IV. Teorie economiche marxiste (analisi e critica)
Introduzione
Il Capitalismo è un sistema che non può essere riformato, ma deve essere distrutto con la violenza. Questa era la conclusione fondamentale che Marx cercò di dimostrare per mezzo delle sue teorie economiche, chiaramente presentate ne “Il Capitale”. In questo testo Marx elabora la sua teoria del valore del lavoro e la teoria del plusvalore. Attraverso la teoria del valore del lavoro, Marx voleva dimostrare che solo i lavoratori producono valore. Attraverso la teoria del plusvalore, voleva dimostrare che il Capitalismo richiede sfruttamento e non può esistere senza di esso.
I marxisti considerano le teorie economiche espresse nel “Capitale” come una ricerca obiettiva sul funzionamento dell’economia nel mercato libero, ma non è così. Esse sono state sviluppate allo scopo di distruggere il sistema capitalista, non allo scopo di comprenderlo. Secondo Marx, tutti i tentativi di riforma che non siano la distruzione della proprietà privata dei mezzi di produzione e la conquista tramite la forza del potere politico da parte del proletariato non libereranno mai i lavoratori dalla “schiavitù capitalista del salario”.
Come osserva il noto studioso Leszek Kolakowski, la teoria del valore del lavoro e la teoria del plusvalore non trattano in modo pratico problemi riguardanti “la quantità di merci prodotta, il modo in cui vengono messe in vendita e distribuite, o perfino il problema dello sfruttamento”. Esse servono semplicemente per sollevare l’indignazione verso il fatto che l’unico produttore reale ottiene una parte così piccola del risultato del suo lavoro, mentre il capitalista, che contribuisce al valore con niente, rastrella i profitti avvalendosi del fatto di essere un proprietario”. A prescindere da questa interpretazione morale, Kolakowsky continua dicendo: “Non è chiaro in che modo la teoria dovrebbe far luce sul meccanismo dell’economia capitalista…” [1].
Il “Capitale” è una teoria economica costruita intorno alla condanna di un sistema. Come Mark Blaug, dell’Università di Londra, fa notare, “Dire che un economista è un economista marxiano significa in effetti dire che egli condivide il giudizio di valori che è socialmente indesiderabile, per alcune persone della comunità, ricavare le proprie entrate semplicemente dalla proprietà” [2].
Per avere successo, tuttavia, un sistema economico deve funzionare in accordo alla natura degli esseri umani. È in questo senso che il sistema prescritto dalle teorie economiche di Karl Marx è stato un fallimento totale. Allo scopo di condannare i capitalisti, Karl Marx ha messo se stesso in opposizione non soltanto alla borghesia, ma più significativamente alla natura umana stessa. Marx vedeva il lavoro umano come una merce, ed un essere umano come un meccanismo che produce quella merce. Ironicamente, il risultato è una teoria che esaspera le tragiche condizioni che Marx sperava di eliminare.
Quando vengono applicati i principi marxisti, e l’impresa privata, la produzione del profitto e il libero scambio delle merci sono considerati attività criminali, si produce un disastro economico. Sostenere un’economia a queste condizioni richiede l’uso continuo della forza e del terrore sulla popolazione. Nonostante tutte queste misure, il massimo che si può ottenere è il ristagno in confronto alle economie delle nazioni libere.
Sebbene le teorie economiche di Marx abbiano avuto, come dice Blaug, “virtualmente nessun effetto sul pensiero economico moderno”, esse, nondimeno, sono molto utili come propaganda, particolarmente nelle nazioni in via di sviluppo. Per questa ragione qui le esamineremo.
A. La teoria del valore del lavoro
1. Spiegazione della teoria
La teoria del valore del lavoro è il fondamento dell’economia marxista. Marx inizia con ciò che considera l’unità fondamentale del sistema economico: la merce. Secondo Marx, una merce è qualsiasi cosa che viene prodotta per essere scambiata. Perché avvenga tale scambio, tuttavia, la merce deve aver valore. In generale, la merce ha valore perché può soddisfare qualche desiderio umano.
La qualità che una merce deve avere per soddisfare il desiderio umano è l’utilità o valore d’uso. Marx afferma, però, che non possiamo trattare direttamente con il valore d’uso, bensì con un’altra qualità delle merci: il valore di scambio. Egli cercava un elemento quantitativo comune a tutte le merci che non fosse solo la misura del loro valore di scambio, ma anche la sua sola fonte. Egli concluse che questo era il lavoro usato per produrre la merce. Ogni merce deve passare attraverso un processo di produzione che richiede lavoro, ed è questo lavoro che dà valore alla merce. Marx affermò che la quantità di lavoro in una merce poteva essere misurata con il numero del le ore di lavoro spese per produrla.
Per esempio, se una camicia richiede tre ore di manifattura, il suo valore è di tre ore di lavoro. Se ne richiede sei, il suo valore è di sei ore di lavoro. Tuttavia, poiché la produttività dei singoli lavoratori può variare, è necessario fare la media del numero di ore di lavoro impiegate da tutti quei lavoratori nella società che producono quella merce. Questa media è una misurazione delle “ore di lavoro medie socialmente necessarie”.
a) Tipi differenti di lavoro
Marx faceva distinzione fra il lavoro utile e lavoro umano astratto. Il lavoro utile è variabile a seconda della particolare merce prodotta. Fare orologi è un tipo di lavoro, spaccare rocce per farne ghiaia è un altro. Marx asserisce che sebbene i vari tipi di lavoro utile non siano equivalenti, ognuno di essi richiede la funzione del cervello umano, dei nervi, dei muscoli e delle mani. Marx chiamò questo funzionamento “lavoro umano astratto”. Egli ritenne che tutti i tipi di lavoro utile potevano essere espressi in termini di lavoro umano astratto. Quando Marx si riferisce alla quantità di lavoro in una merce, si riferisce alla quantità di ore di lavoro umano astratto. Marx considerava il lavoro umano astratto la base del valore di scambio
Il lavoro umano astratto può essere ulteriormente definito come semplice, complesso, specializzato, non specializzato. Una merce prodotta con lavoro specializzato avrà il valore di alcuni multipli del valore di una merce prodotta nello stesso tempo con lavoro semplice. Questo è perché il lavoro specializzato, secondo Marx, richiede più forza e destrezza del lavoro semplice. Una piccola quantità di lavoro specializzato è equivalente ad una grande quantità di lavoro semplice. Secondo Marx, il lavoro specializzato si converte nel lavoro semplice equivalente quando le merci vengono scambiate nel mercato.
2. Critica della teoria del valore del lavoro
Secondo Marx, il valore di una merce è uguale al prezzo della merce. “Il prezzo così com’è non è che l’espressione monetaria del valore” [3]. Il prezzo quindi è semplicemente l’espressione in denaro della quantità di lavoro sociale compiuto sulla merce”. Il prezzo, il valore e la quantità di lavoro sono così identici. Il prezzo di una merce viene determinato una volta che essa passa attraverso un processo di produzione, e questo prezzo non può essere influenzato da nulla durante il processo di circolazione [4].
a) I prezzi non fluttuano intorno ad una quantità costante
Marx affermava che il prezzo di mercato effettivo fluttuava intorno al valore, ma in pratica, il prezzo non fluttua intorno a nessuna quantità costante. Si possono trovare, per esempio, merci uguali in vendita ad un’ampia gamma di prezzi. Questi prezzi non danno alcuna indicazione del lavoro richiesto per produrle.
Inoltre, oggi riscontriamo il fenomeno dell’inflazione: i prezzi salgono consistentemente anche se il lavoro richiesto per produrre le merci può in effetti diminuire. In generale, i prezzi sono influenzati da vari fattori: disponibilità, richiesta, regolamentazione governativa, ecc.
b) I prezzi non sono determinati prima dello scambio
Marx disse che il prezzo era determinato completamente nel processo di produzione. Continuò dicendo, tuttavia, che le conversioni fra ore di lavoro semplice e complesso venivano fatte nel mercato. Se la quantità di lavoro è determinata durante lo scambio, allora la quantità di lavoro è determinata del prezzo! Se la teoria del valore del lavoro fosse vera, queste conversioni dovrebbero avvenire prima dello scambio delle merci nel mercato [5].
c) Alcune merci non sono prodotte dal lavoro
Secondo la teoria del valore del lavoro tutte le merci sono prodotte dal lavoro. Se ci sono merci che hanno valore a prescindere dal lavoro, allora la teoria del valore del lavoro è invalidata.
Ci sono molte merci che non sono prodotte dal lavoro: ad esempio, le terre non coltivate o le zone forestali. Un altro caso è quando un oggetto naturale che abbia valore, come ad esempio la gemma, viene trovato per caso. Se si trova un compratore, la vendita di questa gemma avverrà ad un prezzo elevato, anche se chi l’ha trovata non l’ha prodotta col suo lavoro.
d) Marx riconobbe che l’essenza del valore della merce non era il lavoro, tuttavia tenne nascosto questo fatto
Marx diceva che il lavoro contenuto in una merce inutilizzabile non può avere alcun valore. In altre parole, anche se in un articolo può essere contenuto del lavoro, questo oggetto non può essere una merce se non ha utilità. Questo è ammettere che l’essenza del valore di una merce è l’utilità.
Inoltre, egli faceva giochi di parole usando frasi come “in conclusione, niente può avere valore se non è un oggetto di utilità”, e “se la cosa è inutile, lo è anche il lavoro in essa contenuto” [6]. Queste espressioni sono un tentativo di riconciliare la teoria del lavoro con il senso comune, ma sono insufficienti perché sono incompatibili con la regola che il valore è determinato dalla quantità di lavoro. Marx rifiutò di ammettere il semplice fatto che il valore d’uso è l’essenza del valore della merce.
e) Il valore d’uso è l’essenza del valore della merce
Perché si possano comprare e vendere delle cose, queste debbono corrispondere ad una domanda. L’uomo ha sempre avuto delle necessità base come il cibo ed i vestiti. Quando il sistema monetario si sviluppò, le necessità giornaliere giunsero ad essere considerate delle merci. Il significato fondamentale di merce, tuttavia, è qualcosa che soddisfi il desiderio umano, non che sia un articolo di scambio. Ogni merce può essere utile al consumatore e portare profitto al produttore. Quando l’utilità viene apprezzata dal consumatore, questa qualità viene generalmente indicata col termine “efficacia”. Quindi, l’efficacia è l’apprezzamento soggettivo della qualità oggettiva dell’utilità.
L’aspetto di una merce che interessa il produttore è la sua capacità di restituire profitto: la proficuità. Quindi, come risultato della relazione fra le merci e l’uomo, le merci hanno la duplice natura dell’efficacia e della proficuità. La qualità oggettiva che fa sorgere questi aspetti soggettivi è l’utilità, che dà all’uomo la possibilità di gratificare i propri desideri.
f) L’origine dell’utilità
Dio è l’origine di ogni potere creativo. Una merce che si trova in natura (p.es.: un materiale grezzo) è stato formato dall’attività creativa di Dio. Gli esseri umani sono figli di Dio e sono in grado di condividere la Sua attività creativa. Una merce manufatta giunge ad avere utilità grazie agli sforzi creativi dell’uomo.
Come il lavoro creativo di Dio, la produzione umana inizia con uno scopo. Qualcuno deve inventare e progettare il prodotto nelle caratteristiche e nella quantità che possano soddisfare i desideri ed il gusto del consumatore. Nel corso della produzione, le materie prime vengono trasformate secondo il progetto. Ciò richiede che i macchinari, la forza lavoro e lo sforzo amministrativo funzionino insieme.
La visione di Marx sostiene che ogni merce contiene un certo valore di scambio come risultato di una certa quantità di lavoro spesa. All’opposto, potremmo dire che una merce manufatta contiene valore d’uso come risultato dell’applicazione di alcune tecniche [7]. Sia i macchinari che la forza lavoro possono realizzare tecnicamente il processo di produzione.
Il lavoro semplice e specializzato usati nella produzione delle merci non sono sol tanto forze lavoro, ma anche “forze tecniche”. Le merci contengono forza tecnica espressa in forme utili all’uomo. La forza tecnica degli uomini e delle macchine viene tramutata in forme utili in modo simile a quello in cui un’onda elettromagnetica viene tramutata in suono da una radio. L’elemento quantitativo delle merci non è la quantità di lavoro, come Marx affermava, ma è piuttosto la forza tecnica trasformata in forme utili.
g) Il valore di scambio
L’utilità di queste forme non può essere direttamente e automaticamente in relazione al loro valore di scambio. Tuttavia, perché le merci siano vendute, dovrebbe esserne determinato il valore. L’essenza del valore della merce è il valore d’uso. Di conseguenza, per vendere delle merci, deve essere determinato il grado di valore d’uso, Marx negò che ciò si potesse fare. Egli insisteva nel dire che soltanto la quantità di lavoro di due merci poteva essere messa a confronto.
Non possiamo accettare questa posizione. Poiché lo scambio di merci è basato sull’utilità, la determinazione del costo di scambio dovrebbe essere basato anche sull’utilità. Il valore di uso innalza il profitto e l’efficacia che può essere valutata indirettamente sul mercato ed espressa in termini di valore di scambio. Questo avviene nel processo di fissaggio del prezzo.
h) Il fissaggio dei prezzi sul mercato
Lo scambio richiede che il produttore ed il consumatore giungano ad un accordo nella valutazione del valore d’uso di una merce. L’apprezzamento dell’utilità che fa il consumatore è in termini di efficacia. L’efficacia è l’apprezzamento soggettivo del consumatore di quanto è utile a lui il prodotto.
L’apprezzamento dell’utilità fatto dal produttore è in termini di proficuità. La proficuità è l’apprezzamento soggettivo del produttore di quanto è utile per lui il prodotto, in termini di resa di profitto.
L’effetto umano dell’utilità è la soddisfazione. La soddisfazione è un’esperienza soggettiva che l’individuo deve misurare e valutare da sé. Il consumatore deve paragonare la soddisfazione connessa all’acquisto di una certa merce, con la cessione di una certa somma; il produttore deve paragonare la soddisfazione connessa all’acquisto di una certa somma di denaro, con la rinuncia al suo prodotto. Quando queste somme di denaro sono uguali, quando cioè, i simboli della soddisfazione, espressi come prezzo, appagano entrambi, avviene la transazione.
Naturalmente, anche al prezzo concordato, il grado di soddisfazione delle due parti può differire, perché la soddisfazione è una sensazione umana soggettiva.
i) Il profitto
Nel funzionamento attuale del mercato, il produttore di solito fissa i prezzi sulla base dei costi di produzione e sul profitto desiderato. Il consumatore valuta se la merce gli fornirà l’utilità o no che può giustificare il prezzo richiesto. Se giudica che può farlo, allora farà l’acquisto. Quando il costo di produzione è minore del prezzo di mercato, viene ricavato un profitto.
Il profitto che si ricava durante la transazione sul mercato dovrebbe, secondo noi, essere correttamente distribuito fra tutti quelli che hanno partecipato
3. L’impatto della teoria del valore del lavoro in Unione Sovietica
Prima di esaminare la teoria del plusvalore, prendiamo in considerazione il caso dell’Unione Sovietica, dove la teoria del valore del lavoro è stata resa legge ed è stata disastrosa per l’economia.
L’economia sovietica ufficiale non permette il fissaggio dei prezzi e il libero scambio delle merci sul mercato. La produzione viene pianificata in modo centralizzato; le fabbriche dipendono, per le forniture di materie prime, dai pianificatori centrali, che fissano anche le loro quote di produzione. Il processo di produzione, così, è isolato dai segnali provenienti dai consumatori che mostrano i loro desideri e bisogni. Il risultato è inefficienza e impossibilità di soddisfare le esigenze dei consumatori.
Lawrence Minard e James W. Michaels hanno descritto i mali della pianificazione centrale in un articolo su “Forbes”:
Ad Alma Ata visitiamo una fabbrica di tappeti. È diretta da una donna vispa ed efficiente, Klara Nijasbayeva. Secondo lo standard americano la fabbrica è piuttosto piccola, produce circa 1 milione di metri quadri all’anno con 1100 lavoratori. Di tappeti c’è grande richiesta in Unione Sovietica e questi sembrano di buona qualità. Nijasbayeva dice che potrebbe facilmente vendere più volte l’attuale produzione se disponesse del capitale e della manodopera. Sta avendo problemi anche nel mantenere gli operai. Chiediamo perché non alza il prezzo dei tappeti al livello che il mercato può sostenere: in questo modo la fabbrica potrebbe ricavare del denaro in più per espandersi, per ordinare materie prime e ottenere lavoratori provenienti da altre fabbriche. La direttrice scuote la testa: “Niet, niet. Ciò non sarebbe corretto verso i lavoratori delle altre fabbriche. Un lavoratore sfrutterebbe l’altro”. In teoria nessuno viene sfruttato, ma pochi riescono ad ottenere un tappeto. Coloro che ci riescono probabilmente hanno corrotto l’impiegato di un negozio.
Nel frattempo, lana e lavoro che avrebbero potuto essere usati per fare dei tappeti molto richiesti sono invece usati per fare delle giacche scadenti che restano appese nei grandi magazzini GUM di Mosca senza che nessuno le compri [8].
a) Argomenti empirici contro un’economia basata sul valore del lavoro e pianificata in modo centralizzato
È interessante notare che all’interno dell’Unione Sovietica, quasi tutte le terre agricole sono controllate dallo Stato. Tuttavia, la maggior parte degli agricoltori sovietici hanno accesso anche a piccoli appezzamenti privati che comprendono meno del 4% della terra arabile del paese. Secondo una stima, questi appezzamenti producono il 25% del raccolto totale dell’Unione Sovietica, una proporzione enorme in confronto ai settori collettivi e statali [9]. Chiaramente, il sistema sovietico non riesce a dare alle persone l’incentivo necessario a lavorare per lo Stato.
Un altro esempio è la Cina. Verso la fine degli anni ‘70, Zhao Ziyang, il primo segretario del partito comunista nella provincia di Si Chuan, cominciò un esperimento dove permetteva a sei fabbriche di trattenere una parte dei propri profitti. Esse potevano usare quel profitto per nuovi investimenti, nuove attrezzature o allo scopo di distribuire dei compensi extra ai lavoratori. Potevano anche introdurre direttamente sul mercato ogni prodotto in più, o diversificarli in nuovi prodotti e cercare mercati d’esportazione. Inoltre, avevano il di ritto di compensare i lavoratori produttivi e di punire quelli improduttivi. Oggi quel programma si è esteso da 6 a 6600 fabbriche, che comprendono più del 45% della produzione industriale nazionale.
b) L’economia sovietica oggi
Dal 1951 al 1955 il PNL sovietico ha avuto un tesso annuale di crescita del 6%. Questo tasso, d’allora, è costantemente diminuito. Dal 1976 al 1980, il tasso di crescita dell’economia sovietica era inferiore al 3% [10].
Oggi l’Europa Orientale ha un debito di 80 miliardi di dollari verso il mondo occidentale. Molti dicono che se l’Occidente dovesse cessare i suoi aiuti, il crollo di queste economie sarebbe solo questione di tempo.
Perché il blocco sovietico ha dei problemi economici cosi grandi? Essenzialmente, ciò deriva dall’adesione dogmatica dell’Unione Sovietica ai principi economici marxisti. Per nascondere l’inefficienza del sistema economico marxista, i suoi aderenti hanno optato per la corruzione.
In “URSS: la società corrotta” Konstantin Simis fa notare che in Unione Sovietica non c’è posto per chi non accetta la corruzione. La stessa cosa viene riferita da Ilja Zemtsov in “La corruzione in Unione Sovietica”. Simis pone in rilievo che all’interno dell’Unione Sovietica chiunque sia veramente onesto nel mostrare le ragioni per cui non può realizzare le quote di produzione è visto come un nemico dello Stato.
Simis cita l’esempio di una fabbrica di elettrodomestici dalla quale il governo si aspettava che superasse in quell’anno la quota di produzione. Quando si arrivò agli ultimi giorni prima della scadenza, apparve chiaro che l’obiettivo non poteva essere raggiunto. Per poter nascondere ciò, la direzione raccolse gli elettrodomestici di tutte le persone del villaggio in cui la fabbrica si trovava, li fece ridipingere e li presentò come parte della produzione annuale. Qualche giorno dopo gli elettrodomestici furono tutti restituiti ai loro proprietari.
Come risultato di questa impresa, il direttore della fabbrica ricevette una posizione più alta nel governo. Oltre ad un grande premio, il suo vice divenne il direttore della fabbrica e anche i tecnici ricevettero un premio piuttosto alto. I lavoratori ricevettero delle lodi e una serata in cui ebbero I ‘opportunità di ubriacarsi
In “Analisi di uno spettro”, il sovietologo francese Alain Besançon conclude che l’economia sovietica è, in effetti, un disastro. Besançon osserva, per esempio, che i sovietici si vantano di essere i più grandi produttori di acciaio del mondo, ma non è per niente chiaro dove va a finire tutta la produzione di 145 milioni di tonnellate di acciaio. Questa quantità è equivalente alla produzione congiunta del Giappone e della Germania che insieme fabbricano 12 milioni di automobili. Ma l’Unione Sovietica produce all’anno meno automobili della Spagna, ha un sistema ferroviario solo di poco più esteso di quello dell’India, ha meno autostrade della Francia e perfino, in termini di armamenti, la sua produzione di carri armati non può consumare più di pochi milioni delle tonnellate d’acciaio che essa dichiara di produrre.
Besançon conclude che questi 145 milioni di tonnellate rappresentano, prima di tutto, la produzione di acciaio effettivo; in secondo luogo, la produzione di acciaio inferiore; in terzo luogo, la produzione di acciaio di scarto; in quarto luogo, la produzione di acciaio per ruggine; in quinto luogo, la produzione di pseudo-acciaio e, infine, la pseudo-produzione di acciaio.
Anche la nozione che l’Unione Sovietica sia la seconda potenza economica del mondo è un mito. Besançon fa notare che l’Unione Sovietica ha meno telefoni della Spagna e meno automobili del Brasile. Lussi come computers o perfino le fotocopiatrici sono virtualmente sconosciuti.
Besançon ridicolizza l’idea che “l’URSS abbia “un livello di vita un po’ più alto di quello della Spagna”. Sebbene il lavoratore spagnolo possa aver bisogno di lavorare quasi la stessa quantità di tempo del suo collega russo per potersi comprare un televisore, un paio di scarpe o un’aspirapolvere, Besançon nota che ci sono delle ovvie differenze. Nel caso dell’URSS, stiamo parlando del tipo di televisore che “uno comprerebbe al mercato delle pulci”. Quando parliamo di scarpe, stiamo “parlando del tipo di -scarpe che persino un lavoratore marocchino immigrato si rifiuterebbe di mettere”. Quando parliamo di aspirapolvere, stiamo parlando di un aggeggio che funziona soltanto “quando lo prendete a calci”.
Besançon suggerisce che, invece della Spagna, potrebbe essere più appropriato dire che l’URSS ha “un livello di vita un po’ più alto di quello del Bangladesh”.
B. La teoria del plusvalore: La teoria di Marx sullo sfruttamento
Per rendere assoluta la sua condanna del sistema capitalista, Marx fece ricerche sul processo di manifattura e di compravendita per determinare dove nasce il profitto. Egli considerava il processo di mani fattura e di compravendita, insieme, come un sistema che genera profitto costantemente. Perché sia generato del profitto ci deve essere qualche punto in cui arriva nel sistema più valore di quanto ne esca, e Marx affermava di aver scoperto dove era quel punto.
Egli tentò di provare che l’unico elemento che dà più di quanto riceve è il lavoratore. Cercò di dimostrare che soltanto il lavoratore poteva produrre valore, e solo il lavoratore poteva generare profitto, che egli chiama plusvalore.
1. Spiegazione della teoria
Come abbiamo visto, Marx non riconosceva la variazione di prezzi del mercato libero. Egli affermava che i prezzi fluttuavano intorno a dei “valori reali”, la qualità di lavoro contenuta in una merce. Sosteneva che così il profitto non veniva prodotto vendendo le cose per più del loro valore. Ciò avrebbe significato soltanto che un produttore stava prendendo da un altro. Che la società capitalista sia basata sul profitto significa che ogni produttore deve ricavare un profitto. Quindi, il profitto non si forma durante il processo di circolazione.
La circolazione, o lo scambio di merci, non genera alcun profitto [11].
I profitti si ricavano vendendo delle merci non al di sopra, bensì al loro reale valore [12].
In altre parole, se una camicia ha un valore di 6 ore di lavoro, essa deve essere venduta a quel valore sul mercato. Marx sosteneva che il profitto non nasce sul mercato, e deve essere già generato prima che una merce venga venduta.
a) Il capitale costante
Marx affermava che poiché il profitto non viene dalla circolazione, deve venire o dalle materie prime, dai macchinari o dal lavoro. Marx definiva il capitale investito nelle materie prime e nei macchinari come “capitale costante”, cioè capitale incapace di generare profitto. Affermava che durante il processo di manifattura nessun valore addizionale veniva ad accumularsi alle materie prime stesse. Per esempio, la stoffa di una camicia non è sottoposta ad alcun mutamento in valore quando viene lavorata.
Inoltre il macchinario, secondo Marx, può trasmettere al prodotto manufatto soltanto una quantità di valore eguale alla perdita di valore che subisce nel processo di produzione. Cioè, man mano che la macchina si logora, essa trasferisce il suo valore nei prodotti che sta producendo. Ciò avviene in modo tale che quando è ormai consumata, essa ha trasferito esattamente il suo valore originale ai prodotti manufatti.
Se ora consideriamo il caso di uno strumento di lavoro durante l’intero periodo del suo servizio, dal giorno del suo ingresso nell’officina, fino al giorno in cui viene relegato nel ripostiglio, troviamo che durante questo periodo il suo valore d’uso è stato completamente consumato, e perciò il suo valore di scambio è stato completamente trasferito nel prodotto [13].
Ciò significherebbe che una macchina per fabbricare camicie deve trasferire esattamente il suo valore (diciamo 1 milione) nelle camicie che produce. Se essa farà 1000 camicie prima di consumarsi, allora avrà trasmesso a ciascuna il valore di 1000 lire e non le rimarrà più alcun valore.
Marx basava questo concetto sulla pratica commerciale dell’ammortamento dei macchinari, che consiste nel mettere da parte, con frequenza regolare, delle somme di denaro che avrebbero permesso l’acquisto di una nuova macchina quando la macchina in uso sarebbe divenuta completamente logora o sorpassata.
Avendo così classi ficato le materie prime ed il macchinario come “capitale costante”, Marx conclude che il plusvalore deve nascere solo dal lavoro. Solo il capitale con cui vengono pagati i lavoratori è “capitale variabile” (capitale che può generare profitto). Marx concluse che soltanto la forza lavoro produce profitto.
b) Il valore della forza lavoro
Marx affermava che il lavoro fa nascere profitto nonostante il fatto che gli scambi, anche gli scambi di salario contro lavoro, sono sempre scambi fra merci di ugual valore. Egli diceva che nel caso del lavoro, il lavoratore vende la sua forza lavoro al suo valore: il valore del lavoro necessario a produrla. Marx sosteneva che il lavoro necessario per produrre la forza lavoro era il lavoro che era stato usato per produrre i beni di prima necessità che il lavoratore consuma. Questi beni permettono al lavoratore di sopravvivere e di generare figli che diventeranno poi anche essi dei lavoratori.
Il valore di questi beni vitali è il valore della forza lavoro che il lavoratore vende al capitalista. Secondo questo ragionamento, il salario che il capitalista paga al lavoratore è semplicemente il “salario necessario”: il salario di cui si ha bisogno per comprare i beni di prima necessità.
Se un lavoratore ha bisogno di 100.000 lire al mese per sopravvivere, il capitalista gli dà una paga di 100.000 lire al mese. Pagando il “valore” del suo lavoro, il capitalista ha diritto ad estrarre quanto più lavoro può dal lavoratore durante quel mese. È limitato soltanto dai limiti fisici del lavoratore e dalle varie costrizioni che il governo o alcuni movimenti umanitari “utopistici” impongono.
Il capitalista ricava profitti, secondo Marx, perché la forza lavoro è una merce molto insolita. Non soltanto ha un valore definito, ma ha dentro di sé la capacità di generare nuovo valore. Così, il capitalista può acquistare una certa quantità di forza lavoro, che a sua volta fa nascere un plusvalore: la fonte del profitto.
In altre parole, anche se il lavoratore riceve il valore di ciò di cui ha bisogno, genera più valore di questo. In un- mese può ricevere 100.000 lire. Nello stesso mese, però, può produrre 100 camicie che generano ognuna 2.000 lire di valore. In questo modo ha generato un valore di 200.000 lire, quindi le 100.000 lire in più sono il plusvalore.
Interpretando il processo in questa maniera, Marx è in grado di affermare che lo sfruttamento è una parte inevitabile del Capitalismo. Il capitalista compra la forza lavoro del lavoratore per una parte della giornata di 24 ore il più lunga possibile in cui gli riesca di costringere il lavoratore a lavorare. Durante questo lasso di tempo, tuttavia, il lavoratore rende al capitalista una quantità di forza lavoro più grande di quella richiesta per sostenere la sua vita per un giorno (Marx diceva che il salario del lavoratore consisteva sol tanto in quanto era necessario per mantenerlo vivo per un giorno). Questo significa che il lavoratore genera un valore più grande di quello del salario. Marx chiamava questa quantità addizionale di valore il “plusvalore”, volendo con ciò dire che apparteneva di diritto al lavoratore, ma era preso dal capitalista.
Poiché il capitale che il capitalista usa per pagare i salari ai lavoratori è in grado di dar luogo a profitto (plusvalore), Marx chiamò questo capitale “capitale variabile”.
2. Critica della teoria del plusvalore
a) Scopo della critica
Marx, con la sua critica del sistema capitalista, aveva la chiara intenzione di spronare la comunità intellettuale a fare appello alla rivoluzione violenta come l’unico metodo d’azione possibile, creando così un clima adatto alla rivolta proletaria. Affermò che questa rivolta avrebbe risolto per sempre lo sfruttamento. Una volta ancora, dobbiamo far notare che in tutte quelle aree del mondo in cui ciò è avvenuto, lo sfruttamento dei lavoratori non è stato risolto, ma ha raggiunto vette impensabili.
Noi, che abbiamo ancora la libertà, ci troviamo ora di fronte al duplice compito di porre termine allo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e fermare l’avanzata distruttiva del marxismo.
Per porre fine all’espansione della dottrina marxista riguardo il plusvalore (e la sua conseguente estensione ai concetti di imperialismo e guerre di liberazione nazionale), dobbiamo offrire una critica della teoria del plusvalore. Se può essere dimostrato che la forza lavoro non è l’unica fonte di profitto, allora la teoria crollerà. Ciò può essere fatto mostrando che il capitale investito nel macchinario e/o nelle materie prime non è capitale costante. Allora, esaminando il modo in cui il profitto viene a generarsi, potremo proporre una vera soluzione allo sfruttamento.
La teoria del plusvalore si basa su due postulati fondamentali: (A) il macchinario e le materie prime contribuiscono esattamente con il loro valore di scambio al valore delle merci che si producono da essi (il capitale investito nelle macchine e nelle materie prime è capitale costante). (B) La forza lavoro è una merce e il valore di questa merce è il valore dei beni di prima necessità necessari per sostenere il lavoratore che produce la forza lavoro.
b) L’errore del capitale costante
In breve, non c’è niente di costante nel capitale che viene investito in macchinari o materie prime. Questo capitale può produrre profitti, può ristagnare o può andare completamente perso. Per esempio, il fabbricante di camicie compra della stoffa di cotone. Se la compra quando ce ne è eccedenza, il prezzo sarà basso, e potrà trarre profitto dall’acquisto stesso. D’altra parte, se compra una stoffa di scarsa qualità, è destinato a perdere.
Acquistare macchinari è simile. L’imprenditore che fabbrica camicie ha varie opzioni riguardanti l’acquisto di attrezzature. Se compra una macchina eccellente con caratteristiche innovative, essa funzionerà egregiamente, tutto a suo vantaggio. Se ne compra una dozzinale, probabilmente andrà in perdita.
Non c’è alcuna base per poter sostenere la dottrina che i macchinari trasferiscono ai materiali che vengono prodotti solo il valore uguale al proprio prezzo.
La pratica dell’ammortamento in realtà non ha niente a che fare con il logorio di una macchina mentre essa viene usata. Deprezzamento di una macchina significa che il suo valore di scambio diminuisce. Tuttavia, l’utilità di una macchina è la sua capacità di funzionare e di produrre. Il valore di scambio può esaurirsi completamente (cioè la macchina può non valere niente sul mercato) anche se la macchina continua a funzionare e a produrre. Una macchina per fabbricare camicie che ha 10 anni può avere un valore di scambio di 0 lire, tuttavia produrrà ancora camicie. Logicamente, Marx avrebbe dovuto occuparsi del problema di come una macchina trasferisce il suo valore d’uso alle merci che produce, ma non lo fece.
Il proprietario della fabbrica introduce nuovi macchinari per raggiungere una capacità produttiva più alta. Oggi ci sono fabbriche completamente automatizzate che offrono un profitto molto alto. La produzione di valore è il preciso scopo del macchinario, ed è fuori questione che il macchinario produca profitto.
Si dovrebbe notare che Marx dà per scontato che le merci, una volta che sono prodotte, possono essere vendute. In un sistema di mercato libero, non esiste una tale garanzia. Quindi, c’è sempre un elemento di rischio che colui che investe deve essere disposto ad affrontare (in una economia pianificata in modo centralizzato sullo stile sovietico, invece, la ricerca di mercato è fondamentalmente il problema di costringere le persone a comprare qualsiasi cosa venga prodotta. Perfino così, però, rimangono delle eccedenze invendute).
c) Il plusvalore relativo
Quando divenne evidente che la crescente meccanizzazione delle fabbriche aveva l’effetto di diminuire la quantità di lavoro umano richiesta per produrre merci, e quando la giornata di lavoro fu ridotta a causa delle pressioni da parte delle organizzazioni dei lavoratori, dei riformatori e del governo, Marx si trovò di fronte a delle prove che confutavano la sua teoria. Piuttosto che ritrattarla, tuttavia, la elaborò ulteriormente, sviluppando il concetto di “plusvalore relativo” [14].
Questo concetto sostiene che anche se la giornata lavorativa può essere accorciata, la frazione della giornata in cui il plusvalore è prodotto viene ad essere più produttivo. Questo è perché l’introduzione dei macchinari rende possibile al lavoratore produrre in tempo più breve la quantità di valore necessaria a lui per continuare a sopravvivere. Che è come dire che l’introduzione dei macchinari rende le merci meno costose. Ciò diminuisce il valore dei beni di prima necessità e perciò diminuisce il valore ed il costo del lavoro.
d) Critica del plusvalore relativo
Secondo Marx le ore di lavoro necessarie sono quelle richieste per la produzione di merci il cui valore è uguale al valore dei beni di prima necessità necessari per mantenere in vita un lavoratore. Poiché il macchinario produce profitti con meno lavoro, i prezzi dei beni di prima necessità diminuiscono. Ciò significa che le ore di lavoro necessarie diminuiscono quando viene introdotto il macchinario.
Tuttavia, se questo succede, anche i salari dovrebbero diminuire (Marx predisse questo). In realtà i salari sono aumentati, e allo stesso tempo sono aumentate sia la qualità che la quantità delle merci che un lavoratore può acquistare. Nonostante vengano introdotte nuove macchine, i salari non sono ridotti. I lavoratori ora possono comprare cose che non hanno mai posseduto prima. In generale, il livello di vita dei lavoratori è migliorato proporzionalmente alla crescita economica e allo sviluppo culturale della società.
e) La forza lavoro non è una merce
A causa di una eccessiva enfasi sui valori materiali, la società occidentale può considerare la forza lavoro in modo impersonale e compiere freddi calcoli sul prezzo dell’impiego umano, ma questo non significa che la forza lavoro è veramente una merce.
Per essere una merce, anche usando i termini di Marx, un articolo deve essere prodotto per lo scambio, e deve avere sia valore d’uso che valore di scambio. Quando esaminiamo la forza lavoro, tuttavia, troviamo che: (A) essa non è prodotta allo scopo di uno scambio, (B) non ha valore d’uso, (C) non ha valore di scambio.
primo, la forza lavoro non è prodotta allo scopo di compiere uno scambio. Quello che Marx ha chiamato forza lavoro può essere vista come appartenente al gruppo più generale delle attività umane. Queste attività sono la manifestazione del potere creativo umano, del quale la forza lavoro è il risultato della creatività e della personalità umana innate.
Questa forza della vita umana non è prodotta per lo scambio: è la manifestazione della vita umana stessa. Se dovessimo parlare di uno scopo di questa forza, dovremmo parlare dello scopo stesso della vita dato all’uomo dal Creatore. Nella visione del mondo di CAUSA, abbiamo considerato questo scopo come il conseguimento della soddisfazione e della gioia nella dimensione più grande possibile.
Il concetto che Marx aveva dell’uomo-come-macchina consente la soddisfazione della sola dimensione materiale. Se consideriamo l’universo come la fusione di dualità duali, l’interno e l’esterno o lo spirituale e il fisico, possiamo vedere che il marxismo si occupa soltanto di un quadrante: l’esterno e il fisico. Il marxismo permette soltanto una visione di valori molto ristretta.
Secondo, la forza lavoro non ha valore d’uso. Perché la forza lavoro abbia valore d’uso, secondo Marx, dovrebbe essere prodotta da lavoro utile. Quale lavoro utile produce la forza lavoro umana? Il lavoro è necessario per avere ciò di cui c’è bisogno per vivere, ma sarebbe estremamente impreciso pensare che ciò sia sufficiente per produrre, a sua volta, forza lavoro umana. Non si può dire che la forza lavoro è prodotta tramite lavoro utile, e quindi non le si può attribuire il valore d’uso.
Terzo, la forza lavoro umana non ha un valore di scambio. Di nuovo, Marx diceva che il valore di scambio di una merce è la somma totale dei valori dei generi di prima necessità consumati dal lavoratore. Tuttavia, ciò produrrebbe un certo numero di inammissibili anomalie. Per esempio, un lavoratore che consumasse più cibo (o cibi esotici che richiedono più lavoro per essere prodotti) dovrebbe rendere una forza lavoro di maggior valore di scambio. Ciò chiaramente non accade. La specializzazione e la complessità del lavoro resi da un lavoratore sono indipendenti dal prezzo di ciò di cui ha bisogno per vivere.
3. Come si produce il profitto?
La realizzazione del profitto richiede un processo di due fasi riguardanti sia la manifattura che la compravendita.
a) Il processo di manifattura
È del tutto chiaro che gli esseri viventi hanno una forza che permette loro di esistere, agire e moltiplicarsi. In generale, possiamo chiamarla “forza della vita”. Nell’uomo, questa forza è altamente sviluppata.
La forza creativa degli animali è meramente istintiva, mentre quella umana ha aspetti sia tecnici che istintivi. Nella produzione, la forza della vita umana viene applicata per generare prodotti utili. Questo si fa direttamente attraverso il lavoro manuale, o indirettamente attraverso i macchinari. In entrambi i casi è la forza creativa tecnica dell’uomo che consente la manifattura dei prodotti utili.
Il macchinario non è semplicemente metallo. È forza creatrice tecnica simile alla forza lavoro stessa. Attraverso l’applicazione del potere creativo tecnico nel processo di produzione, vengono prodotti articoli utili che possono essere posti in vendita. Questo è un processo altamente cooperativo che comporta il contributo di un gran numero di persone che hanno varie funzioni e posizioni, come il lavoratore, l’imprenditore, il finanziatore, l’inventore, l’acquirente, la segretaria, ecc. Attraverso questi sforzi cooperativi, vengono prodotte merci utili che vengono messe in vendita sul mercato.
b) Il mercato
Il mercato rappresenta la seconda fase nella produzione del profitto. Il profitto è il prezzo meno i costi. Tuttavia, possiamo dire che il profitto è il compenso che la società ritorna al produttore per aver aumentato la ricchezza sociale creando prodotti utili. La libera natura del mercato fa sì che nessun acquirente selezioni un prodotto se non pensa che la soddisfazione che quel prodotto gli darà meriti la spesa del prezzo richiesto. I consumatori comprano le merci solo quando sono soddisfatti del prezzo.
Noi non condividiamo l’opinione di Marx che la produzione di profitto sia un crimine. Lo sfruttamento non sta nell’illecita produzione di profitto, ma piuttosto nell’ingiusta distribuzione di quel profitto. Il profitto dovrebbe essere condiviso fra i lavoratori, gli imprenditori, i finanziatori, gli acquirenti, le segretarie, i venditori e tutte le persone che contribuiscono a generare valore e ad aumentare la ricchezza sociale.
I lavoratori, nella società capitalista, non sono sempre pagati male. Possono essere pagati male, correttamente o pagati troppo. Il sistema in sé non determina se i lavoratori sono sfruttati o no.
4. “A ciascuno secondo le proprie necessità”
Nella “Critica al programma di Gotha”, Marx predisse che in una società comunista, la gente avrebbe agito sulla base del principio: “da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo le proprie necessità”.
L’ideale di dare a ciascuno secondo le proprie necessità e di chiedere da ciascuno secondo le proprie capacità sembra ammirevole, tuttavia è irraggiungibile. Come si possono misurare le necessità di un altro essere umano? Le necessità umane sono virtualmente infinite. Allo stesso modo, anche le capacità umane sono virtualmente infinite. Forse Dio può accertare le nostre necessità e capacità, o possiamo accertarle noi stessi, ma di certo nessun altro (ad esempio lo stato) può farlo.
Oggi, molti anni dopo la realizzazione del Comunismo, l’Unione Sovietica non è riuscita a soddisfare nemmeno i bisogni essenziali del suo popolo. Nell’Unione Sovietica, oggi, c’è gente che soffre di malattie ormai quasi sconosciute in occidente. Per esempio, ci sono ancora molti bambini affetti da rachitismo o carenza di vitamina D. In una grande città sovietica, a metà degli anni ‘70, il 37,1% di tutte le morti infantili era dovuto a rachitismo [15].
La situazione del lavoratore sovietico è miserabile. Tuttavia, esiste un gruppo di persone all’interno dell’Unione Sovietica che sta molto bene. Michael Voslensky ne “La Nomenklatura” giunge alla conclusione che in Unione Sovietica è emersa una nuova classe. È una classe corrotta e sfruttatrice composta dai burocrati sovietici.
Mentre i lavoratori continuano ad avere un basso livello di vita, i membri del la “Nomenklatura” hanno ville, automobili lussuose, yachts e scuole private. André Gide previde questa situazione già nel 1937. Originariamente ispirato dagli ideali del marxismo, ritornò deluso dall’URSS e scrisse:
La scomparsa del capitalismo non ha portato libertà ai lavoratori sovietici; è fondamentale che il proletariato all’estero si renda pienamente conto di ciò. Naturalmente, è vero che non sono più sfruttati dai capitalisti, ma nondimeno essi sono sfruttati, ed in una maniera così sottile e tortuosa, che non sanno più con chi prendersela. La maggioranza di essi vive al di sotto del livello di povertà, e sono le loro paghe da fame che consentono ai lavoratori privilegiati, gli accondiscendenti lacchè, di avere delle buste paga ben gonfie. Non si può fare a meno di rimanere scioccati dall’indifferenza mostrata da chi è al potere verso i propri inferiori, e dal servilismo e ossequiosità da parte di questi ultimi, stavo per dire i poveri.
Ammesso che non ci siano più classi né distinzioni di classe in Unione Sovietica, tuttavia i poveri sono rimasti, e ce ne sono fin troppi. Avevo sperato di non trovarne nessuno, o più esattamente, era proprio allo scopo di non trovarne nessuno che sono andato in Unione Sovietica. Ma la povertà che c’è è espressa con gli sguardi; si potrebbe pensare che sia sconveniente e criminale ma non suscita pietà o carità, solo disprezzo. Coloro che fanno sfoggio di se stessi così orgogliosamente sono coloro la cui prosperità è stata comprata al prezzo di questa infinita povertà. Non è che faccia obiezione alla diseguaglianza fra i salari, sono d’accordo che è una misura necessaria ed inevitabile, ma ci dovrebbe essere qualche modo per alleviare le disparità più notevoli.
Temo che tutto questo significhi un ritorno ad una certa forma di classe borghese lavoratrice, grati ficata e quindi conservatrice, troppo simile, per i miei gusti, alla borghesia meschina di casa mia. Ne vedo già i sintomi. Non c’è dubbio che tutti i vizi e le debolezze della borghesia siano tuttora latenti, nonostante la Rivoluzione, in molti. L’uomo non può essere riformato dall’esterno, è necessario un cambiamento del cuore, ed io mi sento in ansia quando in Unione Sovietica osservo come vengono lusingati e incoraggiati tutti gli istinti borghesi, e tutti i vecchi strati della società che formano di nuovo, se non proprio classi sociali, senz’altro un nuovo tipo di aristocrazia, e non un’aristocrazia dell’intelletto o della capacità, ma un’aristocrazia di benpensanti e conformisti. Alla prossima generazione potrà benissimo essere un’aristocrazia del denaro. Sono le mie paure esagerate? Lo spero sinceramente [16].
Le paure di Gide non erano esagerate. Questa eclatante discrepanza fa ricordare una delle condizioni che incitarono Marx ed Engels a scrivere il “Manifesto Comunista”.
C. Lo sfruttamento nel sistema del mercato libero
Abbiamo visto che il sistema economico presentato da Marx è incapace di produrre progresso umano, economico o altro. E si può capire il perché, visto che Marx non sviluppò il suo sistema studiando oggettivamente il modo in cui gli esseri umani si comportano. Al contrario, era deciso a distruggere il sistema economico e politico che sentiva essere il suo nemico e nemico del progresso umano: il Capitalismo. Avendo preso la decisione di provocare la distruzione di questo sistema, escogitò una teoria economica per provare che il sistema del mercato libero poteva esistere solo per mezzo dello sfruttamento dei lavoratori. Ecco come nacquero la teoria del valore del lavoro e la teoria del plusvalore.
Con quest’attitudine anti scientifica come base, queste teorie offrono ben poche speranze di migliorare la situazione umana. Noi pensiamo che dovunque siano applicate, esse servano soltanto ad intensificare proprio quegli sfruttamenti che asseriscono invece di poter risolvere.
Nonostante la loro storia di insuccessi, le teorie marxiste continuano ad attrarre attenzione e aderenti. Per comprendere come ciò può avvenire, dobbiamo riconoscere l’impulso fondamentale da parte degli esseri umani di opporsi all’ingiustizia. Per incanalare questo forte e fondamentale impulso umano in programmi realizzabili, dobbiamo comprendere bene la natura dell’uomo.
1. La natura originale degli esseri umani
a) La creatività
La visione del mondo di CAUSA afferma che gli esseri umani sono creati come figli di Dio. Come tali, sono dotati di una natura che riflette quella del Creatore. Probabilmente, l’attributo più significativo del Creatore è la creatività stessa. Sebbene l’uomo non sia capace di creare dal nulla, nondimeno è la sua preminente caratteristica quella di essere capace di impiegare il suo intelletto e volontà in modo originale per manifestare il potenziale creativo del suo essere.
b) Le necessità fisiche
Gli esseri umani vivono in un universo fisico. La vita in questo universo porta con sé una serie di necessità fisiche e fa sorgere dei desideri fisici. È naturale che nella propria vita l’uomo cerchi di soddisfare questi bisogni e desideri, grazie anche alle straordinarie capacità di cui è dotato per farlo. L’uomo può entrare in rapporto con l’intera realtà fisica, utilizzarla e goderne, ed esprimendo la sua creatività può abbellire e valorizzare il mondo fisico, che è la sua dimora.
c) La spiritualità
Al di là di questa dimensione strettamente fisica, gli esseri umani hanno anche costantemente ricercato valori di dimensione più elevata. I valori assoluti hanno origine in Dio; sono eterni e quindi si estendono oltre la durata della vita fisica. La natura eterna dell’uomo fa sorgere il senso di responsabilità eterna e lo spinge ad orientarsi verso il suo benessere eterno.
d) La relazione
Le necessità e i desideri più elevati degli esseri umani possono essere soddisfatti soltanto nella relazione. La relazione, in generale, avviene in vista di un beneficio reci proco. Quando ciò è possibile, le parti stabiliscono relazioni reciproche centrate sui loro scopi comuni. Se ciò non è possibile, provano una forza di repulsione e si separano.
e) La libera volontà
La gioia e la soddisfazione umane possono essere raggiunte solo nella libertà. Alla libertà che ci è stata data da Dio, si accompagna la responsabilità che ciascun individuo ha verso Dio stesso e verso il suo prossimo.
2. Il mercato libero e la natura umana
Il sistema del mercato libero ha consentito un avanzamento ed una prosperità materiali più grandi di ogni altro sistema economico nella storia umana. Ciò è dovuto alla corrispondenza fra le caratteristiche chiave di questo sistema e la stessa natura originale dell’uomo.
Il sistema del mercato libero offre all’individuo le opportunità più grandi che possano recargli beneficio. L’iniziativa e la creatività individuali sono compensate sotto forma di profitto, e le capacità relazionali sono di grande valore. C’è enorme spazio per la libera azione, e l’uomo ha così le possibilità più grandi per realizzare le responsabilità dategli da Dio senza interferenza da parte di individui o gruppi.
3. Il cattivo uso del sistema
In contrasto con l’enorme potenziale che il sistema del mercato libero offre nel permettere alle persone di raggiungere i più alti valori spirituali e fisici, osserviamo oggi un pessimo uso del sistema stesso e delle benedizioni di Dio in generale. Il Giudaismo, il Cristianesimo e le altre grandi religioni del mondo, come anche certi sistemi filosofici, insegnano che tutti gli uomini sono fratelli sotto un unico genitore, Dio. Nondimeno, troviamo enormi differenze fra i vari livelli di vita della popolazione del pianeta. Queste differenze, in un’era di infinite possibilità di trasporti e comunicazioni non sembrano certo indicare un profondo amore fraterno tra le persone.
In molti casi, gli individui opprimono la libertà di altri per ottenere un benessere a breve termine, approfittando di loro e causando loro un danno a lungo termine. I valori eterni dello spirito vengono frequentemente sacrificati al fine di un guadagno immediato e materiale.
Questi abusi della libertà nel nostro mondo hanno consentito a ideologie distruttive come il Comunismo di venire alla luce e di diventare sempre più forti.
4. Soluzioni
La natura originale dell’uomo è tuttora intatta. Questa è la speranza dell’umanità. L’uomo, fatto a “immagine di Dio” è fondamentalmente buono. Lo sfruttamento ed altri abusi della libertà avvengono perché gli individui possiedono una prospettiva di valori limitata. Quando la prospettiva di valori dell’uomo verrà ampliata, avverrà un cambiamento veramente rivoluzionario dall’egoismo all’altruismo. Ciò potrà essere meglio realizzato all’interno del mondo libero.
Questo tipo di trasformazione può avvenire quando uomini e donne ampliano la loro visione dell’universo e i loro valori per includere la dimensione spirituale oltre a quella fisica. Particolarmente quando una persona diventa consapevole dello scopo della sua vita in quanto datale da Dio, può rivedere le priorità dei suoi valori. Arriva così a sentire che il proprio beneficio non può in nessuna circostanza sussistere separatamente dal beneficio degli altri e di Dio.
La visione del mondo di CAUSA sostiene che questa rivoluzione interiore è la soluzione ai problemi dell’abuso e dello sfruttamento che oggi prevalgono nel sistema economico del mercato libero. Il sistema in sé è molto adatto, come campo d’azione dell’uomo. Il problema sono gli uomini stessi.
Note
[1] L. Kolakowsky, “Main Currents of Marxism”.
[2] M. Blaug, “Economics”, nella “The New Encyclopedia Britannica”, 1983.
[3] Marx, “Salari, prezzi e profitti”.
[4] Marx, “Il Capitale”.
[5] Se Marx avesse voluto essere scientifico, avrebbe fatto uno studio sulla correlazione tra prezzo della merce e ore lavorative, ma non lo ha fatto. In ogni caso, sarebbe estremamente difficile misurare le ore lavorative perché bisognerebbe calcolare il lavoro investito negli utensili usati, e questo risalendo nel tempo all’infinito.
[6] Marx, “Il Capitale”.
[7] Usiamo la parola “creativo” in senso ampio, includendo il lavoro manuale, l’espressione artistica, l’invenzione, ecc.
[8] L. Minard, W. Michaels in “Forbes”, 6 dicembre 1982, p. 144.
[9] M.I. Goldman, “USSR in crisis” (New York, ed. Norton), 1983, p. 83.
[10] Ibid, p. 47.
[11] Marx, “Il Capitale”.
[12] Marx, “Salari, prezzi e profitti”.
[13] Marx, “Il Capitale”.
[14] S. H. Lee, “Communism: a critique and counterproposal” (New York, ed. FLF) 1973, p. 51.
[15] C. Murphy in “The Atlantic”, Febbraio 1983, pp. 33-52.
[16] Gide, in “The God that failed”, a cura di R. Crossman (New York, ed. Harper), 1949, p. 183-184.
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