successive. Così possiamo avere ben poche notizie sicure sull’ultimo capitolo della vita di Gesù. [30] Fu la fede cristiana post-pasquale ad insistere che Gesù entrò a Gerusalemme per morire in adempimento alle profezie dell’Antico Testamento (Mc. 8:31, 9:12, 9:31, 10:33-34).

La maggior parte delle persone sostiene che i racconti della passione sono fondamentalmente in accordo tra loro, perché il processo e la morte di Gesù furono un aspetto così importante della predicazione cristiana fin dai primissimi tempi. Ma se si guardano attentamente i Vangeli sinottici e si confrontano con i racconti di Giovanni, si rimarrà stupiti nel riscontrare differenze di fondo. In più ci sono notevoli aggiunte, omissioni ed alterazioni nella storia raccontata dai tre Sinottici.

Prima di tutto esaminiamo la fondamentale contraddizione fra i Sinottici e Giovanni riguardo all’ingresso trionfale a Gerusalemme. Secondo Marco, Matteo e Luca, l’entrata trionfale e la purificazione del tempio con la cacciata dei cambiavalute avvenne all’inizio dell’ultima settimana di vita di Gesù sulla terra. Tuttavia, secondo il quarto Vangelo (Gv. 2:13-25), la purificazione del tempio avvenne all’apertura del ministero di Gesù, immediatamente dopo il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino al banchetto delle nozze di Cana.

In secondo luogo, perché i nemici di Gesù complottarono per ucciderlo? Secondo i Sinottici, i sommi sacerdoti e gli scribi cercarono un modo per uccidere Gesù dopo che egli aveva cominciato ad insegnare a Gerusalemme (Mc. 14:1-2), anche se Erode Antipa può aver tentato di catturare ed eliminare Gesù mentre stava predicando in Galilea (Mc. 6:16, Lc. 9:9, 13:31). Tuttavia, nel quarto Vangelo, il sommo sacerdote Caifa decide di uccidere Gesù non appena viene a sapere che Lazzaro era stato miracolosamente resuscitato dai morti (11:49 ss.). La crocifissione si rese necessaria perché il sommo sacerdote aveva paura di un popolare operatore di miracoli? O perché Gesù aveva sollevato l’inimicizia degli scribi e dei farisei? O perché aveva minacciato di distruggere il tempio come i testimoni sostennero al processo? O perché il sovrano della Galilea Erode Antipa, aveva paura di un secondo Giovanni Battista? O perché i romani cercavano di sopprimere un rivoluzionario che pretendeva di essere il Messia? I quattro Vangeli ci danno risposte diverse.

In terzo luogo, dovremmo riconoscere le diverse aggiunte fatte da Matteo e da Luca al racconto originale della passione secondo Marco. Matteo aggiunge a Marco vari episodi molto importanti: la descrizione del suicidio di Giuda (27:3-10), Pilato che si lava le mani per dimostrare la sua innocenza riguardo l’uccisione di Gesù (27:24-25) e la resurrezione durante il terremoto, che seguì la morte di Gesù, di molti santi ebrei che erano morti (27:51-53).

Anche Luca completa il racconto di Marco con particolari significativi. Soltanto secondo Luca, Gesù piange su Gerusalemme (19:41-44) e chiede ai suoi discepoli di armarsi di spade (22:36-38). Solo Luca ci dice che Gesù risana miracolosamente l’orecchio dell’uomo colpito dal discepolo quando i soldati arrestarono Gesù nel giardino del Getsemani (22:49-51). Luca soltanto riporta che Gesù fu processato di fronte ad Erode Antipa oltre che a Pilato e al Sinedrio (23:4-16) e che una gran folla di donne piangenti lo accompagnò sul Golgota (23:27-31). Senza cercare di decidere se queste aggiunte fatte da Matteo e da Luca sono storiche, si può vedere come sul Vangelo di Marco sono state fatte delle elaborazioni dagli altri due Sinottici.

In quarto luogo esaminiamo attentamente le diverse versioni dell’episodio del Getsemani. Marco descrive le tre preghiere di Gesù agonizzante a Dio perché lo salvi dalla croce del martirio, con queste parole: “Padre, tutto è possibile a Te: allontana da me questo calice, però non ciò che io voglio, ma ciò che Tu vuoi” (Mc. 14:36). Questo episodio commovente ci pone due problemi importanti. Come sappiamo ciò che accadde nel Getsemani se i discepoli dormivano e Gesù fu separato immediatamente dai suoi seguaci all’arresto? Ancor più importante, l’episodio ha delle implicazioni teologiche sconvolgenti. Ci fu un periodo, per quanto breve, in cui Gesù perse fede nella provvidenza di Dio? Secondo questo episodio del Getsemani, Gesù pregò disperatamente perché gli fosse risparmiato il dolore della croce. O forse Gesù pregò che Dio lo proteggesse dai suoi nemici e lo salvasse dal suo destino.

Studi biblici recenti riconoscono sempre più la violenza e l’orrore dell’ultima settimana di Gesù. Come ha notato un professore gesuita dell’Università Pontificia Gregoriana di Roma, Gesù non accettò fin dall’inizio la predestinazione della sua crocifissione.

Secondo lui egli non comincia la sua missione proclamando: “La mia crocifissione è vicina; pentitevi e credete nella buona novella della mia morte espiatrice”. Sicuramente, nella preghiera del Getsemani Gesù rivela le punte acute del suo dolore mentre medita sul suo futuro. Nelle ultime ore, prima dell’arresto, egli perde la calma e cerca una via per sfuggire al suo destino. [31]

Perciò è molto illuminante esaminare i modi tanto divergenti in cui gli evangelisti (che scrivono più tardi) pongono un velo sull’agonia del Getsemani, mitigando il dolore di Gesù. Marco usa questo episodio per descrivere l’incapacità dei discepoli di percepire i sentimenti di Gesù. Mentre il suo cuore era colmo di tanta angoscia, proprio le persone che gli erano più vicine si addormentarono. Matteo suggerisce che non c’era bisogno che Gesù venisse arrestato, perché egli aveva un’intera legione di angeli pronta a salvarlo (Mt. 26:53 ss.). Vale a dire, Gesù accettò volontariamente il suo destino come figlio obbediente. Luca descrive l’episodio in maniera un po’ differente, aggiungendo che Gesù fu visitato e confortato da un angelo (22:43). Il quarto Vangelo omette la preghiera supplichevole di Gesù. In contraddizione esplicita con Marco, Giovanni fa dire a Gesù queste parole: “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (18:11). Questa breve discussione sulla scena del Getsemani ci dimostra come le tradizioni dei Vangeli furono rivedute e trasformate per adattarle ai fini dogmatici ed apologetici della comunità cristiana in sviluppo.

A questo punto vediamo come gli unificazionisti spiegano la preghiera del Getsemani. 1) Gesù era venuto per alleviare il dolore di Dio e stabilire il Suo Regno. 2) Non potendo completare la sua missione, fu quasi sopraffatto dall’angoscia. 3) Egli sapeva che la sua morte sulla croce avrebbe bloccato il piano di Dio per il Suo popolo. 4) Le sofferenze dell’umanità sarebbero state prolungate indefinitivamente e i suoi discepoli sarebbero stati costretti a portare una croce come la sua. Afflitto da questi pensieri disperati, Gesù pregò per trovare una qualche via che gli permettesse di realizzare la missione divina.

In quinto luogo, dobbiamo sollevare la spinosa questione del coinvolgimento dei romani nella morte di Gesù. Chi fu responsabile della sua crocifissione, i suoi compatrioti o il governo imperiale? Ripetutamente portavoci ebrei (ed altri) hanno cercato di dare la colpa ai romani. Il Nuovo Testamento cerca di mascherare il fatto che Gesù fu processato da Ponzio Pilato e fu condannato a morte come un agitatore politico, la cui croce fu eretta fra quelle di due martiri zeloti. Su questa interminabile controversia sono stati pubblicati numerosi libri. Mentre nessuna soluzione del problema appare vicina, tutti sono però d’accordo su un fatto fondamentale. [32] Come risultato della disastrosa rivolta palestinese terminata nel 70 d.C., i cristiani sarebbero stati molto interessati a coprire qualsiasi collegamento fra il movimento messianico di Gesù e la causa degli zeloti. Dal tempo di Marco, fino al periodo successivo di Matteo, Luca e Giovanni, le tradizioni dei Vangeli furono sempre più rielaborate per discolpare i romani e accusare gli ebrei della morte di Gesù. Alla fine, i cristiani copti venerarono Ponzio Pilato come un santo. Di conseguenza, oggi siamo ben consapevoli delle tendenze apologetiche in atto nello sviluppo dei racconti della passione.

Infine, dovremmo riconoscere le fondamentali alterazioni fatte nei Vangeli nel ritrarre la scena del Calvario. Per lungo tempo si è stati soliti meditare sulle “ultime sette parole” di Gesù sulla croce, tuttavia nessuno degli evangelisti sembra appoggiare tale interpretazione. Le cosiddette sette parole rappresentano una tradizione composita, creata più tardi dalla chiesa. Che cosa riportano i Vangeli? Marco dice che Gesù parlò soltanto una volta dalla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (15:34). Poiché quel verso del Salmo 22:1 poteva essere facilmente frainteso come un grido di disperazione per essere stato abbandonato da Dio, Luca e Giovanni si sentirono costretti a fare qualche aggiunta che sembrava più adatta. Luca ritrae un nobile martire. Legato alla croce, la prima preghiera di Gesù fu per concedere il perdono: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (23:34). Al “ladrone” pentito (probabilmente un terrorista zelota) Gesù promette: “Oggi sarai con me in Paradiso” (23:43). Poi, alla fine, egli si avvicina al suo ricongiungimento con Dio serenamente: “Padre, nelle Tue mani consegno il mio spirito” (23:46).

Nel ritrarre la sua ben distinta teologia della croce, Luca riporta soltanto queste tre ultime frasi di Gesù morente. Matteo, tuttavia, preferisce copiare Marco. Molto probabilmente Matteo mantiene la citazione di Marco dai Salmi perché era desideroso di poter provare che in Gesù si realizzavano le profezie dell’Antico Testamento. Per lui non c’era nulla di strano, da un punto di vista teologico, nel grido di abbandono di Gesù, purché lo si vedesse come un’ulteriore predizione biblica che si avverava alla fine. Secondo Matteo, Marco era nel giusto: Gesù parlò soltanto una volta dalla croce. Molto differente da questo è invece il racconto di Giovanni. Al posto della citazione del Salmo 22 fatta da Marco o delle tre espressioni di Luca, questo autore riferisce solo tre (o quattro) nuove frasi: “Donna, ecco tuo figlio”; “Ecco tua madre” (19:26-27), “Ho sete” (19:28) e “Tutto è compiuto” (19:30). Nella teologia della croce secondo Giovanni, Gesù termina il suo ministero terreno con un grido di vittoria perché la morte è un momento di glorificazione, che gli permette di riportare tutti gli uomini a Dio. [33]


GESÙ E IL REGNO DI DIO

La predicazione di Gesù fu dominata dalla sua fede nella venuta del Regno di Dio. Egli fu innanzitutto un profeta escatologico, che proclamava che il Regno di Dio era vicino (Mc. 1:14-15). Quasi tutti gli studiosi moderni del Nuovo Testamento riconoscono questo fatto. [34] Come ha dichiarato Schweitzer, la ricerca del Gesù storico deve sfociare o in una corrente escatologica o in un completo scetticismo. Se Gesù di Nazareth non fu un araldo dell’imminente regno messianico, non sappiamo niente di lui. [35]

Che cosa vuol dire questo? Per alcuni studiosi [36] ciò implica innanzitutto che la persona di Gesù non fu il punto focale del suo ministero. Egli non predicava sé stesso ma l’avvento del Regno di Dio. Gesù supponeva che i suoi ascoltatori conoscessero la speranza escatologica e ne aspettassero l’arrivo. Così, per capire la missione di Gesù, dobbiamo riconoscere che egli era venuto al servizio dell’atteso Regno di Dio.

Secondariamente, il suo ministero rappresenta una conferma della tradizione profetica ebraica. Nonostante le numerose catastrofi politiche e sociali, come l’esilio in Babilonia e la dominazione romana, gli ebrei fedeli speravano in una qualche autentica liberazione e in un Messia che avrebbe portato la realizzazione delle loro aspirazioni. Perciò la speranza escatologica si basava su due convinzioni: 1) che Dio avrebbe ristabilito la Sua sovranità e 2) che la venuta del Regno avrebbe modificato l’ordine sociale esistente.

Il Regno di Dio significa l’avvento dell’utopia, una trasformazione totale della realtà. Il Messia sarebbe venuto a giudicare il mondo e a liberare il suo popolo. Come spiega Isaia “Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto” (25:8), creando nuovi cieli ed una nuova terra dove ci sarà sempre gioia e felicità (65:17).

Quindi la liberation theology (teologia della liberazione) dice che il futuro Regno di Dio creerà un ordine sociale completamente nuovo e duraturo. Quando il Regno verrà, tutti gli uomini saranno orientati verticalmente verso Dio diventando Suoi figli. Inoltre, ci sarà riconciliazione ed amicizia eterna fra gli esseri umani. Perciò si aspettava che il Regno trasformasse lo spirito interiore degli uomini e ristrutturasse i loro rapporti. Questi aspetti della legge divina non si possono separare.

L’imminente Regno di Dio deve ottenere la vittoria sul peccato. La predicazione di Gesù avvenne nel contesto di un mondo di peccato, perciò la buona novella deve essere vista come una liberazione. Peccare non è semplicemente dire di no a Dio, ma dire di no al Suo Regno, perciò il peccato non deve essere solo perdonato ma estirpato. La fede si riferisce alla vittoria sul peccato: il peccato della separazione egocentrica da Dio e dell’oppressione egoista del prossimo.

Il modo in cui Gesù intende il peccato in relazione al Regno contiene due elementi. Da un lato, gli uomini peccano perché sono così preoccupati di sé stessi, dei loro beni, della loro posizione e sicurezza che si rifiutano di accettare la venuta del Regno. Dall’altro, Gesù denunciava gli aspetti pubblici, sociali e culturali del peccato. Per lui noi spezziamo il nostro legame di figli di Dio, quando spezziamo i nostri legami di fratellanza con gli altri. Gesù si opponeva sia al peccato collettivo che alla caparbietà personale. Egli attaccava i farisei perché non si preoccupavano della giustizia; gli scribi perché imponevano dei gioghi intollerabili sul popolo; i ricchi perché si rifiutavano di condividere con gli altri le loro ricchezze; i sacerdoti perché governavano dispoticamente.

L’opposizione di Gesù al peccato insito nelle strutture sociali si può vedere nel modo in cui egli associava la causa di Dio con i poveri e gli umili. Gesù preferiva la compagnia degli sfruttati e degli emarginati. Essere suo discepolo (dicono i teologi della liberazione) significa lottare per l’amore e la giustizia. Per Gesù, l’amore per Dio e per il prossimo erano la stessa cosa. Si può peccare contro Dio solo se si pecca contro l’uomo, si può amare Dio ed essere salvati soltanto amando e servendo gli uomini.

Come si collega tutto questo alla speranza escatologica? Escatologia implica “crisi”. La venuta del Regno di Dio non conferma lo status quo ma giudica l’ordine sociale esistente e lo ricrea in conformità alla sovranità di Dio. Dio vuole migliorare ogni aspetto dell’esistenza umana. L’escatologia mira ad un futuro migliore per tutti.

Molti studiosi, però, metterebbero in discussione l’interpretazione liberazionista della venuta del Regno poiché essa trascura la natura apocalittica del messaggio di Gesù. L’uomo non costruisce il Regno con l’impegno politico, la critica sociale e l’azione rivoluzionaria; il Regno di Dio sarà inaugurato all’improvviso come in un lampo, arriverà come un dono inaspettato da Dio, manifestandosi con sorprendenti eventi di carattere soprannaturale. Il nostro ruolo non è quello di creare il Regno ma di stare all’erta per scoprire i segni degli Ultimi Tempi ed essere preparati per la sua comparsa.

Allora, cosa intendevano gli ebrei per Regno di Dio? Prima di tutto il Regno si riferiva ad una manifestazione dello Spirito. Secondo la comune opinione ebraica, al tempo dei patriarchi, tutti gli uomini di fede possedevano lo spirito di Dio. Poi, a causa del peccato di Israele – l’adorazione del vitello d’oro – il dono dello Spirito fu limitato a pochi eletti: Dio consacrava specialmente i re, i profeti e i sommi sacerdoti. Anche questo però scomparve con la morte dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento. Una volta che gli scritti dell’Antico Testamento furono completati, Dio parlò soltanto attraverso “l’eco della Sua voce” (bat qol). Tuttavia, negli Ultimi Giorni, lo Spirito ritornerà con visioni straordinarie, sogni e segni mirabili. Nel Nuovo Testamento, per esempio, gli esorcismi di Gesù sono considerati come una prova del ritorno dello Spirito.

In secondo luogo, per il Giudaismo apocalittico, il Regno si riferiva all’abbattimento del dominio cosmico di Satana. Il ministero di Gesù dovrebbe essere interpretato come una battaglia contro le forze demoniache che tengono schiava tutta l’umanità. Come i suoi contemporanei nella comunità del Qumran, Gesù vedeva la sua opera come una guerra escatologica contro le potenze invisibili che avevano preso il controllo della creazione di Dio.

In terzo luogo, Gesù considerava il dominio di Dio sia come una realtà presente che come un evento futuro. Egli annunciava l’alba di un’era apocalittica e attendeva con ansia la sua piena manifestazione. Entrambi questi aspetti si trovano nella primissima corrente della tradizione. [37] Perciò la comunità apostolica insisteva che il ministero terreno di Gesù era soltanto un preludio all’imminente realizzazione del Regno di Dio nella Sua potenza. Per i cristiani del I secolo il Regno era “ora” e “non ancora”. Infatti, i Vangeli e le Epistole ci mostrano come tanti erano turbati dall’imprevisto ritardo della Parusia. Pregavano “Maranatha” (Vieni, o Signore).

Nonostante questo, nella visione apocalittica di Gesù sembra che ci siano almeno due insegnamenti nuovi. Da un lato, egli si opponeva alla visione comune degli ebrei sul Regno di Dio. Molti dei suoi ascoltatori sostenevano che Dio era sempre il re di Israele e che Satana aveva potere solo fra i gentili che opprimevano il popolo scelto. A questo punto, il messaggio di Gesù si scontrava con l’opinione dei suoi nemici ortodossi. [38]

Come gli esseni e Giovanni Battista, Gesù si rifiutava di prendere per scontato che gli ebrei erano automaticamente il popolo eletto. Soltanto un gruppo di pochi santi era rimasto leale al patto che Dio aveva fatto con Abramo. Perciò Gesù incitava i suoi compatrioti a pentirsi, a convertirsi, ad allearsi al nuovo popolo escatologico di Dio. Il suo unico scopo era quello di riunire il popolo di Dio in una comunità ben definita che sarebbe stata preparata per la venuta dell’era messianica. [39]

Dall’altro lato Gesù differiva radicalmente dai discepoli di Giovanni Battista e dalla setta del Qumran nel suo modo di interpretare la natura del “sacro resto”. Per loro il Regno era per i “devoti”, un gruppo eletto. Per contrasto Gesù scandalizzò i suoi contemporanei opponendosi a questo esclusivismo. Egli proclamò che la grazia di Dio era senza limiti. Al suo tavolo erano benvenuti il pubblicano detestato, la prostituta emarginata e ben noti “peccatori”. Usando un linguaggio simbolico egli ordinò ai suoi discepoli di invitare gli storpi, gli zoppi e i ciechi al banchetto messianico. Agli occhi di Gesù, Dio ama i peccatori ed è il Padre dei piccoli, dei poveri, dei perduti. Perciò egli spalanca le porte creando una comunità del nuovo popolo di Dio che abbraccia tutti. [40]

La teologia dell’Unificazione insegna che Gesù venne per stabilire il Regno dei Cieli sulla terra. Come scrisse S. Paolo, Gesù doveva essere il nuovo Adamo che restaurava il perduto giardino di Eden. A questo scopo egli scelse 12 apostoli, simboleggianti le 12 tribù originarie di Israele e inviò 70 discepoli, che simboleggiavano tutte le nazioni del mondo. Come Giovanni Battista, Gesù proclamò che il tanto atteso Regno dei Cieli era vicino (Mt. 4:17). Il metodo di insegnamento particolare di Gesù si può vedere nell’uso delle parabole. Queste storie riflettono con particolare chiarezza il carattere della buona novella (il Vangelo) di Gesù, la natura escatologica della sua predicazione e l’intensità del suo richiamo al pentimento. Tutte le parabole descrivono qualche aspetto dell’imminente Regno di Dio. Ognuna di esse sfida gli ascoltatori di Gesù a prendere una decisione riguardo l’alba dell’era messianica. [41]

Il pensiero dell’Unificazione corregge due popolari concezioni sbagliate sulla speranza escatologica. Il Regno di Dio non si riferisce semplicemente ad un regno spirituale nel cuore dei devoti. Tale concezione privatistica ed individualistica del Regno di Dio non è ciò che il Nuovo Testamento intende, né Gesù implica che il Regno dei Cieli si riferisca soltanto alla dimora dei giusti dopo la morte. Gesù lavorò duramente per stabilire il Regno di Dio sulla terra, perciò la speranza escatologica ha sia una natura sociale, politica ed economica che delle dimensioni personali.

Ora che cosa indica il Regno di Dio nel Giudaismo del I secolo? Il rabbino Klausner asserisce che il messianismo ebraico consisteva di due concetti: la salvezza politico-nazionale e la redenzione religiosa. [42] Per gli ascoltatori di Gesù il Messia sarebbe sia un sovrano che un redentore. Dio consacrerebbe un tale individuo per liberare gli ebrei dall’oppressione straniera e per rivitalizzare la loro religione. Allo stesso tempo il Messia doveva stabilire il Regno di Dio in tutto il mondo, riformare la società, sradicare l’idolatria e porre fine al peccato. Le fonti rabbiniche descrivono il Messia ebreo come un redentore forte nel fisico e potente nello spirito, che porterà alla salvezza completa il popolo ebraico, insieme alla pace eterna, la prosperità economica, l’ordine politico e la perfezione etica a tutto il genere umano.

Un altro punto importante deve essere menzionato. Il Messia è un essere umano e non una persona soprannaturale. La redenzione viene da Dio e solo attraverso Dio. Il Messia è solo uno strumento nelle Sue mani. Anche se l’Unto del Signore occuperà un posto centrale nel Regno dei Cieli sulla terra, Dio rimane per sempre l’oggetto primario di lealtà e di culto. Questa visione era il concetto messianico comune al tempo di Gesù. Tuttavia, come S. Paolo e S. Giovanni, i teologi più creativi del periodo del Nuovo Testamento, la teologia dell’Unificazione pone l’accento sul peccato originale e sul dominio satanico del nostro mondo alienato. Questi aspetti, mentre non sono completamente assenti dalla tradizione rabbinica, sono però più caratteristici del Giudaismo apocalittico e settario da cui sorse il Cristianesimo.

Una volta riconosciuto che Gesù fu inviato da Dio per portare il Suo Regno sulla terra mentre era in vita è facile capire l’urgenza che sta dietro al suo ministero. Per questo Gesù insisteva che i suoi discepoli si dedicassero totalmente, e prima di ogni altra cosa, al Regno imminente. Ecco perché gli apostoli abbandonarono immediatamente ciò che stavano facendo per seguire Gesù. Allo stesso modo questo spiega lo strano comandamento di Gesù quando dice: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” perché “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio” e quando chiede di essere pronti a lasciare anche la propria moglie (Lc. 9:60-62, 14:20).

Per entrare nel Regno bisogna essere perfetti, ha insegnato Gesù. Come dice il Sermone della Montagna: “Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro Celeste” (Mt. 5:48). Questo passo è spesso ignorato o malamente frainteso. Che cosa vuol dire essere perfetti?

Nel Giudaismo perfezione si riferisce alla realizzazione delle proprie capacità e al compimento del proprio scopo fondamentale come figlio di Dio. Poiché l’umanità è sprofondata nella cattiveria, la natura umana ha mancato di completarsi. Le vere capacità dell’uomo non sono mai state godute pienamente a causa della schiavitù del peccato. Così l’era messianica permetterà agli uomini di raggiungere il benessere spirituale, morale e materiale. [43] Come il Cristianesimo paolino, la teologia dell’Unificazione asserisce che l’uomo non può realizzare le sue potenzialità innate, dategli da Dio, fino a che non è purificato dal peccato originale. Il Messia deve essere sia salvatore che guida.

Qual era dunque la funzione del Messia nel piano di redenzione di Dio? Gesù fu designato come rappresentante di Dio sulla terra per soggiogare Satana, purificare gli uomini dal peccato originale e liberarli dalla potenza del male. La missione di Cristo comportava la liberazione dal peccato e l’elevazione dell’umanità allo stadio di perfezione. Il suo scopo era di stabilire il Regno dei Cieli nel mondo con l’aiuto di uomini pieni della verità e dell’amore divini. Lo scopo di Gesù era di restaurare il giardino di Eden, un posto di gioia e bellezza in cui vere famiglie con genitori di perfezione avrebbero dimorato insieme a Dio in una piena relazione di amore reciproco. Per usare la terminologia dei Principi Divini, il Regno di Dio sulla terra è formato da individui, coppie, famiglie e nazioni basate sulla fondazione delle quattro posizioni che ha Dio come punto centrale.


GIOVANNI BATTISTA

Malachia, il profeta dell’Antico Testamento, predisse il ritorno di Elia prima della venuta del Messia: “Ecco, io invierò Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore” (4:5). Elia aveva sconfitto tutti i falsi profeti in una grande lotta sul monte Carmelo a favore di Jahvè. [44]

La sua missione era stata quella di soggiogare Satana (manifestato nel licenzioso culto di Baal) e di scacciare per sempre il male da Israele. Ma, dopo la sua morte, gli Israeliti si erano uniti a Satana con l’adorazione di idoli. Perciò l’opera di Elia doveva essere rifatta. Per preparare la venuta del Messia c’era bisogno di un altro campione spirituale simile ad Elia, come profetizzò Malachia. Quindi la speranza escatologica includeva spesso un ritorno di Elia prima dell’avvento del Messia. [45]

Secondo le tradizioni sinottiche, Gesù vide in Giovanni Battista il preannunciato Elia. Luca racconta che un angelo disse al padre di Giovanni, Zaccaria, che suo figlio sarebbe stato consacrato con “lo spirito e la forza di Elia… per preparare al Signore un popolo ben disposto” (1:16-17). [46]

L’Antico Testamento narra con quanta cura Dio abbia inviato personaggi speciali a preparare la via per la venuta del Messia. Patriarchi, giudici, re e profeti esortarono, guidarono e profetizzarono, tutti per questo scopo. Giovanni Battista – dichiara il Nuovo Testamento – fu scelto per essere l’ultimo e il più grande di questi precursori del Messia. Suo compito era quello di interpretare i segni dei tempi, annunciare l’imminenza del Regno di Dio ed indicare il Messia promesso. Tutto nella vita di Giovanni era designato a prepararlo per quest’unica missione. A questo scopo egli si ritirò nel deserto della Giudea, praticò una vita ascetica, si vestì come l’antico profeta Elia e predicò la necessità di un pentimento nazionale. [47]

Naturalmente le persone erano così colpite dal dinamico messaggio di Giovanni sulla venuta dell’era messianica, che qualcuno si domandò perfino se non fosse lui il Cristo. Quando i suoi discepoli ed altri ascoltatori interessati gli chiesero se lui era il Messia, Giovanni rispose: “Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali; costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (LC. 3:15-16).

Quando Gesù cominciò a predicare che il Regno di Dio era vicino e qualcuno diceva che lui era il Messia, alcuni farisei andarono da lui per sapere dove si trovava l’Elia. Gesù rispose che l’Elia era Giovanni Battista (Mt. 17:10-13). Tuttavia, nel quarto Vangelo, quando alcuni sacerdoti e leviti vanno da Giovanni per chiedergli se lui era l’Elia, il Battista nega di avere questo ruolo (Gv. 1:19-21).

I Principi Divini descrivono Giovanni Battista come la figura centrale per restaurare la fondazione di fede nel corso di restaurazione a livello mondiale. Dio si aspettava che Giovanni spianasse la via al Messia, continuasse e completasse la missione di Elia di separare Israele da Satana.

A causa delle sue accese predicazioni Giovanni divenne estremamente popolare in Palestina. La sua voce aveva molta più autorità di quella di Gesù che era solo un umile falegname ed era quasi del tutto sconosciuto al di fuori delle piccole città lungo il Mare di Galilea. La maggior parte degli ebrei avrebbe potuto accettare Gesù come Messia se Giovanni gli avesse portato testimonianza. Dopo averlo battezzato, Giovanni avrebbe dovuto unirsi a lui, diventare suo fervente discepolo e trascinare altri a sostenere il movimento messianico di Gesù.

Secondo Luca, quando Giovanni fu messo in prigione da Erode Antipa, come agitatore politico, egli mandò due suoi discepoli a chiedere a Gesù se era veramente il Messia. Gesù disse ai messaggeri di riferire al loro maestro ciò che avevano udito e visto delle sue opere ed aggiunse piuttosto amaramente: “E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me”. Poi, dopo aver lodato il Battista davanti a una folla di suoi seguaci, Gesù dichiarò: “Io vi dico, tra i nati di donna non c’è nessuno più grande di Giovanni; però il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di lui” (Lc. 7:28).

Che cosa fece degradare pubblicamente Giovanni ad una posizione inferiore a quella del più piccolo nel Regno di Dio? Dal punto di vista della sua missione, Giovanni era l’ultimo profeta ebraico, perché era stato scelto specificatamente per dare testimonianza diretta al Messia. In questo senso Giovanni fu il più grande fra i nati di donna. Tuttavia, rifiutandosi di dare appoggio incondizionato al Messia, Giovanni perse praticamente tutta la sua importanza. Qui Gesù rivela quanto si sentiva offeso dall’esitazione, dai dubbi, dall’indecisione del Battista.

Se Giovanni, dopo aver battezzato Gesù, lo avesse seguito e lo avesse appoggiato abbastanza ardentemente, tutta Israele avrebbe potuto seguire Gesù. Che potenza avrebbe avuto l’unione delle loro forze! Ma Giovanni, il precursore principale di Gesù, fallì nella missione che Dio gli aveva dato di preparare Israele a ricevere il Messia. Invece di dare testimonianza diretta alla natura messianica di Gesù, il Battista, in effetti, rese ancora più difficile per il popolo accettarlo.

Un contributo notevole della teologia dell’Unificazione è la sua interpretazione radicale del ruolo del Battista. Tradizionalmente, i cristiani lo hanno lodato come il precursore fedele e lo hanno proclamato santo. Per la prima volta diventa chiaro che Giovanni si dimostrò “un’offesa” per Gesù, un ostacolo sulla via per realizzare il Regno. Tuttavia, questa nuova interpretazione del Battista sembra essere sempre più convalidata dallo studio della Bibbia.

Per esempio, il Nuovo Testamento suggerisce diverse critiche su Gesù che sorsero fra i discepoli di Giovanni: 1) che Gesù era inferiore a Giovanni perché si era sottomesso al suo battesimo; 2) che la condotta di Gesù non era così strettamente religiosa come quella di Giovanni; 3) che Gesù cominciò come un discepolo del Battista prendendo a prestito da lui la pratica del battesimo e copiandone il messaggio.

Fino ad un certo punto tutti i Vangeli cercano in vari modi di subordinare Giovanni a Gesù, ma il quarto Vangelo è proprio specificamente anti-battista. In conclusione, questo dimostra che i nemici del Cristianesimo trovarono in Giovanni Battista un’arma potente da rivolgere contro Gesù. [48]

Nel quarto Vangelo il Battista è ridotto soltanto ad una voce, la cui unica funzione è di proclamare Gesù come il salvatore del mondo. Una volta che il Battista aveva annunciato l’autorità messianica di Gesù, il suo lavoro, assegnatogli da Dio, era terminato. Il quarto Vangelo omette la storia del battesimo di Gesù e descrive il rito di Giovanni come qualcosa di esteriore, praticato con l’acqua, piuttosto che vederne l’aspetto spirituale. Il Battista saluta Gesù come l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo e i discepoli di Giovanni si uniscono a Gesù.

Il quarto Vangelo corregge il racconto sinottico secondo cui Gesù cominciò la sua predicazione dopo l’arresto del Battista, come se Gesù fosse un discepolo che portava avanti l’opera di Giovanni.

Nel Vangelo di Giovanni si dice che Gesù predicava allo stesso tempo del Battista e che attirava folle più grandi (3:22-26). Per quanto riguarda il rapporto fra i due uomini, Gesù insiste che egli “viene dall’alto” mentre Giovanni è solo un “figlio della terra” che parla di cose terrene (3:31). [49] Quindi, se il Vangelo di Giovanni fu scritto fra l’80 e il 120 d.C., la predicazione del Battista e dei suoi discepoli rimaneva un serio ostacolo per l’attività missionaria cristiana quasi un secolo dopo la morte sia di Giovanni che di Gesù. Così gli studiosi contemporanei tendono a condividere la visione dei Principi Divini secondo la quale l’opera del Battista costituì un ostacolo per Gesù nella realizzazione della sua missione messianica.


IL MINISTERO PUBBLICO DI GESÙ

Come fu il ministero di Gesù in Galilea? Gli studiosi moderni hanno opinioni molto contrastanti su questo tema. Liberali come Goguel [50] e Goodspeed affermano che, nonostante qualche opposizione, Gesù godette di grande popolarità in Galilea per un certo tempo. A causa della sua fama come operatore di miracoli, guaritore ed eccezionale maestro, folle accorrevano ad ascoltarlo. Inevitabilmente egli si attirò critiche da parte degli scribi ortodossi e dei farisei. Ma i seguaci di Gesù erano di gran lunga più numerosi dei suoi critici.

Gli studiosi liberali della Bibbia, perciò, mettono in contrasto due periodi nel ministero di Gesù: i primi tempi, paragonati ad una “primavera galileana”, e un periodo più tardo quando Gesù dovette affrontare una pericolosa opposizione. [51] All’inizio, dunque, sembrava esservi una reale possibilità che il ministero di Gesù fosse coronato dal successo. Goodspeed afferma che un cambiamento importante avvenne non appena i farisei riuscirono a persuadere Erode Antipa a sopprimere il movimento di Gesù. Per evitare uno scontro rischioso con i suoi nemici in Galilea, Gesù fuggì segretamente nelle città pagane di Tiro e Sidone nella pianura lungo la costa della Fenicia (Mc. 7:24), e passò del tempo fuori del regno di Erode, nell’area della Decapoli, governata a quell’epoca dal tetrarca Filippo (Mc. 7:31). Guignebert descrive questo periodo come la fuga errante di un uomo che si sentiva inseguito. [52]

Nonostante tutti questi ostacoli, Gesù si rifiutò di rinunciare completamente ad avere successo e ad ottenere alla fine una vittoria col suo popolo. [53] Perciò egli decise di entrare a Gerusalemme durante la Festa della Pasqua e di presentarsi a tutti gli ebrei, offrendo loro il loro grande destino messianico. [54]

Küng, come la maggior parte dei discepoli di Bultmann, interpreta il ministero di Gesù in Galilea in modo molto differente. Secondo lui Gesù non godette mai di una primavera galileana coronata dal successo. Fin dall’inizio egli incontrò dubbi, aspra ostilità e rifiuto. [55] Non ci fu perciò un periodo d’immensa popolarità seguito da un periodo di tribolazione. [56]

Inoltre, non possiamo fare affidamento sull’accuratezza di Marco nel riportare i riferimenti geografici e temporali del ministero di Gesù. Secondo la critica delle forme, Marco non ha ricevuto uno schema della vita di Gesù dalla tradizione. Egli stesso ha creato i collegamenti geografici e temporali che tengono insieme tutti i discorsi e le opere separate di Gesù.

Tuttavia, anche per Küng, l’idea che Gesù andò a Gerusalemme soltanto per morire può essere un’interpretazione cristiana più tarda, perché, come ci riporta Luca, i discepoli speravano che il viaggio nella Città Santa avrebbe portato l’apparizione del Regno (19: 11). [57] Guignebert afferma che Gesù andò a Gerusalemme non per morire ma per agire. [58] Oppure, come conclude Goguel, quando Gesù fu costretto a lasciare la Galilea per rifugiarsi in un’area dove Erode non poteva raggiungerlo, la fede nella sua missione rimase indisturbata. Era sempre sicuro che il Regno fosse vicino. [59]

Il teologo della liberazione, Jon Sobrino, ci offre una terza spiegazione del ministero pubblico di Gesù. [60] Come Goguel, egli accetta l’idea di una primavera galileana in cui Gesù godette di immensa popolarità fra la gente comune. Tuttavia, diversamente dai liberali, Sobrino sente che Gesù fu costretto a cambiare la sua fede a causa dell’ostilità dei farisei e dell’opposizione di Erode. Questo ritratto liberazionista di Gesù merita considerazione perché sta incontrando un’approvazione sempre maggiore da parte dei cristiani intellettuali di oggi.

Secondo Sobrino, all’inizio della sua vita pubblica, Gesù agì più o meno come un ebreo apocalittico. Allora la sua fede era basata sulla certezza della promessa escatologica. Egli parlava ed agiva come se il Regno di Dio stesse già spuntando. Perciò Gesù fece tutto quello che poteva per rendere concreto l’amore, che è il cuore dell’imminente Regno di Dio. Egli invitava anche i discepoli a portare avanti un compito simile: proclamare la speranza escatologica. La loro fede si fondava sulla completa fiducia che Dio si stava facendo più vicino per stabilire un’amicizia universale. [61] Gli ascoltatori erano sfidati a volgere il loro sguardo a questo Regno in arrivo, ad obbedire a Dio e a compiere dei segni effettivi di riconciliazione umana.

Gli insegnamenti e le opere di Gesù avevano lo scopo di riconciliare gli uomini fra di loro e con Dio. Per esempio, Gesù insegnò che se qualcuno stava per presentare un’offerta sull’altare e improvvisamente si ricordava di avere un motivo che lo separava da un suo vicino, avrebbe dovuto lasciare il tempio, riconciliarsi prima col suo fratello e poi rinnovare la sua alleanza con Dio (Mt. 5:23-24). Per abbattere l’aspra animosità religiosa fra ebrei e samaritani, Gesù insegnò la parabola del buon samaritano. Per eliminare l’antagonismo che esisteva fra ebrei e romani, Gesù lodò un centurione romano, dicendogli che la sua fede era più grande di quella di ogni altra persona in Israele. In opposizione al rigido sistema sociale di casta Gesù mangiava apertamente con i pubblicani. In un’epoca in cui le donne erano considerate inferiori agli uomini, egli le accoglieva nella sua cerchia intima di amici.

Il primo stadio del ministero di Gesù terminò bruscamente. Egli abbandonò il cuore della Galilea, dirigendosi prima a Cesarea di Filippi e poi verso le dieci città della Decapoli. Perché avvenne questo improvviso cambiamento? Perché Gesù si rese conto di aver sollevato un’opposizione pericolosa. [62]

Ci sono diversi segni che indicano questa evidente mancanza di successo (Mc. 8, Mt. 13). I capi religiosi non avevano accettato la sua predicazione. [63] Le folle che prima erano state entusiaste ora cominciavano ad abbandonarlo. I discepoli di Gesù non riuscivano a capirlo. Probabilmente, come suggerisce il quarto Vangelo, ci furono due attentati per lapidarlo; così, per salvarsi, Gesù si ritirò sull’altra riva del Giordano (8:59; 10:31, 39,40).

Tutti i Vangeli accennano che Gesù si trovò ad affrontare una seria crisi sia interiore che esteriore, sostiene Sobrino. Sembra che Gesù abbia cercato di ritirarsi in solitudine, restringendo il suo insegnamento soltanto al piccolo nucleo dei discepoli scelti. Senz’altro ebbe luogo un cambiamento radicale nel suo modo di comprendere sé stesso e la sua missione. [64]

Gesù fu costretto a dare una nuova forma alla sua fede. Egli mantenne la sua fiducia in Dio, ma sembra che avesse capito che poteva anche essere respinto dal suo popolo. L’atteggiamento di Gesù da Cesarea di Filippi fino alla morte sulla croce fu molto diverso da quello fiducioso che aveva originariamente. Mentre all’inizio egli si aspettava la venuta del Regno, ora invece si rendeva conto che avrebbe potuto trovarsi di fronte alla morte. Non si aspettava più l’avvento imminente del Regno di Dio. Gesù avvisò i suoi discepoli che forse avrebbe dovuto patire la prigione e probabilmente la morte.

Da questo momento in poi, diventare discepoli di Gesù è descritto come un invito a prendere la croce. Così la fede di Gesù in sé stesso e nella sua causa fu alterata radicalmente nel mezzo di una situazione piena di conflitti sia interiori che esteriori.

Secondo la tradizione sinottica, Gesù si trovò di fronte ad una vera tentazione e non solo all’inizio del suo ministero, dice Sobrino. Egli fu costretto a decidere come poter realizzare concretamente la sua missione. Gesù dovette superare la tentazione che era nata dallo scontro con le forze storiche del peccato. A causa di seri conflitti con le autorità religiose, la vita di Gesù fu messa in grave pericolo. I suoi discepoli si armarono per proteggersi dalle persecuzioni. Sembrava che soltanto con la forza Gesù avrebbe potuto aver successo nella sua missione. Come sappiamo dal racconto del giardino del Getsemani, Gesù non voleva morire. Nel profondo del suo dolore, egli pregò Dio di non fargli bere il calice del martirio. Se gli fosse stato possibile, avrebbe evitato la passione.


OPINIONI CORRENTI SULLA MORTE DI GESÙ

Come vedono gli studiosi contemporanei il significato della morte di Gesù? L’opinione di Bultmann probabilmente è la più radicale. Noi non sappiamo cosa Gesù pensasse della sua fine. Probabilmente egli ebbe un crollo e la sua fede andò a pezzi. [65] Come scrive Marco, Gesù gridò disperato, emise un forte lamento e rese lo spirito. Così il critico biblico tedesco Willi Marxsen conclude che si può affermare con notevole sicurezza che Gesù non guardò alla sua morte come ad un evento di salvezza. [66]

Il teologo cattolico di Tubinga, Kasper, cerca di evitare una conclusione così drastica. Egli ammette che le nostre fonti pongono dei problemi. La fonte dei detti (“Q”) usata da Matteo e da Luca non contiene alcun riferimento diretto alla passione e non attribuisce da nessuna parte un valore di salvezza alla croce. Tutto ciò che i Logia indicano è che i profeti muoiono violentemente (Lc. 11:49) e che i cristiani devono aspettarsi la persecuzione (Lc. 6:22).

Ciò nonostante, nei sinottici ci sono varie profezie sulla morte di Gesù. Tutte trattano la crocifissione come una necessità voluta da Dio. Esse sostengono che Gesù sapeva di dover morire ed accettò volontariamente il suo destino. Ma si può fare affidamento su questi testi? Kasper ammette che quasi tutti gli studiosi sono d’accordo nell’affermare che le predizioni sono delle interpretazioni post-pasquali non storiche. Se i discepoli sapevano che Gesù sarebbe morto e risorto perché furono così turbati dalla crocifissione e perché all’inizio ebbero difficoltà ad accettare le prove delle apparizioni di Gesù risorto?

Per quanto riguarda i racconti della passione, essi rivelano chiaramente gli interessi dogmatici e di culto della comunità cristiana posteriore. Tutti i racconti del Nuovo Testamento interpretano la fine di Gesù alla luce della resurrezione. Inoltre, le tradizioni sinottiche riguardanti la passione spiegano a posteriori la sua morte come la realizzazione di Isaia 53, del Salmo 69:21 e del Salmo 22:1. [67]

Ammesso tutto ciò, Kasper solleva la domanda: Gesù riconobbe la possibilità di essere ucciso? Primo, la speranza escatologica comprendeva la fede in un tempo di tribolazione apocalittica. La fine dei tempi sarebbe stata un periodo di grandi tentazioni e sofferenze. Secondo, a causa dell’intensa opposizione suscitata dalla sua predicazione, Gesù dovette prendere in considerazione la possibilità di una morte violenta. Terzo, il destino crudele di Giovanni Battista deve aver fatto ricordare a Gesù cosa gli sarebbe potuto accadere. Quarto, Gesù sembra aver provocato il suo arresto per il tumulto causato nel tempio e il suo ingresso a Gerusalemme come Messia. Questi due eventi drammatici costrinsero i suoi nemici ad agire. Alla fine – dice Kasper – Gesù voleva un conflitto con le autorità. Quinto, non bisogna intendere il grido dalla croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” come un’espressione di disperazione nell’agonia. Secondo Kasper, fu piuttosto una preghiera di fiducia sublime, una supplica a Dio di accoglierlo nel Suo Regno. [68] Così, la morte di Gesù chiarisce tutto il suo messaggio. Fino alla fine a Gesù interessava soltanto la venuta del Regno di Dio. Nelle condizioni di quell’epoca, il Regno di Dio si poteva manifestare solamente come amore nella desolazione e vita nella morte. [69] Kasper cerca di giustificare il martirio di Gesù che potrebbe aver avuto un significato provvidenziale. Ma questo sarebbe in accordo con la speranza escatologica di Gesù?

Scrivendo una generazione dopo la morte di Gesù, S. Paolo ammise che la teologia della croce era uno scandalo ed un impedimento per i non-cristiani. Perché? Perché gli ebrei di quel tempo non avevano nessun concetto di un Messia crocifisso. Forse, cosa più importante, l’esecuzione di Gesù dava la forte impressione che Gesù avesse fallito come araldo dell’era messianica.

Il Cristianesimo del Nuovo Testamento cercò di coprire lo scandalo della crocifissione in quattro modi: 1) insistendo che la morte di Gesù era una realizzazione delle profezie dell’Antico Testamento; 2) eliminando a poco a poco l’aspetto apocalittico degli insegnamenti di Gesù; 3) proclamando l’avvento dell’era messianica in un tempo futuro imprevedibile; 4) reinterpretando la fede cristiana in termini mistici, sacramentali ed ecclesiastici. Queste tendenze possono essere in conflitto l’una con l’altra, ma esistevano tutte nell’era apostolica.

Se lo scopo principale di Gesù era quello di annunciare il tanto atteso Regno di Dio, sembrerebbe che la sua carriera sia finita con una delusione. Per dirla senza mezzi termini come Bultmann, la speranza apocalittica di Gesù non fu realizzata. Il mondo esiste ancora. La storia ha rifiutato la mitologia escatologica di Gesù. [70]

Che prove abbiamo di una conclusione così drastica? Prima di tutto i primi cristiani aggiunsero un’appendice all’ordinaria speranza apocalittica ebraica. Mentre gli ebrei affermavano che il Regno sarebbe venuto con l’avvento del Messia, i cristiani predicavano che il Messia Gesù aveva inaugurato il Regno, ma che la sua piena realizzazione sarebbe avvenuta in un tempo futuro. In un modo nuovo reinterpretarono il ruolo del Messia per includervi il cammino terreno del Servo Sofferente di Dio ed un’apparizione più tarda dell’eroe messianico vincitore. Ciò dimostra che le aspettative originali dei seguaci di Gesù erano state frustrate.

In secondo luogo, Gesù stesso può essere stato cosciente del suo fallimento come araldo escatologico, se le parole che Marco gli attribuisce sulla croce sono autentiche. Gesù gridò di disperazione, quando chiese a Dio perché lo aveva abbandonato? Due fattori suggeriscono la credibilità storica del racconto di Marco. Da un lato il testo è citato in aramaico, la lingua di Gesù, e la maggior parte degli studiosi tende ad accettare l’autenticità di un testo se lo si può far risalire ad una fonte aramaica. [71] Dall’altro, un simile grido non sarebbe mai stato inventato dalla chiesa sorta dopo la resurrezione, perché il suo significato era molto imbarazzante. Se il Salmo 22:2 fu solo un’espressione della fiducia in Dio da parte di Gesù, come tanti apologisti sostengono, perché Luca lo ha omesso a favore del versetto veramente sereno di un altro Salmo: “Padre, nelle Tue mani affido il mio spirito” (23:46)? Anche Giovanni naturalmente ignora il testo di Marco, preferendo di più ritrarre un Gesù maestoso, che mantiene il completo controllo della situazione fino alla fine.

Perciò possiamo sostenere che il grido di abbandono riportato da Marco sia storico. Come ammette Sobrino, Marco non avrebbe osato mettere in bocca a Gesù simili parole scandalose senza avere una solida base storica per farlo. [72] Non ci fu nulla di bello nella morte di Gesù, perché ai suoi occhi la croce rappresentava la morte della sua causa. [73]

Pochi teologi vogliono considerare la possibilità che la missione di Gesù non sia terminata con un completo successo. Esaminiamo più da vicino due notevoli eccezioni. Nel suo libro The Lord, Romano Guardini considera la tragedia del rifiuto di Gesù da parte delle autorità e poi del popolo. Il Regno di Dio non venne come era previsto, perché l’accettarlo o il rifiutarlo dipendeva dalla risposta del popolo ebraico. La decisione contro Gesù venne dalla libertà degli uomini.

Il Regno di Dio sarebbe giunto con pieno splendore se il popolo avesse risposto. La decisione contro Gesù, perciò, dovrebbe essere chiamata “la seconda caduta”, sostiene Guardini. Se il popolo avesse accettato Gesù, il loro sì a Dio avrebbe cancellato il peccato di Adamo, ma poiché lo rifiutarono la condizione caduta dell’uomo trovò una nuova conferma. [74]

Più recentemente anche Hans Küng ha accettato la possibilità che Gesù sia morto sentendosi abbandonato da Dio. Alla fine, Gesù si trovò abbandonato, lasciato assolutamente solo. Anche se non sappiamo con sicurezza che cosa Gesù provò sulla croce, era ovvio al mondo che egli aveva proclamato l’avvento del Regno di Dio, ma questo non era venuto. Gesù sosteneva di essere il testimone di Dio, ma fu lasciato solo nelle difficoltà. Per Gesù la crocifissione significò una morte senza aiuto, senza miracoli, e perfino senza Dio: lui che aveva annunciato l’imminenza del Regno, morì completamente abbandonato da Dio. [75]


CHI LO PORTÒ ALLA CROCE?

Quando Gesù proclamò la venuta del Regno di Dio, come fu accolto? Per citare il quarto Vangelo, egli venne nel mondo e il mondo non lo riconobbe (1:10-11). Anche se la luce del mondo fu rivelata sulla terra, gli uomini preferirono l’oscurità. L’accurata preparazione di Israele per l’avvento del Messia fu resa tragicamente vana.

Gesù sollevò un’intensa opposizione ed un odio implacabile. Chi impedì a Gesù di essere acclamato come campione di Dio? Naturalmente, il principale avversario del Messia era Satana. Come principe di questo mondo, egli era determinato a mantenere il suo manifesto dominio sull’umanità. Perciò Satana trovava sempre strumenti umani che volontariamente, o senza saperlo, si opponevano alla volontà di Dio.

Per esempio, Giovanni Battista, senza volerlo, bloccò i piani di Dio. Invece di unirsi a Gesù, continuò separatamente per la sua strada. Così il Battista fallì nel suo compito di araldo e difensore di Gesù. Poiché il principale precursore del Messia non fece un’adeguata fondazione per la Nuova Era di Dio, Gesù stesso dovette sostenere gli attacchi di Satana durante quaranta giorni di digiuno e di preghiera nel deserto, secondo quanto ci dicono i Principi Divini.

Poi, si deve ricordare la mancanza di appoggio da parte della famiglia di Gesù. Molti studiosi della Bibbia ritengono che Maria e Giacomo, il fratello di Gesù, divennero sostenitori del movimento messianico cristiano dopo la resurrezione. In ogni caso, il Nuovo Testamento contiene una prova evidente e diversi accenni che ci fanno capire come la famiglia di Gesù non rimase convinta della sua vocazione messianica. Il Vangelo più antico riporta un episodio che sicuramente è autentico. Quando la fama di Gesù come guaritore attraverso la fede cominciò ad espandersi, degli scribi arrivarono da Gerusalemme per investigare il fenomeno. Essi annunciarono che gli esorcismi di Gesù erano una prova che lui traeva i suoi poteri soprannaturali dal principe dei demoni. Sconvolti da questo giudizio, Maria e i fratelli di Gesù decisero che era impazzito. Dispiaciuto per la loro mancanza di fede, Gesù si rifiutò di vedere i suoi familiari, dichiarando che suoi veri fratelli e sorelle e madre erano i suoi seguaci (Mc. 3:20-35).

Oltre a questo passo, ci sono diversi spunti che fanno capire come Gesù affrontò incredulità, scetticismo, opposizione da parte dei suoi parenti più stretti. Il racconto speciale di Luca sul giovinetto Gesù al tempio, suggerisce che Maria e Giuseppe non capivano la vocazione religiosa di Gesù. “Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” esclamò il giovane Gesù quando i genitori ansiosi lo trovarono nel tempio. Luca nota che i genitori non riuscivano a capire l’atteggiamento del loro figlio (Lc. 2:49). Inoltre, è molto probabile che nella casa di Gesù ci sia stata grande disarmonia. Anche se a Giuseppe era stato detto in sogno che il bambino di Maria era dono dello Spirito Santo, egli deve essersi chiesto spesso come era possibile una cosa simile. Di conseguenza, può darsi che abbia tormentato Maria e trattato male il suo bambino. Alcuni studiosi affermano che, quando occasionalmente il Nuovo Testamento descrive Gesù come “il figlio di Maria”, questo era il modo usuale, derogatorio, di dire che lui era un figlio illegittimo. Inoltre, a Cana Gesù commenta: “Che c’è fra me e te, o donna?” come se fosse separato da sua madre (Gv. 2:4).

Il problema se il quarto Vangelo abbia un qualche fondamento storico, continua ad essere una delle questioni vivamente dibattute dai critici del Nuovo Testamento. Poiché il miracolo straordinario di Cana non trova alcuna conferma valida nei Vangeli più antichi, molti studiosi dubitano della sua autenticità. Tuttavia, questo commento offensivo verso Maria, può reggersi su una base di fatto, semplicemente perché un simile atteggiamento non sarebbe mai stato inventato dalla comunità cristiana posteriore dove la tendenza prevalente era quella di esaltare Maria, innalzandola ad altezze sempre più elevate. In ogni caso sembra ragionevolmente certo che Gesù fu rifiutato dalla sua famiglia.

Né Giovanni Battista, né la famiglia di Gesù, riconobbero la sua autorità messianica. Oltre a ciò, Gesù dovette affrontare numerose critiche di carattere religioso. Per svariati motivi, il movimento di Gesù si poneva contro l’atteggiamento di ogni gruppo ebraico conosciuto nella Palestina del I secolo. La causa che Gesù abbracciava era estranea alle idee di gruppi così disparati come i farisei, i sadducei, gli esseni, gli zeloti, gli erodiani, gli ellenizzanti. Alcuni non erano d’accordo col suo messaggio apocalittico; altri si opponevano al suo stile di vita; altri erano irritati dalle sue posizioni sociali e politiche, ad altri ancora dava fastidio l’autorità da lui assunta. Per queste ragioni Gesù è stato descritto come vittima della ristrettezza di mente in materia religiosa e dell’ultraconservatorismo ecclesiastico.

Inoltre, fra i nemici di Gesù, c’erano coloro che avevano paura di lui o ne erano sospettosi per la tensione della situazione politica. Erode Antipa avrebbe sospettato Gesù per la sua amicizia con Giovanni Battista che il tetrarca aveva fatto imprigionare e decapitare. Gesù disse ai suoi discepoli di guardarsi dal “lievito di Erode” (Mc. 8:15) e condannò quel sovrano chiamandolo “quella volpe” (Lc. 13:32). Poi c’erano le autorità dell’occupazione romana. Poiché la Palestina era in fermento di ribellione, Pilato e i suoi collaboratori sadducei sarebbero stati in guardia contro ogni profeta che avrebbe potuto alimentare le fiamme della rivolta.

Si noti che noi non abbiamo chiamato gli ebrei, nel loro insieme, nemici di Gesù. Nel Nuovo Testamento ci sono molti passi che sembrano dare la colpa “agli ebrei” per la crocifissione di Gesù. [76] Negli ultimi anni le chiese hanno cercato di sradicare l’antisemitismo. Senz’altro attaccare gli ebrei del giorno d’oggi per il crimine di “deicidio” o attribuire la crocifissione alla mancanza di fede degli ebrei come gruppo, significa dare un’errata interpretazione ai racconti della passione. Secondo le tradizioni sinottiche più attendibili, il complotto contro Gesù fu istigato da alcuni capi dei farisei che gli si opponevano per il suo disprezzo della Torah. Gesù fu interrogato dal sommo sacerdote Caifa sotto l’accusa di essere un bestemmiatore. Il Sinedrio lo dichiarò colpevole in un’assemblea notturna, probabilmente illegale, e lo consegnò a Pilato che lo fece uccidere come un elemento politicamente pericoloso che pretendeva di essere il Messia.

Invece di accusare gli ebrei delle pene di Gesù, i cristiani dovrebbero riconoscere che tutti gli uomini sono colpevoli dei peccati che hanno portato Gesù alla croce. Quando lo spiritual negro chiede “Tu eri lì quando hanno crocifisso il mio Signore?” (Were you there when they crucified my Lord?), la risposta naturalmente è che tutti noi eravamo là. Quante volte noi cristiani siamo stati simili a Pietro o a Giuda, a Pilato o ai farisei! Quante volte siamo stati anche noi uomini di poca fede, che negano, tradiscono o ignorano la provvidenza di Dio!

Perciò gli unificazionisti non si gloriano della crocifissione, ma insistono piuttosto che la croce provocò a Gesù sentimenti di estrema amarezza e dolore. Non fu qualcosa di cui essere orgogliosi, ma qualcosa di cui provare una tremenda vergogna.

Per Dio la crocifissione di Gesù fu tanto straziante quanto la caduta di Adamo ed Eva. Egli deve aver sentito il desiderio di voltare le spalle all’uomo e di abbandonarlo al suo destino dopo due vani tentativi per salvarlo. Quanta angoscia, quanta amarezza deve aver provato Dio verso l’uomo, quando vide Suo Figlio inchiodato sulla croce.

Il pensiero dell’Unificazione ha una visione diametralmente opposta a quella dei fondamentalisti, i quali pensano che l’unica missione di Gesù era quella di espiare i peccati dell’umanità morendo sulla croce. Se Dio avesse mandato il Suo Figlio unigenito per essere punito ed ucciso al posto dell’uomo peccatore, Egli non sarebbe stato affatto quel Dio Padre in cui credeva Gesù. Ancora peggiore è il punto di vista di quei teologi che affermano che la caduta di Adamo era predestinata per permettere al Cristo di venire a redimere gli uomini soffrendo al loro posto.


GESÙ RISORTO

Nonostante la crocifissione, il messaggio e la missione di Gesù portarono alla creazione della chiesa cristiana. Come Küng, ci chiediamo come questo possa essere accaduto, visto che Gesù non era riuscito a realizzare il suo scopo. [77]

L’enigma storico delle origini del Cristianesimo ci costringe ad esaminare le affermazioni del Nuovo Testamento sulla resurrezione di Gesù dai morti. Poiché alcuni suoi contemporanei asserirono di aver visto Gesù risorto, una nuova religione apparve sulla scena. Il rabbino condannato come eretico e il ribelle politico giustiziato, da quel momento in poi fu acclamato come Messia di Israele. Ma cosa significa dire che Gesù era risorto?

I cristiani laici e la maggior parte del clero insistono che la resurrezione è il nucleo centrale della fede del Nuovo Testamento. [78] Citando S. Paolo, essi dicono che se Gesù non fosse risorto dai morti, la nostra fede sarebbe vana (1 Cor. 15:17). Perché la fede nella Pasqua è così cruciale? Di solito si danno diverse ragioni: 1) La resurrezione di Gesù ci offre una prova inconfutabile che l’uomo ha un’anima immortale. I cristiani credono nella vita eterna per quello che è accaduto nella prima Pasqua. [79] 2) La resurrezione fu un miracolo straordinario che convalida la divinità di Gesù. Poiché la tomba non fu capace di trattenerlo, egli deve essere una figura soprannaturale: il Figlio di Dio, il Logos che era con Dio fin dall’inizio o la seconda persona della Trinità. Come racconta il quarto Vangelo, quando Tommaso, l’incredulo, vide il corpo di Gesù risorto, esclamò “Mio Signore e mio Dio!” (Gv. 20:28). 3) Poiché Gesù vinse la morte, il nemico più grande dell’umanità, il Cristianesimo offre una religione superiore a tutti i possibili rivali. Mentre i non cristiani venerano un Budda, un Mosè, un Maometto o un Confucio morti, i cristiani adorano Gesù Cristo, sempre vivo. Questo sembrerebbe dimostrare la superiorità del Cristianesimo. 4) Nient’altro che la resurrezione avrebbe potuto ricostruire la fede dei discepoli in Gesù, dopo il colpo della crocifissione. Quando Gesù fu arrestato ed ucciso, agli occhi dei suoi seguaci, la venuta del Regno appariva senza speranza. Perciò per questi uomini e donne disillusi e spaventati era necessario vedere Gesù vittorioso sulla morte perché potessero diventare apostoli di una nuova religione. [80] 5) La resurrezione fu necessaria perché i discepoli riconoscessero che Gesù era davvero il Messia. Una volta convinti che Gesù era veramente salito alla destra del Padre, essi poterono proclamare la sua messianicità nonostante tutto quello che era successo al Calvario. Grazie alle apparizioni della resurrezione, i cristiani ebrei poterono credere nell’evento straordinario di un Messia crocifisso. Anche se la condanna di Gesù da parte del Sinedrio e la sua crocifissione da parte di Pilato sembravano dimostrare che la pretesa di messianicità di Gesù era falsa, quando Dio lo resuscitò dalla tomba, Gesù divenne vittorioso sui suoi nemici terreni e giustificò la sua missione. [81] 6) Più recentemente i teologi hanno interpretato la resurrezione in rapporto all’apocalitticismo del I secolo. Gesù andò proclamando che il Regno era vicino. Quando i discepoli videro Gesù risorto, si convinsero che la sua resurrezione era una prova sicura della resurrezione universale dei morti che doveva avvenire presto, quando il Regno sarebbe giunto in tutta la sua gloria. [82] Queste sei interpretazioni sono usate comunemente per dimostrare la centralità della fede pasquale. Con questo materiale alle spalle, consideriamo nei particolari la resurrezione di Gesù, dato che, in questi giorni, la dottrina della sua resurrezione fisica e della sua ascensione sono sempre più messe in discussione.

Per capire la resurrezione si devono esaminare attentamente i racconti delle apparizioni della Pasqua contenuti nel Nuovo Testamento. Sfortunatamente le nostre fonti bibliche rivelano “insuperabili discrepanze e incongruenze”, per usare le parole di Hans Küng. I racconti biblici sono così in conflitto che è impossibile armonizzarli. I Vangeli non sono d’accordo sulle persone coinvolte, si contraddicono sul luogo degli eventi, la Galilea o Gerusalemme, e sono in disaccordo sull’intera sequenza delle apparizioni di Gesù. In Marco, le donne vedono un giovane uomo vestito di un abito bianco vicino alla tomba vuota. In Matteo, questo giovane diventa un angelo. In Luca, invece, presso la tomba ci sono due uomini in vesti splendenti. In Matteo, Gesù risorto appare ai suoi discepoli solo in Galilea, mentre in Luca è visto solo nell’area di Gerusalemme. Inoltre, il racconto di Paolo si differenzia notevolmente da quello dei quattro Vangeli.

La spiegazione di Pannenberg sulla fede della Pasqua è utile perché egli vede i racconti della resurrezione alla luce delle aspettative apocalittiche cristiane originali. [83] Che cosa implicano le esperienze con Gesù risorto nel contesto della fede dei discepoli nell’imminenza del Regno di Dio? 1) Per la comunità cristiana primitiva, dice Pannenberg, la resurrezione di Gesù indica che la fine dei tempi è giunta, poiché l’era messianica comincerebbe con una resurrezione universale dei morti. Gesù fu resuscitato come primo frutto di tutti coloro che si sono addormentati (1 Cor. 15:20). 2) Resuscitando Gesù dai morti, Dio confermò il suo messaggio e ne giustificò la missione sulla terra. Dio agì in un modo molto evidente per porre il Suo sigillo di approvazione su Gesù e condannare i suoi avversari. 3) Grazie alla resurrezione, fu possibile identificare Gesù con l’apocalittico atteso Figlio dell’Uomo. 4) Se Gesù era risorto, voleva dire che Dio alla fine si era rivelato nel suo insegnamento e nella sua persona. La gloria di Dio si era manifestata veramente nella forma terrena di Gesù. 5) Poiché Gesù era risorto dai morti, sia i gentili che gli ebrei dovevano essere accolti nel nascente Regno di Dio.

Con il continuo ritardo della Parusia, il significato apocalittico originario della resurrezione di Gesù subì notevoli revisioni. Troviamo prova di questo cambiamento nei Sinottici, scritti una generazione o più dopo la crocifissione. Marco, Matteo e Luca, adattano le apparizioni della resurrezione ciascuno alla propria teologia specifica, come ci mostra Norman Perrin. [84] Marco (senza l’aggiunta posteriore dopo 16:8) ci parla delle donne alla croce, delle donne alla sepoltura e delle donne di fronte alla tomba aperta. Questo Vangelo non contiene alcuna apparizione di Gesù. Le donne trovano un giovane uomo vicino alla tomba che dice loro che Gesù non è più lì ma che sarà con i discepoli in Galilea. Per Marco la speranza apocalittica domina ancora l’orizzonte. Non c’è bisogno di mettere in rilievo nient’altro che la fede sicura nella venuta del Figlio dell’Uomo, un messaggio da portare ai gentili (simboleggiati dalla Galilea). [85]

Mentre Marco vede la resurrezione soltanto come un preludio alla Parusia, Matteo fa affidare da Gesù risorto ai discepoli la missione di fondare la chiesa cristiana. Ora che Gesù è risorto, il loro compito è fare dei discepoli in tutte le nazioni. Non importa quando avverrà la Parusia, il compito cristiano è di fondare chiese in tutto il mondo. Per Matteo, Gesù risorto è continuamente presente nella sua chiesa. Poco interessato alla speranza apocalittica, anche Luca centra la sua attenzione sul progresso della testimonianza della chiesa. Come Gesù è vissuto con lo Spirito di Dio, così i suoi discepoli ricevono lo Spirito che dà loro forza e ispirazione per la loro missione. Perciò, Luca suggerisce che Gesù risorto incontra i cristiani nel pane spezzato dell’Eucarestia, li aiuta a capire le Scritture dell’Antico Testamento e li battezza con lo Spirito Santo. [86]

Ma qualunque siano state le credenze dei discepoli originali e degli evangelisti, è vero che Gesù risorse dai morti? Se è così, come è avvenuta la resurrezione? Per rispondere a questa domanda è importante far distinzione fra due forme della tradizione pasquale. La nostra fonte più antica, una tradizione citata da Paolo nel 56-57 d.C., parla solo di visioni di Gesù risorto. Paolo paragona le prime apparizioni di Gesù risorto con la sua visione sulla via di Damasco. In maniera molto significativa Paolo non fa riferimento alle varie storie della tomba vuota. Da qui, si può accettare la possibilità che i discepoli abbiano avuto delle visioni parapsicologiche, senza credere alla storicità della resurrezione fisica di Gesù.

Questo, tuttavia, non implica che le apparizioni di Gesù risorto fossero soltanto delle allucinazioni soggettive. Ora noi abbiamo abbastanza conoscenza dei fenomeni psichici per riconoscere che racconti credibili di apparizioni di morti sono piuttosto numerosi. [87] Perché, allora, così pochi teologi usano la parapsicologia per spiegare la resurrezione di Gesù? Soprattutto perché fare ciò sembrerebbe spogliare Gesù della sua unicità. I cristiani conservatori preferiscono affermare che la resurrezione di Gesù fu un evento soprannaturale, che dimostra come Gesù non fosse semplicemente umano. Per loro, come per gli scrittori del Nuovo Testamento, la resurrezione è inestricabilmente connessa alla divinità di Gesù.

Ciò nondimeno, alcuni teologi e studiosi della Bibbia sono portati a non dar credito alla storicità dei racconti della tomba vuota, nonché alle tendenze del Nuovo Testamento a ritrarre la natura fisica della resurrezione di Gesù. Sono stati fatti vari sforzi per affermare la verità essenziale della resurrezione senza insistere sulla resurrezione fisica di Gesù. [88] Bultmann, per esempio, asserisce che Gesù è risorto nel kerygma, perché la Parola di Dio, da lui proclamata, rimane viva nella continua predicazione della comunità cristiana. [89]

Un’altra possibilità è dire che le storie della resurrezione scritte nel Nuovo Testamento sono interpretazioni poetiche, metaforiche, che esprimono la continua validità della causa di Gesù. Dire che Gesù è risorto significa dire che i valori da lui predicati rimangono tuttora veri, nonostante la crocifissione. Perciò le apparizioni della resurrezione erano intese a ridar vita, forza e vitalità alla fede dei cristiani in Gesù come Via, Verità e Vita. Questo punto di vista si può collegare facilmente alla fede, sviluppata più avanti, secondo cui la chiesa è ora il corpo di Cristo, la continuazione e l’estensione dell’incarnazione. Dove c’è la chiesa, c’è Cristo ancora vivo, ancora al lavoro, Gesù che prega affinché sulla terra sia fatta la volontà di Dio.

Dal 1964 al 1968 le chiese tedesche furono coinvolte in controversie sull’importanza della resurrezione di Gesù per la fede cristiana. Uno dei principali partecipanti, lo studioso del Nuovo Testamento Willi Marxsen, sostenne che si poteva avere una varietà di opinioni su Gesù risorto. Per gli evangelici, credere nella resurrezione voleva dire che Gesù era risorto dalla tomba col corpo. Per altri, ugualmente cristiani, Gesù era risorto in senso spirituale. [90] Egli è risorto nel cuore dei discepoli oppure è risorto nella proclamazione della chiesa (Bultmann). Per Marxsen la fede nella Pasqua significa credere come Gesù che, contro le apparenze (cioè la crocifissione), Dio può fare qualunque cosa. Affermare la resurrezione è il modo in cui il Nuovo Testamento professa la fede illimitata in Dio in questo mondo e la completa fiducia in Lui per il futuro. [91]


IL PUNTO DI VISTA DELLA TEOLOGIA DELL’UNIFICAZIONE

Come intendono gli unificazionisti la resurrezione di Gesù? Innanzitutto, i Principi Divini affermano decisamente la realtà della resurrezione per tre ragioni. Storicamente la resurrezione fu necessaria perché i discepoli si riprendessero dalla tragedia demoralizzante della crocifissione. Come ha detto il teologo biblico britannico Alan Richardson, la missione di Gesù terminò apparentemente in un totale fallimento e disastro. Perciò tutti i suoi discepoli fuggirono in Galilea (Mc. 14:50). Tuttavia, quando questi seguaci scoraggiati cominciarono ad essere convinti che Gesù era risorto, la loro fede improvvisamente si riaccese, si radunarono di nuovo insieme e da quel momento in poi celebrarono la morte di Gesù come un’occasione di gioia e di ringraziamento. [92] Storicamente, l’esperienza dei primi cristiani con Gesù risorto spiega il loro cambiamento radicale di atteggiamento dalla disperazione alla speranza radiosa.

Teologicamente, la resurrezione è importante come testimonianza della natura duale dell’uomo. Ogni persona consiste di un corpo mortale e di un’anima immortale. I nemici di Gesù non poterono distruggerne lo spirito condannandolo come bestemmiatore ed eretico, né le apparizioni della resurrezione furono semplicemente inventate dalla chiesa primitiva per ingannare il popolo credulo, facendogli accettare una nuova fede. Gesù fu veramente vittorioso sulla morte.

Inoltre, la resurrezione fu necessaria soprattutto provvidenzialmente. Poiché la missione di Gesù era il modo in cui Dio voleva realizzare il Suo ideale originario per la creazione, Egli dovette superare il tremendo sconvolgimento del Suo piano causato dal rifiuto verso Suo Figlio.

Come poteva Dio rivitalizzare il movimento messianico disperso e apparentemente screditato ed usarlo per promuovere il Suo piano originale per l’uomo? La riapparizione di Gesù Cristo fu il modo in cui Dio diede nuova ispirazione ai discepoli e riaccese il loro entusiasmo. L’intera comunità cristiana era pronta a ricevere la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. Grazie alla resurrezione, gli ebrei cristiani poterono predicare ai loro connazionali: “Questo Gesù, Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni… Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At. 2:32-36).

Ora dobbiamo guardare l’interpretazione data dai Principi Divini sul modo in cui avvenne la resurrezione. Come la maggior parte dei protestanti liberali, gli unificazionisti credono che la resurrezione di Gesù fu spirituale e non fisica. Una resurrezione della carne è in contraddizione con le idee del nostro mondo moderno scientifico. Bultmann, fra altri, insiste che se vogliamo rendere credibile il Cristianesimo, dobbiamo demitologizzare le antiche dottrine come la resurrezione di Gesù nella carne e la sua ascesa fisica al cielo. Allo stesso modo Brunner insiste sulla resurrezione del corpo, ma non sulla resurrezione della carne. [93]

Paolo, probabilmente l’unico membro istruito della comunità apostolica, suggerisce che non c’è bisogno di credere nella resurrezione fisica di Gesù. Nelle sue prime lettere la speranza cristiana è ampiamente interpretata in rapporto all’apocalitticismo ebraico, che comprende la fede nella resurrezione fisica (1 Ts. cc. 4 e 5). Più tardi Paolo modificò le sue idee: “La carne e il sangue non possono ereditare il Regno di Dio” (1 Cor. 15:50). L’esperienza di Paolo con Gesù risorto fu un incontro col Cristo glorificato, una realtà spirituale.

Anche nei Vangeli ci sono prove che il corpo risorto di Gesù era molto diverso da quello che egli aveva sulla terra. Quando Gesù apparve all’improvviso ai suoi discepoli che si erano riuniti insieme, essi pensarono di aver visto un fantasma (Lc. 24:37). Similmente, i discepoli che incontrarono Gesù risorto sulla via di Emmaus non lo riconobbero fino a quando mangiarono insieme a lui, e non appena i loro occhi si aprirono, egli svanì immediatamente (Lc. 24:15-31). Questi due episodi dimostrano che il corpo di Gesù risorto era molto diverso da quello che aveva quando era sulla terra.

Tuttavia, tutti e quattro i Vangeli contengono dei racconti sulla tomba vuota. Queste storie non implicano forse che Gesù era risorto fisicamente? Coloro che insistono sulla resurrezione fisica si basano fortemente sulla tradizione della tomba vuota.

Molti studiosi del Nuovo Testamento considerano la tomba vuota una leggenda. Esaminiamo per esempio lo studio fatto da Guignebert [94]: egli dice che le fonti del Nuovo Testamento sono “un mosaico composto artificialmente da frammenti contradditori. [95]

Innanzitutto, i Vangeli presentano prove contradditorie sulla sepoltura di Gesù e la scoperta della tomba vuota. [96] Matteo, Luca, Atti e Giovanni aggiungono dei particolari al racconto originale di Marco, ma si contraddicono l’un l’altro in punti molto importanti. Quattro esempi dovrebbero bastare. Quante donne si recano alla tomba di Gesù e la trovano vuota? Una, secondo Giovanni (20:1); due secondo Matteo (28: 1); tre, secondo Marco (16: 1); tre donne più altri discepoli secondo Luca (24:10). Chi imbalsamò il corpo di Gesù? Secondo il quarto Vangelo (19:38-40), furono Giuseppe e Nicodemo, ma secondo la tradizione sinottica, le donne andarono alla tomba per questo scopo (Lc. 24:1). La tomba era sorvegliata? Matteo racconta che i sommi sacerdoti e gli anziani fecero mettere dei soldati davanti al sepolcro, mentre Marco e Luca tralasciano questo particolare importante. Che cosa avvenne quando le donne arrivarono al sepolcro? Soltanto Matteo racconta che si verificò un gran terremoto (28:1-10). Ma se questo evento sorprendente avesse avuto veramente luogo, perché gli altri evangelisti non lo notarono? Da queste discrepanze si deve concludere che il racconto originale di Marco fu abbellito ampiamente dagli evangelisti posteriori.

Per fortuna, possiamo trovare una tradizione importante su Gesù risorto nelle lettere di Paolo che sono di venti anni più vicine al ministero di Gesù sulla terra (1 Cor. 15:3 ss.). Paolo riporta due fatti molto significativi: una lista di apparizioni dopo la resurrezione, che afferma di aver ricevuto dalla comunità apostolica originaria, e il fatto che ognuna di esse era simile alla sua esperienza mistica sulla strada di Damasco. Ciò vuol dire che le prime apparizioni dopo la resurrezione erano di Gesù in spirito. Cosa ancora più importante, Paolo non fa riferimento da nessuna parte alla tomba vuota. Questo forse non suggerisce che al suo tempo, venti anni prima di Marco, i cristiani non credevano che la tomba di Gesù era stata trovata vuota? Guignebert ed altri concludono perciò che i racconti sulla tomba erano delle leggende posteriori, aggiunte dagli apologisti cristiani, per dimostrare la realtà della resurrezione di Gesù. Harnack, per esempio, affermò che la “scoperta” della tomba aperta complicava e confondeva la tradizione e che Paolo non sapeva nulla di questa storia. [97]

Gesù morì sulla croce e fu sepolto: è questo tutto ciò che possiamo sapere? Guignebert crede che il corpo di Gesù fu tolto dalla croce dai suoi carnefici che gli diedero una qualche sepoltura. Molto probabilmente il suo corpo fu gettato in una fossa preparata apposta per i criminali giustiziati. [98] Se il sepolcro di Gesù fosse stato conosciuto ci sarebbero stati regolarmente dei pellegrinaggi sul posto, ma la collocazione del Santo Sepolcro non fu individuata fino al tempo in cui Costantino la rese “aperta al culto” nel 326 d.C. [99] Ad ogni modo la fede della Pasqua si basava sulle varie apparizioni di Gesù risorto, non su una tomba vuota. [100]

Von Campenhausen, lo storico della chiesa di Heidelberg, è uno dei difensori più recenti della storicità della tomba aperta. [101] Egli però non cerca di usare questo come una prova della resurrezione fisica di Gesù. Allora perché la tomba era vuota? Noi non lo sappiamo, ammette Campenhausen. In ogni caso sono state offerte svariate spiegazioni. Due antiche opinioni ebraiche sono sopravvissute: la tomba era vuota perché i discepoli di nascosto avevano portato via il corpo prima che arrivassero le donne, [102] oppure a toglierlo era stato il giardiniere, per paura che la tomba di un profeta controverso attirasse così tanti visitatori che gli avrebbero calpestato l’orto. [103] Un’altra possibilità è che Giuseppe di Arimatea, ripensandoci, non volle più avere il cadavere di un criminale condannato nella sua tomba di famiglia e così, senza farlo sapere ai discepoli, [104] rimosse il corpo di Gesù. Può darsi anche che la tomba sia stata aperta e saccheggiata da qualche ladro di tombe che, a quei tempi, erano numerosi.

Oppure il corpo di Gesù fu tolto dalla croce prima che morisse, idea strana che ci è pervenuta in tre forme. I cristiani docetisti credevano che, dal momento che Gesù era di natura divina, non poteva né soffrire, né morire. Perciò la sua crocifissione fu soltanto apparente, oppure qualcuno prese il suo posto sulla croce, per esempio Simone di Cirene. [105] Questa è un’idea antica che si diffuse in Arabia dove, pare, fu creduta da Maometto. [106] Un’altra versione è che Gesù era un esseno a cui fu data una droga che gli permise di simulare la morte; i suoi seguaci esseni lo presero dalla croce e lo nascosero in uno dei loro monasteri dove visse in segreto fino a che morì di morte naturale molti anni più tardi. [107] La terza opinione, sostenuta anche da alcuni musulmani, è che Gesù non morì sulla croce, recuperò a poco a poco la salute e poi viaggiò in India, dove fu onorato come profeta fino alla morte avvenuta in età avanzata. Perfino oggi, i musulmani indiani possono mostrare nel Kashmir il tempio in cui riposa ancora il corpo del santo Gesù. [108]

Può sembrare che abbiamo speso troppo tempo sul problema della tomba vuota, ma se insistiamo sulla natura spirituale della resurrezione è inevitabile che ci venga chiesto perché si dice che la tomba di Gesù era vuota. Per questo motivo siamo stati costretti ad esaminare nei particolari le antiche leggende e i punti di vista contemporanei a questo riguardo. Ora dovrebbe essere chiaro che i racconti sulla tomba vuota non provano la resurrezione fisica di Gesù. Secondo la teologia dell’Unificazione i discepoli non videro un qualsiasi fantasma. Ciò che incontrarono fu il Messia che era risorto superando la vergogna della condanna come bestemmiatore e della morte come criminale. Così gli unificazionisti dichiarano che, grazie alla resurrezione, la missione di Gesù non terminò in un fallimento: senz’altro il corpo di Gesù fu completamente distrutto, ma il suo impegno messianico rimase intatto. Quando Gesù si risvegliò nel mondo spirituale, la sua prima preoccupazione fu quella di far risorgere la fede dei suoi discepoli, perciò desiderò manifestarsi a loro in qualche modo visibile. Ecco perché Luca scrisse che Gesù rimase quaranta giorni con loro. Grazie alla fede incrollabile di Gesù e sulla base della sua fondazione di quaranta giorni, Dio poté iniziare una nuova economia usando i discepoli come strumenti della Sua volontà per la redenzione degli uomini. [109]


Note

[1] C. S. Lewis, Mere Christianity (1960), p. 8.

[2] Ivi, pp. 54-56.

[3] Ivi,

[4] Ivi, p. 58.

[5] Tuttavia, si vedano gli studi storici di O. Cullmann fatti su questo punto in Christology of the New Testament (1959) e F. Hahn, The Titles of Jesus in Christology (1969). Cullmann e Hahn non credono che questi titoli risalgano ai discepoli ma pensano che si originarono più avanti nella chiesa.

[6] F. J. Sheen, Life of Christ (1958), pp. 1-4. Questo autore trova ulteriori predizioni sulla venuta di Gesù in Eschilo, Virgilio, Svetonio, gli Oracoli della Sibilla, Tacito, Socrate, Platone e Confucio.

[7] G. E. Ladd, A Theology of the New Testament (1974), pp. 182-192.

[8] F. Schleiermacher, Life of Jesus (ed. 1975), p. XI.

[9] Joseph Butler (m. 1752), decano anglicano della St. Paul’s Cathedral e vescovo di Durham, autore della popolarissima Analogy of Religion (1736), un attacco contro il deismo.

[10] H. D. A. Major di Oxford ha affermato che il passo biblico tratto da Isaia per provare la nascita dalla vergine, come altre profezie dell’Antico Testamento usate da Matteo, non ha alcun valore come testimonianza a un fatto storico (Mission and Message of Jesus, 1938, pp. 232-233).

[11] Per varie interpretazioni moderne delle poesie sul Servo, si veda G. Fohrer, Introduction to the Old Testament (1968) pp. 378-381. Per opinioni ebraiche importanti cfr. M. Buber, The Prophetic Faith (1960), pp. 217-235 e H. M. Orlinsky, Interpreting the Prophetic Tradition (1969), pp. 227-273.

[12] Per particolari cfr. A. M. Perry “Growth of the Gospels”, The Interpreters Bible (1951), vol. 7, pp. 60-74.

[13] Cfr. R. Bultmann, Primitive Christianity in its Contemporary Setting (1967) e N. Perrin, “Theological History of New Testament Christianity”, The New Testament, An Introduction (1974), pp. 39-61.

[14] E. V. McKnight, What is Form Criticism? (1969); M. Dibelius, From Tradition to Gospel (1934); R. Bultmann, History of the Synoptic Tradition (1963).

[15] W. Marxsen pensa che il Vangelo di Marco fu scritto subito dopo l’inizio della rivolta giudaica contro Roma (64 d.C. circa) al fine di sottolineare l’imminenza degli Ultimi Giorni. (Mark the Evangelist, 1969). S. G. F. Brondon, tuttavia, crede che il Vangelo di Marco fu scritto dopo il 70 d.C. (The Fall of Jerusalem and the Christian Church, 1951). Essi sono d’accordo che questa ribellione fu la causa della creazione del nostro primo Vangelo.

[16] R. M. Grant crede che il martirio di diversi apostoli – Pietro, Paolo e Giacomo – fra il 62 e il 64 d.C. e la morte naturale della maggior parte dei cristiani della prima generazione portò alla scrittura dei Vangeli (Historical Introduction to New Testament, 1972, p. 108.

[17] Cfr. M. Werner, Formation of Christian Dogma (1957).

[18] Cfr. N. Perrin, What is Redaction Criticism? (1969).

[19] M. Enslin crede che il Vangelo di Matteo fu scritto probabilmente ad Antiochia (The Literature of the Christian Movement, 1956, p. 402). Gerolamo riportò che il Vangelo di Luca ebbe origine in Grecia. Le tradizioni del II secolo associavano il Vangelo di Giovanni ad Efeso, ma alcuni studiosi credono che esso rispecchi il misticismo alessandrino.

[20] Eminenti critici delle redazioni sono R. H. Lightfoot, W. Marxsen, H. Conzelmann, G. Bornkamm e N. Perrin.

[21] Per un esame molto utile dei punti di vista contemporanei, cfr. l’antologia di Harvey K. McArthur, In Search of the Historical Jesus (1969).

[22] Per l’attitudine di Bultmann a questo riguardo si veda la sua lezione del 1959 in McArthur, pp. 161-163.

[23] N. Perrin, The New Testament, An Introduction (1974), p.303.

[24] Per un punto di vista differente e per quello della teologia dell’Unificazione, si veda la sezione sulla nascita da una vergine in Unification Theology and Christian Thought di Y. O. Kim (1976), pp. 127-131.

[25] Per un punto di vista molto scettico vedi M. Enslin, Christian Beginnings (1956), 145 pp. 149-153. J. Jeremias, New Testament Theology (1971) dà un’interpretazione generalmente più accettata, pp. 43-49.

[26] Molti cristiani sostengono che il ministero di Gesù durò 3 anni. Da dove è venuta questa idea? Non da Marco, Matteo o Luca. Secondo queste fonti, Gesù si trovò a Gerusalemme per la Pasqua soltanto una volta dopo l’inizio del suo ministero, anche se la legge ebraica del tempo richiedeva che tutti celebrassero questa festa nella Città Santa. Il quarto Vangelo, invece, fa riferimento a tre Pasque. Gv. 2:13, 6:4, 11:55). Allora il problema è se ci possiamo fidare di Giovanni o degli altri tre evangelisti più vecchi. Bornkamm ed altri si fidano della tradizione sinottica. Hans Küng dice che il ministero pubblico di Gesù durò al massimo tre anni, o forse solo un anno o pochissimi drammatici mesi (On Being a Christian, 1976, p. 150).

[27] H. Conzelmann, Jesus (1973), pp. 20-25.

[28] Vedi la lezione di Bultmann in McArthur, p. 161.

[29] Cfr. Ernst Fuchs, Studies of the Historical Jesus (1964), pp. 11-31; vedi R. H. Fuller, The New Testament in Current Study (1962), p. 34.

[30] G. Bornkamm, Jesus of Nazareth (1960), pp. 154-158.

[31] G. O’Collins, The Calvary Christ (1977), pp. ,39.

[32] Cfr. H. Küng, “Jesus in Conflict: A Jewish-Christian Dialogue”, Signposts for the Future (1978), pp. 64-87.

[33] Cfr. R. E. Brown, The Gospel According to John (1970), vol. 2, pp. 922-931.

[34] Bultmann insiste che Gesù appariva senza dubbio come un uomo mandato da Dio per predicare il messaggio escatologico della venuta del Regno. Perciò gli si può attribuire una consapevolezza profetica (C. E. Braaten e R. A. Harrisville, ed. The Historical Jesus and the Kerygmatic Christ, 1964, pp. 22-24).

[35] The Quest of the Historical Jesus, c. XIX.

[36] Vedi Jon Sobrino, Christology at the Crossroads (1967). Sobrino è un gesuita e teologo liberazionista, che insegna in El Salvador.

[37] J. Jeremias, New Testament Theology (1971), pp. 76-108.

[38] Ivi, pp. 99-100.

[39] Ivi, pp. 171-173.

[40] Ivi, p. 177.

[41] J. Jeremias, The Parables of Jesus (1972); C. H. Dodd, Parables of the Kingdom (1961).

[42] Cfr. J. Klausner, The Messianic Idea in Israel (1955) p. 392.

[43] Ivi, pp. 524-525.

[44] 1 Re 18:16-40.

[45] Opinioni rabbiniche sul ritorno di Elia sono descritte in J. Klausner, The Messianic Idea in Israel (1955), pp. 451-457 e nell’articolo “Elia” dell’EncycIopedia Judaica (1971), vol. VI, pp. 635-639.

[46] Tra gli scrittori sinottici soltanto Luca riporta storie sull’infanzia di Giovanni. Alcuni studiosi credono che questi racconti abbiano avuto origine in una setta battista ebraica che può aver ritenuto Giovanni il Messia. (W. R. Farmer, “John the Baptist”, Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol. II, p. 956).

[47] Per una visione di Giovanni degli studiosi contemporanei, si veda G. Bornkamm, Jesus of Nazareth, pp. 45-52. R. Grant, A Historical Introduction to the New Testament (1972), pp. 309-313, mette in evidenza le somiglianze fra Giovanni e la comunità del Qumran che ha prodotto i Papiri del Mar Morto. Si veda anche W. H. Brownlee, “John the Baptist in the New Light of Ancient Scrolls” in K. Stendhal, ed., The Scrolls and the New Testament (1957), pp. 33-53.

[48] E. C. Colwell, John Defends the Gospel (1936), pp. 31-39. Si veda anche R. E. Brown, The Gospel according to John (1966), vol. I, introduzione, pp. lxvii-lxx, una visione cattolica.

[49] Bultmann nota che Gv. 3:22-30 ha lo scopo negativo di escludere ogni possibile rivalità fra il Battista e Gesù, riflette la continua ostilità fra le sette cristiane e battiste ed illustra la disputa su come il battesimo di Giovanni è collegato al rito cristiano (The Gospel of John, 1971, pp. 167-175).

[50] M. Goguel, Life of Jesus (1954), pp. 308-399.

[51] Luca 13:31 racconta che Gesù fu avvertito di fuggire dalla Galilea perché Erode cercava di ucciderlo. Goguel conclude che il tetrarca dapprima tenne d’occhio i movimenti di Gesù e poi, quando vide che la sua fama si espandeva, decise di eliminarlo. (Ivi, p. 358).

[52] C. Guignebert, Jesus (1956), p. 226

[53] E. J. Goodspeed, A life of Jesus (1950), p. 130.

[54] Ivi, p. 134.

[55] H. Küng, On Being a Christian (1976), p. 319. In Marco l’opposizione a Gesù è riportata fin dal 2° capitolo.

[56] Per un punto di vista simile, si veda G. Bornkamm, Jesus of Nazareth, p. 153.

[57] Küng, op. cit., p. 319.

[58] Guignebert, op. cit., pp. 227-228

[59] Goguel, op. cit., p. 420.

[60] J. Sobrino, Christology at the Crossroads (1978).

[61] Secondo Sobrino, nel primo stadio della sua vita pubblica, Gesù credeva ed agiva in base alla sua fede ebraico-ortodossa nella venuta del Regno (Ivi, p. 92).

[62] Sobrino afferma senza mezzi termini che Gesù fallì nella sua missione così come l’aveva concepita precedentemente (Ivi, p. 93).

[63] Secondo Sobrino, la “crisi” galileana è documentata da Marco 8. I farisei chiedono adirati a Gesù di dimostrare chi egli è con un segno miracoloso (8:11). Persino i suoi discepoli non lo capiscono (8:21) e Gesù deve rimproverare Pietro come un agente di Satana (8:33). Mt. 13:11 riporta le parole di Gesù con cui egli accusa i farisei ed altri di non conoscere i misteri del Regno. Gv. 6:66 ci dice che molti seguaci di Gesù gli voltarono le spalle e non lo seguirono più (Sobrino, Ivi, p. 93).

[64] Ivi, p. 94. A causa di ciò che era successo, Gesù fu tentato di “chiudere il suo cuore alla missione”. Perciò subì un cambiamento radicale nel modo di concepire il suo lavoro. Non ebbe più fiducia nella venuta imminente del Regno, ma si affidò soltanto al potere dell’amore sofferente.

[65] Cfr. il saggio di Bultmann in McArthur, p. 163.

[66] Vedi il suo Der Exegat als Theologe (1968), pp. 160-170. Gli studiosi cattolici H. Kessler e A. Vogtle sono d’accordo.

[67] Isaia 53:3-4 “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori… Si è caricato delle nostre sofferenze”; Salmo 69:21 “Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto”; Salmo 22:1 “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

[68] Gesù stava semplicemente recitando un Salmo di cui Marco cita le prime parole (Salmo 22).

[69] W. Kasper, Jesus the Christ (1976), pp. 118-119.

[70] R. Bultmann, Jesus Christ and Mythology (1958), p. 14.

[71] J. Jeremias, per esempio, ordinariamente fa grande affidamento sull’aramaico della tradizione (cfr. New Testament Theology, pp. 3-8).

[72] J. Sobrino, Christology at the Crossroads, p. 184.

[73] Ivi, p. 218.

[74] R. Guardini, The Lord (1954), pp. 208-215.

[75] H. Küng, op. cit., pp. 341-342.

[76] Specialmente nel Vangelo di Giovanni. Cfr. C. Klein, Anti-Judaism in Christian Theology (1978) e G. Vermes, Jesus the Jew (1974).

[77] Küng, op. cit. 344-345.

[78] Jürgen Moltmann, per esempio, dichiara che la fede cristiana si regge in piedi o cade in base alla realtà della resurrezione di Gesù da parte di Dio. Una fede cristiana che non sia una fede nella resurrezione non si può chiamare né cristiana, né fede (Theology of Hope, 1967, pp. 165-166).

[79] Norman Pittenger afferma che la fede nell’immortalità si fonda in modo supremo sulla vittoria di Cristo sulla morte. (The Approach to Christianity, 1939, p. 121).

[80] Emil Brurmer scrive che l’apparizione di Gesù risorto riconduce assieme i discepoli esausti e dispersi dopo la catastrofe del Calvario e forma la reale fondazione per la chiesa cristiana (Dogmatics, 1952, p. 366).

[81] Ethelbert Stauffer definisce le apparizioni della resurrezione la prova che Dio aveva realizzato in Gesù le sue promesse dell’Antico Testamento e aveva portato il Suo Messia attraverso l’oscurità della notte, alla luce del giorno (New Testament TheoIogy, 1955, p. 136).

[82] Si vedano più avanti i nostri commenti sull’opinione di Wolfhart Pannenberg.

[83] W. Pannenberg, Jesus, God and Man, II ed. (1977), pp. 66-72.

[84] N. Perrin, The Resurrection According to Matthew, Mark and Luke (1977).

[85] Gli ebrei chiamavano la Galilea “Galilea dei gentili” a causa delle mescolanze di sangue dei suoi abitanti, dopo la conquista di Israele da parte degli Assiri ed anche perché i galilei raramente erano rigidi osservanti delle leggi della Torah.

[86] Lc. 24:27-30; At. 1:5.

[87] M. C. Perry, The Resurrection of Man (1975), pp. 18-39, considera l’evidenza parapsicologica. Per l’opinione dei protestanti liberali si veda Kirsopp Lake, The Historical Evidence for the Resurrection of Jesus Christ (1907) e Maurice Goguel, The Birth of Christianity (1953), pp. 30-81.

[88] Vedi Andre Malet, The Thought of Rudolf Bultmann (1969), pp. 155-162.

[89] H. Küng descrive i racconti della tomba vuota come “elaborazioni leggendarie del messaggio della resurrezione”. (On Being a Christian, p. 364).

[90] Per esempio, Tillich dice che la vita individuale concreta dell’uomo Gesù è elevata al di sopra della transitorietà nell’eterna presenza dello Spirito. Resurrezione quindi si riferisce alla “presenza spirituale” di Gesù, non al fatto che il suo corpo fu riportato in vita o che la sua anima individuale riapparse dopo la morte (Systematic Theology, vol. 11, p. 157).

[91] W. Marxsen, The Resurrection of Jesus of Nazareth (1970), pp. 16, 188. Cfr. il suo saggio in C. F. D. Moule, ed. The Significance of the Message of the Resurrectionfor Faith in Jesus Christ (1968).

[92] A. Richardson, An Introduction to the Theology of the New Testament (1958), p. 190.

[93] E. Brunner, Dogmatics, vol II, p. 372.

[94] C. Guignebert, Jesus (1956), pp. 490-536.

[95] Ivi, p. 490.

[96] Mc. 15:42-47; Mt. 27:57-61; Lc. 23:50-56; Gv. 19:38-42; At. 13:29.

[97] A. Harnack, New Investigations of Apostolic History (1911) p. 112. Anche H. Conzelmann, Outline of Theology of the New Testament (1969), p. 67.

[98] Guignebert, op. cit., p. 500.

[99] Eusebius, Life of Constantine 3:26 e l’Ecclesiastical History 1:17 di Socrate.

[100] E. Brunner conclude che la testimonianza originale della resurrezione non conteneva alcun riferimento alla tomba vuota ma si interessava solamente alle apparizioni di Gesù risorto. (Dogmatics, vol. II, p. 368).

[101] H. Von Campenhausen, The Events of Easter and the Empty Tomb, Tradition and Life in the Church (1968), pp. 42-89.

[102] Si veda anche il punto di vista del critico biblico tedesco Heinrich Holtzmann (m. 1910), che però è indirettamente contestato dal Vangelo di Matteo.

[103] Un punto di vista ebraico attaccato da Tertulliano.

[104] J. Klausner suppone che Giuseppe di Arimatea avesse rimosso di nascosto il corpo di Gesù e lo avesse sepolto in una tomba sconosciuta (Jesus of Nazareth, 1925, p. 357).

[105] Secondo Ireneo questo era l’insegnamento del cristiano gnostico Basilide.

[106] Cfr. G. Parrinder, Jesus in the Qu’ran (1977), pp. 108-113.

[107] Il problema di questa versione è che gli insegnamenti e il modo di vita di Gesù erano così diversi da quelli dell’ascetismo degli esseni che molto difficilmente sarebbe stato accettato da loro.

[108] Cfr. H. A. R. Gibb e J. H. Kramers, editori, Shorter Encyclopedia of Islam (1953), p. 24.

[109] Principi Divini, pp. 142-143.

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