La Missione del Messia
Perché Cristo è venuto e perché deve tornare
Premessa
Com’è stato spiegato nella prima parte di questo corso di studi sui Principi Divini, Dio in origine, creò l’uomo e la donna a Sua immagine. Essi avrebbero dovuto crescere individualmente fino a raggiungere la piena maturità spirituale, d’intelletto e di sentimento, e su questa base formare delle famiglie che avrebbero potuto essere la completa incarnazione ed espressione dell’amore di Dio. Simili famiglie sarebbero così divenute il punto d’origine dell’amore divino, il quale, da quel nucleo famigliare, si sarebbe esteso a livelli sempre più grandi: la società, la nazione e il mondo.
Tuttavia, Adamo ed Eva, la prima coppia scelta per realizzare questo ideale, fallirono nel compiere la volontà di Dio. Sappiamo che la loro caduta avvenne attraverso una relazione di amore, contraria ai principi di Dio, che si stabilì prima tra Eva e l’arcangelo Lucifero, poi tra Eva ed Adamo. Poiché l’amore di Dio fu perso all’inizio della storia, tutta l’umanità, da quel momento in poi, ha sempre sofferto per la mancanza di vero amore. Secondo i Principi Divini questa separazione originale dall’amore di Dio ha impedito la realizzazione dell’ideale divino ed è stata la causa di tutto il dolore e le tremende sofferenze che hanno segnato il corso della storia umana.
Una speranza all’orizzonte
I Principi Divini spiegano che sin dall’inizio, con la triste separazione dell’umanità dal suo Creatore, Dio ha cercato di restaurare gli uomini e le donne al loro stato originale, liberandoli dalle tragiche situazioni in cui si era trovata coinvolta la prima coppia umana. Dio desidera elevarci fino al livello di Suoi veri figli, guidandoci a vivere nell’armonia, nella giustizia e nella fratellanza.
Allo scopo di realizzare tutto ciò, in vari momenti della storia, sono comparse figure di profeti e di santi ispirati da Dio. La nascita di uomini come Abramo e Mosè, Budda e Confucio, San Francesco e Martin Lutero, rappresenta altrettante espressioni del lavoro salvifico di Dio nella società umana, anche se, naturalmente, la manifestazione centrale di questo lavoro fu l’avvento di Gesù. Secondo i Principi Divini, Gesù era l’uomo consacrato da Dio come Suo figlio per la realizzazione del Suo ideale originale sulla terra, e venne al posto di Adamo per restaurare il perduto Giardino di Eden, cioè il Regno di Dio sulla terra.
La Bibbia nel mondo moderno
Il Nuovo Testamento ci offre un bellissimo, ispirato racconto della vita di Gesù, che ha sempre costituito la maggiore fonte d’ispirazione e di contenuto per la fede cristiana. Tuttavia, negli ultimi decenni, il Nuovo Testamento, anzi l’intera Bibbia, hanno cominciato ad essere interpretati in termini molto differenti rispetto ai secoli precedenti. Il fattore critico catalizzatore di questo cambiamento è stato l’avvento delle ricerche e degli studi biblici moderni, che si sono focalizzati in modo particolare sui quattro Vangeli. Se, come materiale religioso, i racconti evangelici sono veramente straordinari, come documento storico, tuttavia, da molti oggi non sono ritenuti capaci di fornire dati attendibili riguardo l’esperienza umana di Gesù e i suoi effettivi insegnamenti. Per la maggior parte di questi studiosi biblici, il problema consiste nel fatto che gli autori dei Vangeli, scrivendo in un periodo che va dai 30 ai 70 anni dopo la morte di Gesù e con dei precisi intenti personali, hanno abbellito i precedenti racconti, tramandati per via orale o scritta, che fino allora avevano costituito le uniche fonti di informazione sulla vita di Gesù. Come ha detto Padre Raymond Brown dell’Union Theological Seminary di New York:
Fondamentalmente i Vangeli ci indicano come ogni evangelista abbia compreso e presentato a modo suo la figura di Gesù alla comunità cristiana negli ultimi 30 anni del I secolo… essi ci offrono solo dei mezzi limitati per ricostruire il ministero e il messaggio del Gesù storico.
Il riconoscimento di una simile realtà ha portato a uno studio più approfondito della vita di Gesù. Negli ultimi decenni, infatti, gli studiosi della Bibbia si sono volti a esaminare nuovamente i racconti evangelici, contestandone le interpretazioni ortodosse ed esprimendo il loro profondo disaccordo sul concetto tradizionale del Figlio dell’Uomo. Il numero e l’intensità stessa di queste dispute ci mostrano la natura problematica della figura di Gesù, così come viene tradizionalmente ritratta dal Nuovo Testamento.
Eroe, profeta o zelota?
Le discussioni presentate dai diversi teologi hanno coperto un’ampia varietà di argomenti. Uno tra i punti chiave di questo dibattito è stato il libro “Quest for the Historical Jesus” (Alla ricerca del Gesù Storico), scritto dal famoso dottor Albert Schweitzer che, tra le sue tante qualità, fu anche un rinomato teologo. In questa sua opera, Schweitzer contestò un gran numero di opinioni su Gesù presentando la sua concezione di Cristo come eroe apocalittico. Egli vide in Gesù un uomo che credeva all’avvento soprannaturale e imminente del Regno di Dio, dove tutte le forze del male vengono totalmente sottomesse. Secondo Schweitzer Gesù, a un certo punto del suo ministero, si aspettò l’avvento di questo Regno addirittura prima che giungesse il tempo della mietitura; solo quando vide infrante tutte le sue speranze, egli cominciò a pensare alla croce. Schweitzer concluse che Gesù alla fine affrontò la crocifissione credendo che quest’atto avrebbe affrettato l’avvento apocalittico del Regno di Dio sulla terra.
Nella sua opera “The Prophet from Nazareth” (Il profeta di Nazareth), d’altro canto, il Professor Morton Enslin sostiene che Gesù deve essere inteso semplicemente come un uomo che ha realizzato un ruolo profetico. Questo studioso afferma che solo in seguito la chiesa rese omaggio al falegname nazareno dandogli il titolo di Cristo, Figlio di Dio e Signore, mentre i discepoli originali pensavano che lui fosse semplicemente un “profeta potente in opere e in parole” (Lc. 24:19). In realtà per Enslin questo è tutto ciò che lo stesso Gesù pensava di essere.
Un altro punto di vista sulla figura di Cristo è quello presentatoci da S.G.F. Brandon dell’Università di Manchester, secondo il quale Gesù era uno zelota che lottò per abbattere la tirannide romana. L’interesse primario di Gesù, dunque, era sostanzialmente politico e questo fu il motivo per cui alla fine venne crocifisso. Secondo tale concezione, un’attenta lettura dei Vangeli ci mostra come gli autori del Nuovo Testamento riscrissero le storie cristiane dei primi tempi per dissipare i sospetti dei romani verso la Chiesa.
Questi sono soltanto alcuni aspetti delle dispute sorte intorno alla vita di Gesù. Sono state formulate molte ipotesi, ma tanti interrogativi attendono ancora una chiara risposta.
Nell’opinione di molti, sia teologi che laici, i Principi Divini hanno fatto luce, in modo utile e chiarificatore, su alcune spinose questioni relative alla figura di Gesù. Il contenuto di questa rivelazione, ricevuta dal Rev. Moon attraverso le sue esperienze mistiche con Dio e con lo stesso Gesù, ha il merito di chiarire alcuni punti ambigui del Nuovo Testamento e di presentare una comprensione più chiara della figura di Cristo: tale spiegazione comporta, da un Iato, delle profonde implicazioni per la chiesa contemporanea e, dall’altro, è in grado di aiutare il Cristianesimo a completare la rivoluzione spirituale iniziata 2000 anni fa.
Esaminiamo dunque la figura e l’opera di Gesù alla luce dei Principi Divini.
Salvezza equivale a restaurazione
Storicamente si è sempre creduto che Gesù venne per salvare l’umanità. Come scrive San Paolo:
“Poiché Dio non ci ha destinati alla collera, ma all’acquisto della salvezza per il Signore nostro Gesù Cristo, morto per noi affinché sia che vegliamo, sia che dormiamo, viviamo insieme con lui”. (I Ts. 5:9-10)
Nonostante questa comprensione il significato effettivo di salvezza rimane per molti abbastanza vago. Che cosa vuol dire veramente essere salvati? La salvezza si riferisce soltanto a dopo la morte? È limitata unicamente agli individui?
Se qualcuno che sta per morire viene salvato, si intende che questa persona è stata riportata in vita, ha recuperato la salute. La stessa cosa vale per un uomo che sta per annegare: salvarlo significa tirarlo fuori dall’acqua e riportarlo sulla spiaggia. In questi esempi “salvare” una persona significa restaurarla al suo precedente stato di benessere.
Allo stesso modo i Principi Divini insegnano che la salvezza significa la restaurazione dell’uomo caduto al suo stato originale di bontà e d’integrità, cioè lo stato in cui si trovava prima della caduta. Questo vuol dire restaurare l’uomo alla posizione in cui, come individuo, può realizzare lo scopo originale della vita.
Scopo della salvezza è la restaurazione del mondo di male al mondo di bene, iniziando prima con una famiglia e poi, su questa base, progredendo fino a formare una vera nazione e un vero mondo.
Quando Gesù venne, 2000 anni fa, egli espresse molto chiaramente lo scopo della vita dell’individuo dicendo:
“Siate dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro Celeste”. (Mt. 5:48)
In greco la parola “perfetto” (tellios) vuol dire “fine” o “scopo”. Perciò può essere interpretata come un’espressione che descrive chi ha raggiunto la meta, o che ha realizzato la sua maturità a immagine di Dio. Secondo i Principi Divini, per quanto possa sembrare molto difficile da realizzare, un simile ideale riflette veramente lo scopo originale di Dio per la creazione e il Suo scopo di salvezza. Il primo compito di Dio è dunque creare degli uomini che Lo riflettano totalmente.
Ricordiamoci però che il processo di salvezza è destinato ad andare al di là dei singoli individui. Quando Giovanni scrive nel suo Vangelo: “Infatti, Dio ha tanto amato il mondo, da dare il Suo Figlio Unigenito” (Gv. 3:16), con queste parole egli riflette lo stadio finale di realizzazione dello scopo di Dio. Dio non s’interessa semplicemente ai singoli individui, ma vuole salvare anche le famiglie, le razze, le nazioni e il mondo intero.
Se immaginiamo come sarebbe un mondo salvato, dobbiamo pensare a un mondo libero da ciò che J.F. Kennedy chiamava “i nemici comuni dell’uomo” cioè la tirannide, la povertà, le malattie, la stessa guerra. Parlando in senso positivo, invece, possiamo immaginare un mondo, dove i forti sono generosi, i deboli sono sicuri e in cui, come dice il profeta Amos:
... scorra piuttosto come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” (Am. 5:24)
Sarebbe dunque un mondo in cui l’antica speranza di pace dell’umanità troverebbe la sua realizzazione, unitamente al nostro desiderio di benessere materiale. Sarebbe davvero un Giardino di Eden restaurato su scala mondiale.
Certo, ci si può chiedere se un mondo simile sia effettivamente realizzabile, poiché le testimonianze lasciateci dalla storia, non sono per nulla promettenti. Tuttavia, i Principi Divini ci mostrano come una tale visione non dipenda in modo decisivo dall’uomo, anche se lui deve fare la sua parte, ma da Dio. Dio, per essere realmente tale, un giorno dovrà realizzare il Suo ideale originario. Coloro che hanno vissuto per Dio in certe occasioni hanno avuto la benedizione di poter comprendere il Suo scopo finale. L’apostolo Paolo, ad esempio, scrisse del giorno in cui Dio avrebbe “recapitolato ogni cosa in Cristo”, ciò che è nei cieli e ciò che è sulla terra (Ef. 1:10). In modo analogo il profeta Isaia scrisse la proclamazione del Signore:
“Tanto ho detto e tanto eseguirò, tanto ho deciso e tanto farò”. (Is. 46:11)
Quando i tempi saranno maturi Dio realizzerà sicuramente il Suo scopo. Come Dio d’amore Egli non potrebbe mai lasciare un uomo caduto nel suo stato attuale perché l’uomo è stato creato come Suo figlio.
In che modo ci si potrà avvicinare a un mondo restaurato? Se Adamo ed Eva in origine fossero riusciti a realizzare un matrimonio che avesse incarnato l’amore di Dio, e se avessero allevato ed educato i loro figli in questo spirito, la loro famiglia avrebbe potuto dare origine ad un clan, una società, una nazione ed un mondo in accordo alla volontà di Dio. In altre parole, quando i figli di Adamo ed Eva perfetti, fossero maturati e avessero creato le proprie famiglie, quel nucleo famigliare originario si sarebbe gradualmente espanso fino a creare un’unica famiglia mondiale. Al centro di questa grande famiglia ci sarebbero stati dei Veri genitori, cioè Adamo ed Eva perfetti, come rappresentanti dell’amore di genitore di Dio verso tutti i loro discendenti. Facendo capo a questa famiglia, si sarebbe così stabilito il Regno dei Cieli sulla terra.
I Principi Divini insegnano che lo scopo e il metodo di lavoro di Dio nella storia rimangono costanti. Pertanto, il fine della salvezza è la realizzazione di un mondo restaurato che esprima l’ideale originale di Dio, con al centro un uomo ed una donna perfetti. È a questo scopo che Dio mandò il Messia. Il Messia, infatti, viene per stabilire di fronte a Dio la posizione di vero uomo e realizzare una vera famiglia, che sia l’incarnazione e l’espressione dell’amore divino. Poi, su questa fondazione, il Messia deve costruire una nazione e un mondo ideali realizzando così il Regno dei Cieli sulla terra, cioè il piano originale di Dio.
Ecco perché, come leggiamo in Matteo, Gesù venne proclamando il Regno dei Cieli:
“E Gesù andava perle città e le borgate, ‘insegnando nelle loro sinagoghe, predicando l’evangelo dei Regno…” (Mt. 9:35)
Esaminiamo, dunque, più attentamente cosa intendeva Gesù con questo Regno.
Gesù e l’imminenza del Regno
Il lavoro di Gesù sulla terra è dominato da un tema centrale, che ricorre sempre: il Regno dei Cieli. “Fate penitenza - dice Gesù - perché il Regno dei Cieli è vicino”. (Mt. 4:17)
Proclamando questo messaggio Gesù annunciava la realizzazione di una speranza che Dio aveva suscitato da lungo tempo nel popolo ebraico. A partire dal VII secolo avanti Cristo, il popolo ebraico aveva atteso con tanta ansia l’arrivo del millennio, un’epoca d’oro di pace e di benessere per tutti. Questo Regno doveva essere inaugurato dal Messia.
“Poiché ci è nato un pargolo, ci è stato donato un figlio, sulle cui spalle è il principato e il cui nome è: Mirabile Consigliere, Dio potente, Padre perpetuo, Principe della pace, per ingrandire il principato e per una pace senza fine, sul trono di Davide e sul suo regno, per consolidarlo e rafforzarlo con il diritto e la giustizia, d’ora in poi per sempre”. (Is. 9:5-6)
Secondo Isaia, dunque, il Messia doveva governare il suo popolo con giustizia e rettitudine. Dal trono di Davide doveva regnare con saggezza come Consigliere mirabile, con forza, come il Dio potente, con amore come Padre perpetuo. Nel suo regno la pace sarebbe stata duratura e non solo gli uomini seguendo il Messia, ma tutta la natura avrebbe dimorato nella sua pace. Scrive Isaia:
“Il lupo dimorerà insieme all’agnello, il leopardo si sdraierà vicino al capretto; vitello e leoncello parleranno insieme e un ragazzino li guiderà .... Non faranno più male né guasto alcuno in tutto il suo santo monte, perché della conoscenza del Signore sarà piena la terra, come le acque che coprono il mare”. (Is. 11:6-9)
In Isaia inoltre sono profetizzati i giorni gloriosi che il popolo ebraico avrebbe visto nel Regno del Messia:
“Sorgi, splendi ché la tua luce viene, la gloria del Signore brilla su di te.... Volgi i tuoi occhi d’intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono da te, i tuoi figli vengono da lontano e le tue figlie ti sono portate sul fianco.... Non si udranno più prepotenza nella tua terra, né violenza e distruzione entro i tuoi confini, chiamerai le tue mura Salvezza e le tue porte Gloria.... Il piccolo diventerà un migliaio, il minimo una nazione potente. Io sono il Signore, a suo tempo farò presto”. (Is. 60)
Nella concezione ebraica questa è la gloria e la gioia che gli israeliti avrebbero condiviso in seguito alla realizzazione del Regno messianico. La loro benedizione avrebbe raggiunto ogni parte del mondo e la terra sarebbe stata il Giardino di Eden:
“Egli farà giustizia fra le genti e deciderà fra tanti popoli, sì che forgeranno le loro spade e le loro lance in falci; non più gente contro gente alzerà la spada, né mai più s’addestreranno alla guerra”. (Is. 2:4)
In tutti questi passi possiamo vedere realizzata la promessa dell’ideale di Dio. Il mondo doveva essere restaurato e il Messia ne sarebbe stato il catalizzatore.
Un urgente messaggio
Consacrato da Dio per la missione della restaurazione, Gesù era costantemente preoccupato di annunciare agli altri l’avvento del Regno. I suoi insegnamenti morali ed etici, le sue esortazioni, persino le sue preghiere sono tutte collegate a questo tema. C’è chi ha detto che il suo Discorso della Montagna si può considerare una specie di costituzione del Regno di Dio.
II Regno è anche il soggetto di molte delle sue parabole. Gesù l’ha paragonato ai semi buoni seminati in terreni differenti; al granello di senape che cresce fino a diventare un grande albero; al lievito nascosto nella farina; a un tesoro sotterrato in un campo che un uomo scopre, con sua grande gioia e, pur di comprarlo, vende tutto ciò che ha.
Significativa tanto quanto questi continui riferimenti al Regno è anche l’apparente imminenza del suo avvento. C’è una definitiva caratteristica di “immediatezza” in questi avvertimenti di Cristo. Poiché la fondazione del Regno doveva essere stabilita durante la vita di Gesù, la sua realizzazione era imminente e urgente. Per questo Gesù spingeva i suoi discepoli a cercare prima di tutto il Regno di Dio e la Sua giustizia, senza preoccuparsi di cosa avrebbero mangiato e di come si sarebbero vestiti, e diceva loro di annunciare che il Regno dei Cieli era alle porte.
Alcuni passi del Vangelo di Luca illustrano con chiarezza proprio quest’urgenza. Al giovane che voleva seguire Gesù, ma desiderava prima andare a seppellire suo padre, Gesù rispose: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va ad annunziare il Regno di Dio” (Lc. 9:60). In un’altra occasione egli disse: “Nessuno che pone mano all’aratro e poi guarda indietro, è adatto al Regno di Dio” (Lc. 9:62). Insegnando a pregare ai suoi discepoli, la sua prima supplica a Dio fu: “Venga il Tuo Regno”.
Infine, come abbiamo già mostrato, Gesù disse molto chiaramente che, per entrare nel Regno dei Cieli, una persona doveva essere spiritualmente matura: “Siate dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro Celeste”. (Mt. 5:48)
Un Regno sulla terra
A questo punto è necessario fare un’importante distinzione fra la natura terrena del Regno, così com’è concepito dal Giudaismo profetico e dal Cristianesimo dei primi tempi, e la versione eterea e spiritualizzata presentata dalla chiesa cristiana posteriore. Nel proclamare il Regno di Dio (o il Regno dei Cieli, espressione sostituita a questa a causa delle restrizioni degli ebrei sull’uso della parola “Dio”), molti cristiani credono che Gesù si riferisse al destino dei suoi seguaci dopo la morte e alla loro realizzazione spirituale individuale. Tuttavia, non può essere così. Come Dio desiderava realizzare il Regno dei Cieli sulla terra all’inizio, cominciando da Adamo ed Eva, così è naturale che il Suo ideale resti sempre lo stesso anche alla fine dei tempi. II Suo scopo e la Sua volontà rimangono immutati.
La maggioranza degli studiosi è d’accordo nel dire che la visione di un Regno personale e puramente spirituale travisa completamente lo scopo del messaggio, del ministero e della missione di Gesù.
Essendo vicini al tempo in cui egli era vissuto fisicamente sulla terra, i primi cristiani sapevano molto bene che Gesù si riferiva ad un Regno terreno ed aspettavano con ansia che ritornasse a completare il suo lavoro. Proprio riguardo a questo fatto, l’apostolo Paolo talvolta si affanna a calmare i primi cristiani, che speravano in un ritorno immediato di Gesù:
“Vi preghiamo poi, fratelli, per quanto riguarda la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e la nostra riunione con lui, di non lasciarvi facilmente turbare la mente, né allarmare, sia da rivelazione di spirito, sia da discorsi... quasi che il giorno del Signore sia imminente. (2 Ts. 2:1-2)
Fu solo più tardi che il ritorno del Signore venne considerato come posposto a tempo indefinito. Insieme a questo rinvio, l’idea del Regno fu gradualmente distolta dalla realtà terrena e indirizzata verso il Cielo.
Riassumendo, possiamo dire che il Regno che Gesù tentò di stabilire era un vero e proprio regno fisico, un mondo restaurato sulla base dell’ideale originale di Dio. Gesù doveva diventare l’archetipo spirituale ed etico, il modello individuale del Regno. Realizzando questo prima in sé stesso, Gesù doveva poi mostrare la strada verso la maturazione individuale e collettiva. Sulla base del suo esempio e della sua ispirazione si sarebbero così realizzati una famiglia, una società, una nazione e un mondo ideali e in questo modo il tanto atteso Regno di Dio si sarebbe finalmente stabilito sulla terra.
Purtroppo, è chiaro che quest’ideale del Regno non si è potuto concretizzare al tempo di Gesù. La strada che lui ha dovuto percorrere è stata ben diversa. Cerchiamo adesso di esaminare più attentamente il corso doloroso che gli fu necessario intraprendere.
La via della croce
La perfezione raggiunta da Gesù avrebbe dovuto estendersi alla sua famiglia e ai suoi discepoli. Da quel punto, poi, la nazione di Israele e il mondo intero avrebbero dovuto gradualmente evolversi per realizzare livelli sempre più elevati di consapevolezza morale e religiosa, modellandosi sull’esempio di Gesù.
Purtroppo, sappiamo che questo non accadde. Quando Gesù, il tanto atteso Messia, venne finalmente in mezzo al suo popolo, fu trattato con molta ostilità, soprattutto dai capi religiosi del suo tempo. Certo ci furono persone che lo ascoltarono e che lo ammirarono molto, ma la loro risposta era spesso concentrata sui suoi miracoli e le sue guarigioni, più che sul messaggio di verità da lui annunciato. Qualcuno sì, lo riconobbe per la verità delle sue parole, ma i sacerdoti, gli scribi e i farisei, sentendosi forse minacciati dalle sue opere, criticarono fermamente i suoi insegnamenti come contrari alla legge mosaica. Essi considerarono i miracoli di Gesù addirittura come opere demoniache (Mt. 12:24), negarono la sua posizione di Messia dicendo che bestemmiava chiamandosi Figlio di Dio (Gv. 12:33) e, con le loro continue condanne sul suo conto, portarono il popolo ad allontanarsi da lui. Infine, corruppero uno dei suoi discepoli inducendolo a tradirlo.
In quest’ambiente veramente ostile è chiaro che Gesù non poté rivelare tutto ciò che voleva:
“Noi parliamo di quello che sappiamo e attestiamo quello che abbiamo veduto, ma voi non accettate la nostra testimonianza. Se v’ho parlato di cose terrestri e non credete, come crederete se vi parlo delle cose celesti?” (Gv. 3:11-12)
Possiamo immaginare che le “cose celesti” che Gesù desiderava condividere con gli altri, consistevano in una più profonda conoscenza riguardo al Regno dei Cieli. Tuttavia, egli non poté parlare di queste cose perché la gente non gli credeva.
I racconti evangelici ci indicano che Gesù aveva fatto in sostanza tutto ciò che gli era possibile per convincere il suo popolo a riconoscerlo e avere fede in lui. Aveva predicato il Regno dei Cieli che era venuto a realizzare; aveva fatto spesso dei miracoli nella speranza che il popolo potesse comprendere chi lui era; aveva amato le persone veramente con tutto sé stesso. Tuttavia, proprio gli elementi più importanti della società ebraica, non lo accettarono come Messia e rifiutarono le sue parole e le sue opere. Matteo ci descrive come Gesù, adirato, rimprovera gli ebrei per la loro mancanza di fede:
“Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perché se a Tiro e Sidone fossero avvenuti i miracoli compiuti fra voi, da molto tempo avrebbero fatto penitenza col cilicio e la cenere”. (Mt. 11:21)
Piangendo su Gerusalemme, la città del tempio, che aveva rifiutato lui, il vero tempio, Gesù disse:
“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono stati mandati, quante volte ho voluto raccogliere insieme i tuoi figli, come una gallina raccoglie insieme i suoi pulcini sotto le ali, ma voi non avete voluto! Ecco la vostra casa vi sarà lasciata deserta”. (Mt. 23:37-38)
“Se avessi conosciuto almeno in questo giorno ciò che giova alla tua pace... ma ora è nascosta ai tuoi occhi... perché non conoscesti il tempo in cui sei stata visitata”. (Lc. 19:42-44)
Gesù cercò di farsi riconoscere dal suo popolo attraverso le sue parole, le sue opere e le sue preghiere, ma tutto fu vano. Fu in quest’ambiente che egli iniziò a parlare del ritorno del “Figlio dell’Uomo”. Gesù non aveva mai accennato a un Secondo Avvento all’inizio del suo ministero; cominciò a farlo, solo quando divenne evidente che la sua intenzione originaria, di ispirare la costruzione di un Regno fisico e spirituale sulla terra, non avrebbe potuto essere realizzata.
Gesù fu respinto e crocefisso dal popolo scelto di Dio, proprio quel popolo che aveva digiunato, pregato, offerto decime, profetizzato, servito Dio fedelmente e aspettato con grande ardore il Messia, passando attraverso tante sofferenze. Tuttavia, stiamo attenti, a non essere troppo precipitosi nel biasimare gli ebrei di quel tempo. Se noi fossimo vissuti a quell’epoca e avessimo veduto Gesù con i nostri occhi, molto probabilmente avremmo avuto le stesse difficoltà del popolo di Israele.
Un cambiamento nel corso di Gesù
Convincendosi a poco a poco che il suo compito originario di costruire il Regno stava diventando sempre meno realizzabile, Gesù fu costretto a cambiare il suo corso. Un avvenimento di grande importanza in questa trasformazione fu la sua esperienza sul Monte della Trasfigurazione. Luca racconta che, a un certo momento del suo ministero, Gesù salì su una montagna per pregare, accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni. Mentre era assorto in preghiera, gli apparvero Mosè ed Elia, e gli rivelarono la sua inevitabile sofferenza.
“Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia che, apparsi con gloria, parlavano della sua dipartita che stava per compiersi in Gerusalemme”. (Lc. 9:30-31)
Pietro e gli altri discepoli, appesantiti dal sonno, non erano del tutto consapevoli di ciò che stava accadendo. Le parole di Pietro: “Maestro, è buona cosa per noi star qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia” (Lc. 9:33), riflettono la sua eccitazione davanti alla manifestazione spirituale di questi_ due grandi personaggi, ma dimostrano anche come egli non avesse assolutamente compreso cosa era successo.
Il Vangelo indica che, proprio attorno a quel periodo, Gesù cominciò ad avvertire i suoi discepoli che sarebbe dovuto andare a Gerusalemme e che sarebbe stato ucciso. È significativo il fatto che i discepoli rimasero scioccati da queste affermazioni. Matteo ci racconta che Pietro, il suo discepolo principale, si allarmò così tanto da esclamare: “Non sia mai, Signore. Questo non ti avverrà mai!” (Mt. 16:22). Pietro, essendo molto vicino a Gesù, avrebbe dovuto conoscere le intenzioni del suo maestro. La conclusione più ovvia che possiamo trarre, dunque, è che le affermazioni di Gesù sulle sue sofferenze sconvolsero così tanto i discepoli, proprio perché erano totalmente in contrasto con tutto ciò che egli aveva annunciato fino a quel momento.
Sebbene Gesù avesse parlato del Regno di Dio solo in parabole a coloro che lo seguivano più da lontano, ai suoi discepoli più intimi, tuttavia, aveva rivelato molte più cose. Luca riferisce le parole di Gesù a questo proposito:
“A voi è dato di conoscere i misteri del Regno di Dio, ma agli altri si parla in parabole...” (Lc. 8:10)
Educati direttamente da Gesù, i suoi discepoli più intimi sapevano che il loro maestro stava lavorando per stabilire il Regno dei Cieli. Infatti, conoscendo questo, una volta Giovanni e Giacomo chiesero a Gesù: “Concedi a noi di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e un altro alla tua sinistra”. Incurante di simili richieste, sul Monte della Trasfigurazione, con Mosè ed Elia, Gesù aveva deciso di fronteggiare la crisi imminente. Doveva prendere una via alternativa, la via della croce. Dovette allontanarsi dunque dal corso glorioso che era stato profetizzato da Isaia.
Due tipi di profezie
Con una simile visione, i Principi Divini si differenziano da gran parte del pensiero tradizionale cristiano. Secondo la teologia convenzionale, infatti, la morte di Gesù era in accordo alla volontà di Dio, già predestinata, era il prezzo necessario per redimere l’umanità caduta nel peccato. A sostegno di tale posizione, molti cristiani si rifanno ai passi del libro di Isaia che parlano del “Servo Sofferente”. In particolare, per conferire autorità assoluta e incontrovertibile al fatto che il Messia doveva essere ucciso, vengono spesso citati i seguenti versi:
“Chi avrebbe creduto a ciò che abbiamo annunciato? E la potenza del Signore a chi si sarebbe rivelata?... Era disprezzato e reietto dagli uomini, uomo di dolori, esperto del dolore.... In verità egli portava le nostre infermità, si era caricato dei nostri dolori, mentre noi lo ritenevamo percosso, colpito da Dio e umiliato”. (Is. 53:1-4)
Per spiegare il significato di questo passo, i Principi Divini pongono l’accento sul fatto che lo scopo di Dio si realizza totalmente solo quando le persone cooperano con Lui. Se gli uomini non Gli obbediscono con tutto il cuore, la volontà di Dio non può essere realizzata.
Pertanto, erano possibili due diverse risposte nei confronti del Messia. Gesù poteva essere accolto e appoggiato dal popolo, oppure poteva essere rifiutato. In conformità a queste due possibilità possiamo vedere due diverse linee di profezie nell’Antico Testamento. Le profezie sul Re dei Re in Isaia 9, 11 e 60, citate precedentemente (ad es. “per ingrandire il principato e per una pace senza fine...”), esprimono un tipo di profezia che si sarebbe realizzata se il popolo scelto avesse risposto pienamente al Messia.
Tuttavia, se questo non fosse avvenuto, il Messia si sarebbe trovato di fronte ad un corso di sofferenza. Questa prospettiva è evidente nella predizione del “Servo Sofferente” in Isaia 53. Quindi, quale delle due profezie si sarebbe adempiuta, dipendeva dalla risposta del popolo.
Prevedendo le due possibilità che il popolo accettasse oppure respingesse il Messia, Dio ispirò due linee di profezie: una mostrava i risultati dell'accettazione di Gesù e l'altra le conseguenze del suo rifiuto.
Una dottrina ormai radicata
Tradizionalmente i cristiani hanno sempre ritenuto che Gesù venne in mezzo agli uomini soltanto per morire. Per comprendere le radici di questa dottrina dovremmo essere consapevoli che ogni altra interpretazione sembra non essere stata intenzionalmente presa in considerazione. Gli studi moderni fanno notare come, man mano che il tempo passa, nell’ordine cronologico dei Vangeli, la cruda tragedia della crocifissione viene gradualmente nascosta. In Marco, il Vangelo più antico, Gesù pronuncia un unico grido di agonia sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc. 15:34). Anche se il Vangelo di Marco fu scritto probabilmente a Roma, l’amarezza di quel grido aveva lasciato un’impressione così profonda che l’evangelista, la conserva in aramaico, la lingua originale di Gesù. Matteo riporta Io stesso racconto senza grandi alterazioni. Luca, invece, omette il grido di agonia sostituendolo con le serene parole: “Padre, nelle Tue mani rimetto il mio spirito” (Lc. 23:46). Da una scena che evoca un’angosciosa disperazione, come quella descritta da Marco, il terzo Vangelo, cambia a favore di una scena di fiduciosa accettazione. In Giovanni, il Cristo divino proclama con solennità dalla croce: “È compiuto” (Gv. 19:30). Quindi, man mano che gli autori dei Vangeli si susseguono, con discrezione viene escluso dal racconto ogni pensiero che Gesù potesse aver considerato la sua missione come una sconfitta. Infatti, nella versione siriaca delle Scritture, usata da certe sette cristiane dell’Asia Minore, la stessa espressione del Vangelo di Marco “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato”, è stata alterata in “Mio Dio, mio Dio, per questo sono stato preparato”.
Sostanzialmente la Chiesa dei primi tempi sembra aver seguito un processo di logica alla rovescia, come fa notare il Professor Robert Morgan:
“Perché era morto Gesù?... I primi cristiani pensavano di aver compreso il significato di Gesù e questo influiva sulla loro risposta a tale domanda. Essi risalivano dalla risposta alla domanda e dicevano che Gesù era morto perché quella era la volontà di Dio. Così rinarrarono la storia di Gesù integrandola con questa spiegazione teologica per illuminare gli altri sul pieno significato di Gesù, così come l’avevano inteso loro”.
La parabola dei vignaioli, narrata da Gesù e riportata da Matteo, indica chiaramente che Cristo non era venuto per morire:
“C’era un uomo, padre di famiglia, il quale piantò una vigna, la cinse di siepe, scavò in essa un frantoio, vi edificò una torre e l’affittò a dei vignaioli, poi se ne andò lontano. Quando si avvicinò il tempo dei frutti, mandò i suoi servi dai vignaioli a prendere i suoi frutti. Ma i vignaioli, presi i suoi servi, alcuni li percossero, alcuni li uccisero, altri ancora li lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro suo figlio dicendo: «Avranno rispetto di mio figlio». Ma i vignaioli, veduto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l’erede, venite, uccidiamolo e avremo la sua eredità». Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli? Gli dicono: «Farà perire miseramente quegli scellerati e affitterà la vigna ad altri vignaioli, che a loro tempo renderanno i frutti» … Perciò vi dico che sarà tolto a voi il Regno di Dio e sarà dato a una nazione che produrrà i suoi frutti.” (Mt. 21:33-43)
In questa parabola il padrone della vigna rappresenta Dio. Proprio come il proprietario della vigna si aspettava che i vignaioli ricevessero suo figlio con rispetto e amore, così Dio si aspettava che il popolo scelto accogliesse Suo figlio Gesù. Perciò, come possiamo immaginarci il cuore straziato del padrone della vigna nell’apprendere la morte di suo figlio, così possiamo intuire il dolore che Dio deve aver provato alla crocifissione. Tutto questo si trova riflesso nell’esperienza di Gesù nell’orto del Getsemani.
L’agonia nel Getsemani
Sappiamo dal Vangelo che, proprio prima della sua crocifissione, nel Giardino del Getsemani Gesù pianse e pregò tre volte affinché il calice della sofferenza passasse da lui:
“E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a rattristarsi e a essere angosciato. Allora, disse loro: «L’anima mia è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». E, avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra pregando e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi Tu»”. (Mt. 26:37-39)
Esaminiamo per un momento questa scena del Getsemani. Se pensiamo che la crocifissione fosse il corso di salvezza per l’umanità già predestinato da Dio, perché Gesù avrebbe dovuto essere così addolorato nell’accettarlo? Perché avrebbe dovuto pregare che il calice di sofferenza gli fosse allontanato? La risposta comunemente data è che l’episodio del Getsemani riflette semplicemente un momento di “debolezza umana” di Gesù.
Eppure, sappiamo che numerosi martiri andarono incontro alla morte serenamente e con gioia. Stefano, ad esempio, il primo martire che morì lapidato, si sottopose alla morte con cuore sereno (At. 7:54-59). Analogamente si racconta come Pietro, condannato anche lui alla crocifissione come Gesù, reagì semplicemente chiedendo di essere crocefisso con la testa all’ingiù. Anche aldilà della sfera religiosa vediamo come tanti patrioti non abbiano esitato a donare volentieri la propria vita per il bene della loro patria. Poteva Gesù essere meno eroico di queste persone? Poteva Gesù, il salvatore dell’umanità, avere meno fede degli altri, quando pregò affinché il calice di sofferenza fosse allontanato da lui? Certamente no. I Principi affermano che egli pregò con disperazione, per ben tre volte, perché sapeva che la sua morte sulla croce non era la volontà di Dio. Nella sua agonia egli tentò di trovare una strada che gli permettesse di realizzare la sua missione divina.
Secondo i Principi Divini, i motivi del pianto di Gesù sono molteplici. Innanzitutto, Gesù aveva capito che, attraverso di lui, Dio voleva realizzare l’ideale originale della Sua creazione. Nella sua totale unità e comunione con Lui, possiamo affermare che Gesù capiva chiaramente il dolore che Dio provava nel Suo cuore di fronte alla sua creazione distrutta dal peccato. Gesù aveva cercato di alleviare quel dolore ma, essendo stato rifiutato, si rendeva conto che la volontà divina veniva a essere nuovamente frustrata e che il dolore di Dio si sarebbe soltanto intensificato. Nell’impossibilità di ottenere un successo completo nella sua missione, Gesù stesso deve aver provato molta pena.
Allo stesso tempo Gesù sapeva che Israele aveva dovuto passare attraverso continue prove e lunghe sofferenze per prepararsi all’avvento del Messia. Così Gesù si rese conto che, proprio perché Israele lo stava rifiutando, probabilmente avrebbe perso la benedizione di Dio e tutte le sue sofferenze sarebbero diventate inutili. Poiché amava profondamente il suo popolo, Gesù deve aver intuito il destino doloroso che attendeva gli ebrei.
Gesù deve aver anche previsto che i suoi seguaci avrebbero sofferto come lui. Se lui doveva prendere la strada della croce, come avrebbero potuto loro avere un destino migliore? Inoltre, poiché la realizzazione del Regno di Dio era stata posposta, anche la sofferenza dell’umanità in questo mondo satanico avrebbe inevitabilmente dovuto continuare.
Pensando a tutte queste cose, Gesù deve aver provato grande pena e angoscia.
Un altro paradosso
Possiamo anche notare che se la crocifissione di Gesù fosse stata il piano predestinato da Dio, il ruolo di Giuda Iscariota, il discepolo che tradì Gesù, avrebbe dovuto essere d’importanza vitale per Dio. Se il suo atto avesse aiutato la realizzazione della volontà di Dio, perché Giuda s’impiccò dopo averlo compiuto? L’azione di Giuda fu un atto di ribellione, tanto è vero che nel Vangelo vediamo Gesù manifestare chiaramente la sua rabbia di fronte al tradimento del suo discepolo:
... ma guai a quell’uomo per mezzo del quale il Figlio dell’Uomo sarà tradito. Sarebbe meglio per lui che non fosse nato quell’uomo”. (Mt. 26:24)
Per tutte queste ragioni, i Principi Divini mostrano che la croce non era l’intenzione originale di Gesù, sebbene questa, ben presto, sia diventata la preoccupazione della chiesa dei primi tempi. Gesù venne per realizzare l’ideale originario di Dio, venne affinché gli uomini potessero avere la vita.
Allora, se le cose stanno così, come mai Gesù non fu accettato dal suo popolo? Quali sono le cause che determinarono questo rifiuto? Per meglio comprendere ciò che accadde occorre prima esaminare la figura e l’opera del suo precursore, Giovanni Battista.
Giovanni Battista
Sin dai primi tempi della chiesa, il Cristianesimo ha sempre tenuto in grande considerazione la figura di Giovanni Battista. Anche i migliori pensatori moderni, come il teologo tedesco Gunther Bornkamm, continuano a identificare in Giovanni un personaggio eroico che porta eterna testimonianza al Cristo risorto:
... egli rappresenta per la chiesa cristiana ...l’Elia ritornato che doveva preparare il popolo di Dio per la venuta del Messia ... (la Chiesa] lo riconosce come colui che preparerà per sempre la via a Cristo…”
Ma a dispetto di ogni nobile testimonianza, uno sguardo più attento al Nuovo Testamento fa sorgere molti interrogativi sul conto di Giovanni Battista. Esaminiamo più approfonditamente il ruolo e l’attività di questo famoso personaggio.
Certamente Bornkamm ha ragione nel descrivere Giovanni come una figura simile a quella di Elia. Infatti, nella concezione ebraica, Elia era sempre stato atteso come il precursore del Messia, secondo quanto aveva chiaramente predetto Malachia, l’ultimo profeta dell’Antico Testamento: “Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e spaventevole” (Ml. 4:5). Ancora oggi, durante la Pasqua ebraica, viene preparata una tazza di vino per Elia, come ad anticipare il suo arrivo che precederà quello del Messia.
Vissuto nel IX secolo avanti Cristo, Elia è famoso per il suo vittorioso confronto con 450 profeti di Baal sul Monte Carmelo (1 Re 18:20-40). Per la sua fede e la sua obbedienza egli è considerato chi purificò Israele dalle influenze sataniche. Tuttavia, forse a causa dei successivi fallimenti spirituali del popolo, il suo lavoro doveva essere rifatto. Solo dopo che si fosse realizzato ciò, il Messia sarebbe potuto venire; ecco perché, come predisse Malachia, doveva prima sorgere un altro Elia.
Giovanni nella posizione di Elia
Secondo il Nuovo Testamento, Gesù considerava Giovanni Battista il tanto atteso Elia. Leggiamo, infatti, le sue parole nel Vangelo di Matteo:
“Perché tutti i profeti e la legge hanno profetato fino a Giovanni; ora, se lo volete capire, è lui l’Elia che deve venire”. (Mt. 11:13-14)
Il Nuovo Testamento racconta che Giovanni era stato addirittura scelto nel grembo della madre e Luca ci narra come l’angelo Gabriele aveva annunziato a Zaccaria che sua moglie Elisabetta avrebbe concepito un figlio, il quale avrebbe preparato il suo popolo ad accogliere l’Unto del Signore.
“...e convertirà molti dei figli d’Israele al Signore loro Dio. Camminerà davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per condurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla prudenza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto”. (Lc. 1:16-17)
In seguito, tutto il corso della vita di Giovanni, il periodo trascorso da solo nel deserto, la meditazione, lo studio, le pratiche ascetiche, furono una preparazione a quella che sarebbe stata la sua vera missione: portare testimonianza al Messia.
Secondo Marco e Matteo, Giovanni conformò il suo modo di vita, compreso il suo abbigliamento, a quello di Elia adottando come abito la ruvida pelle di cammello e la cintura di cuoio che sin dall’antichità erano i segni distintivi della missione profetica. Come Elia, il Battista portò un giudizio di fuoco sulla società del suo tempo e tutti sentirono gli effetti delle sue terribili denunce.
Oltre a questo, Giovanni sembrava consapevole di essere il precursore di una persona più grande di lui che doveva ancora venire. Luca ci riferisce la risposta del Battista a coloro i quali pensavano che, a causa della sua forza spirituale, fosse proprio lui il tanto atteso liberatore:
“Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, di cui non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali; egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco”. (Lc. 3:16)
A parte queste esitazioni, tutti e quattro i Vangeli, come pure altre fonti storiche, sono d’accordo nell’affermare che Giovanni attirava a sé grandi folle di persone e aveva un notevole numero di seguaci.
Il capovolgimento della strategia
I Principi Divini insegnano che, venendo con lo stesso ruolo di Elia, la missione di Giovanni era quella di unirsi a Gesù e di portargli una chiara testimonianza. Tuttavia, secondo il Vangelo di Giovanni, quando al Battista fu chiesto chi era, egli negò di essere l’Elia:
“E questa è la testimonianza di Giovanni, quando da Gerusalemme i Giudei gli mandarono sacerdoti e leviti perché gli chiedessero: «Tu chi sei?» Ed egli confessò e non negò e confessò: «Non sono io il Cristo». Gli domandarono allora: «Che dunque? Tu sei l’Elia?» Egli rispose: «Non sono». «Sei tu il Profeta?» Ed egli rispose: «No»”. (Gv. 1:19-21)
Se consideriamo che nella concezione ebraica Elia dovesse arrivare prima del Messia, affermazioni simili, da parte di Giovanni, furono molto dannose nei confronti di Gesù e della missione che lui stava cercando di realizzare. A causa del prestigio di cui godeva Giovanni Battista, qualsiasi affermazione fatta da lui nei confronti di Gesù aveva un grande peso, più che le parole stesse di Cristo. Quest’ultimo, infatti, agli occhi del popolo appariva una persona molto meno importante. Gesù era un giovane sconosciuto, allevato nella casa di un umile falegname, e non era noto come una persona particolarmente versata nelle discipline spirituali. Eppure, contravvenendo alle autorità stabilite, Gesù si proclamò “Signore del sabato” (Mt. 12:8), divenne famoso come uno che voleva abolire la legge (Mt. 5:17) e che si metteva sullo stesso piano di Dio (Gv. 14:9-11). Disturbati da tutto questo, i capi giudei dichiararono che Gesù operava attraverso il potere di Belzebù, il principe dei Demoni (Mt. 12:24).
Giovanni, al contrario, mostrava di avere delle qualifiche molto più degne di ammirazione. Era nato da una famiglia in vista, e in tutto il paese si conoscevano i miracoli avvenuti al suo concepimento e alla sua nascita (Lc. 1:5-66). Viveva nel deserto cibandosi di locuste e miele ed era considerato da molti come un modello esemplare di vita di fede. Giovanni, infatti, era tenuto in così grande stima, che i sommi sacerdoti, così come la gente comune, si chiedevano se non fosse lui stesso il Messia (Lc. 3:15, Gv. 1:20).
In queste circostanze possiamo ben immaginare come il popolo di Israele fosse portato a credere più a Giovanni che a Gesù. Il punto di vista di Gesù, che riconosceva in Giovanni l’Elia, sembrava poco attendibile ed espresso unicamente al fine di rendere credibile ciò che Gesù affermava di sé stesso.
Mentre si discute ancora quale fosse esattamente il rapporto esistente tra Gesù e Giovanni, sono gli stessi racconti evangelici a rivelare una certa incongruenza nel comportamento del Battista verso Gesù. Il Vangelo di Giovanni ci indica il riconoscimento definitivo del ruolo di Gesù da parte del Battista:
“Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie i peccati dal mondo”. (Gv. 1:29)
D’altro canto, Matteo ci mostra come in secondo tempo Giovanni sia stato colto da dubbi. Dopo che era stato messo in prigione da Erode a causa delle critiche che aveva rivolto al re per il suo secondo matrimonio, Giovanni manda i suoi discepoli da Gesù a chiedergli:
“Sei tu colui che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro?” (Mt. 11:3)
E Gesù risponde seccamente:
“Andate e riferite a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti resuscitano, i poveri sono evangelizzati ed è beato colui che non si scandalizza di me”. (Mt. 11:4-6)
Considerando le enormi difficoltà cui doveva far fronte qualsiasi movimento messianico nella Palestina del I secolo, le possibilità di successo venivano a essere notevolmente diminuite qualora le forze riformatrici fossero rimaste divise. Se Giovanni avesse dichiarato la sua posizione di Elia e, conformemente, avesse portato testimonianza al ruolo messianico di Gesù, la strada di Cristo sarebbe stata completamente aperta e il Regno di Dio si sarebbe potuto stabilire sulla terra. Dato il ruolo messianico di Gesù, possiamo immaginare che la situazione ideale, sarebbe stata quella in cui Giovanni si fosse unito a Gesù diventando uno dei suoi principali discepoli. Poiché lo stesso Giovanni aveva dei seguaci, ciò avrebbe aiutato enormemente la causa di Gesù. Purtroppo, sebbene Gesù stesse cercando con tanto ardore dei seguaci (“Pregate dunque il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe”. (Lc. 10:2). Giovanni e il suo gruppo di discepoli rimasero separati da lui. Ci sono persino indicazioni di una certa tensione tra i due gruppi: Matteo, ad esempio, riporta una disputa tra i discepoli di Cristo e quelli del Battista circa il digiuno (Mt. 9:14). E secondo la Nuova Enciclopedia Cattolica:
Sembra che i Vangeli contengano una polemica contro i discepoli del Battista (Gv. 1:6-8) che suggerisce la loro esistenza come gruppo separato, distinto dalla chiesa cristiana, addirittura ancora alla fine del I secolo.
Il giudizio di Gesù
Mentre Giovanni era in prigione, si racconta come Gesù diede un giudizio sul ruolo del Battista. A prima vista, la sua affermazione paradossale sembra piuttosto enigmatica:
“Fra i nati di donna non è sorto mai nessuno maggiore di Giovanni Battista, e tuttavia il più piccolo nel Regno dei Cieli è maggiore di lui”. (Mt. 11:11)
Giovanni era nato nel periodo più importante della storia umana e aveva il privilegio singolare di servire direttamente Gesù portandogli testimonianza. Giovanni avrebbe dovuto portare ogni cosa che aveva, la sua esperienza, la sua conoscenza, i suoi numerosi discepoli, a Gesù offrendogli tutto. Grazie alla sua grande influenza e popolarità, un’influenza che si estendeva fino alle stesse istituzioni religiose, Giovanni avrebbe potuto condurre molte persone importanti a Gesù. È per questo che Cristo lo descrisse come il “più grande fra i nati di donna”, perché l’opportunità che aveva davanti a sé era veramente grandiosa. Ma ciò che è triste è che Giovanni abbia fallito nel cogliere quell’occasione e perciò sia diventato inferiore al “più piccolo nel Regno dei Cieli”. Fallendo nell’adempiere alla sua delicata missione, Giovanni inconsapevolmente lasciò al più umile fra i credenti la posizione gloriosa che gli sarebbe spettata nel Regno dei Cieli.
L'appoggio di Giovanni Battista quale Elia preannunciato dalle profezie, era di importanza vitale per il successo di Gesù. I suoi dubbi e la sua negazione perciò, misero Gesù in una posizione estremamente difficile.
Le cause
Ci si potrebbe chiedere perché mai Giovanni non abbia seguito Gesù. I motivi sembrano essere molteplici, di carattere psicologico, sociologico e spirituale.
Da un lato può darsi che Giovanni abbia avuto dei dubbi su certe opinioni di Gesù: le affermazioni di Cristo, infatti, erano talmente fuori dall’ordinario che egli fu accusato di insidiare la morale tradizionale e gli insegnamenti mosaici. Osservando il passato e l’ambiente familiare da cui proveniva Gesù, Giovanni potrebbe aver concluso che il tanto atteso Figlio dell’Uomo non poteva essere un individuo così comunemente umano come Gesù: un semplice falegname, di nascita ambigua, di dubbia educazione e senza un seguito ben organizzato. Dall’altro Giovanni potrebbe aver paragonato sé stesso a Gesù e aver trovato questo confronto poco lusinghiero. Mentre Giovanni era figlio di un sacerdote del tempio, Gesù non aveva ricevuto nessuna educazione formale, spesso sembrava contraddire le Scritture ebraiche ed anche i suoi discepoli erano uomini quasi illetterati e senza doti particolari. Giovanni viveva una vita molto ascetica, mentre Gesù mangiava, beveva, frequentava collettori di tasse, prostitute e gente considerata poco desiderabile dalla società.
Inoltre, Giovanni vide apparentemente un conflitto tra i suoi interessi personali e quelli di Gesù. Senti che se Gesù avesse avuto successo, allora lui avrebbe dovuto declinare: “Egli deve crescere ed io diminuire” - disse Giovanni. Pensando che sostenere Gesù avrebbe comportato la rinuncia al proprio seguito, egli non si accorse che, se fosse stato sinceramente unito a lui, nel caso di successo la sua fama sarebbe cresciuta insieme a quella di Gesù.
Infine, dobbiamo comprendere il concetto predominante, ai tempi di Gesù, sul Messia che doveva venire. In termini generali, si trattava di un’attesa apocalittica: era un periodo d’impaziente aspettazione di eventi drammatici, un tempo che univa a un senso di disperazione storica la speranza che Dio sarebbe intervenuto in maniera straordinaria a cambiare totalmente e definitivamente lo stato delle cose.
Molti sinceri credenti, influenzati dal libro di Daniele, si aspettavano che il Messia sarebbe venuto sulle nuvole del cielo. Daniele, infatti, aveva scritto:
“Io stavo guardando durante le visioni notturne ed ecco con le nubi del cielo, uno come un figlio d’uomo, stava venendo. Egli avanzò sino all’Antico dei giorni e fu fatto avvicinare in sua presenza. Gli furono dati dominio, onore e regno, tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servivano”. (Dn. 7:13-14)
Senza considerare un simile evento catastrofico, altri israeliti pensavano invece che il Messia sarebbe venuto come un potente liberatore e avrebbe ridato la libertà alla nazione scacciando i romani. Dopo tutto, il loro interesse più immediato era quello di liberarsi dalla tirannide romana. Il loro punto di vista, perciò, era essenzialmente temporale e militaristico.
Forse neppure Giovanni poté evitare di rimanere influenzato da alcune di queste supposizioni circa l’avvento del Figlio dell’Uomo. Doveva essere molto difficile accettare che un umile falegname come Gesù fosse colui che Dio aveva promesso di mandare.
Comunque, qualunque siano state le ragioni, il sostegno che Giovanni diede a Gesù non fu certo il massimo che avrebbe potuto offrirgli. Mancando un Elia ben definito, e senza l’adempimento della profezia di Malachia, il compito di Gesù divenne imprevedibilmente molto più difficile.
Tuttavia, non dobbiamo pensare che con gli errori di Giovanni Battista e la conseguente crocefissione di Gesù, tutto il lavoro di Dio per salvare l’umanità sia andato completamente perduto. Anzi il sacrificio di Gesù sulla croce ha uno straordinario valore nel piano divino di salvezza.
La resurrezione come vittoria spirituale
Se Gesù fosse riuscito a farsi accettare dal suo popolo la storia umana avrebbe senz’altro preso un corso totalmente diverso. Seguendo Gesù il popolo di Israele sarebbe diventato il centro illuminato di un nuovo mondo glorioso e la scissione tra Giudaismo e Cristianesimo non sarebbe mai avvenuta. Così, i primi cristiani non sarebbero mai dovuti passare attraverso terribili sofferenze e il dolore e i conflitti che l’umanità ha dovuto patire per più di 2000 anni, sarebbero stati evitati. Inoltre, poiché il Messia avrebbe completato la sua missione, non ci sarebbe stato più bisogno di profetizzare un Secondo Avvento.
Come abbiamo detto, l’intenzione di Dio è realizzare sia la salvezza spirituale che la salvezza fisica dell’umanità ma, come conseguenza della crocifissione, il fisico dell’uomo è rimasto soggetto all’invasione satanica. Questa realtà è espressa molto bene da San Paolo nella sua lettera ai Romani:
“Noi sappiamo che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Infatti, non approvo quello che faccio, perché non faccio quello che vorrei, ma faccio invece quello che odio. ... Poiché io mi compiaccio nella legge di Dio secondo l’uomo interno, ma vedo un’altra legge nelle mie membra che combatte contro la legge della mia ragione”. (Rm. 7:14-23)
Nonostante il piano che Dio aveva originariamente per Gesù non si sia realizzato, sarebbe un grave errore interpretare la missione di Gesù unicamente in termini di sconfitta. I Principi Divini affermano che il corso della croce, seguito da Cristo come alternativa, ha permesso a Dio di ottenere una vittoria parziale. Se il rifiuto del popolo d’Israele a Gesù, che lo portò poi alla croce. è stata una sconfitta, la resurrezione è stata senza dubbio una vittoria che ha aperto a tutti gli uomini la strada della salvezza spirituale. Infatti, attraverso la resurrezione, Dio ha potuto aprire la via che conduce ad un regno libero dall’accusa di Satana.
Se è vero che nessun corpo fisico, compreso quello di Gesù, può sopravvivere alla morte biologica, il corpo spirituale invece, non è per nulla intaccato dalla cessazione dell’esistenza fisica. La resurrezione di Gesù ha potuto dare nuova vita spirituale a coloro che si sono uniti a lui in spirito.
Poiché Dio aveva sacrificato il Suo figlio prediletto per la salvezza di coloro che l’avevano rifiutato, Satana non ha avuto più alcuna base per accusarLo. Il sacrificio volontario di Gesù sulla croce è diventato così la base per la vittoria di Dio, attraverso la quale Egli ha potuto iniziare una nuova dispensazione perla salvezza spirituale dell’umanità.
Anche se la crocifissione rese impossibile la realizzazione di una salvezza completa, la resurrezione fu la vera vittoria che aprì la strada della salvezza spirituale a coloro che avrebbero seguito Gesù.
Tuttavia, anche dopo la venuta di Gesù sulla terra, il mondo ha continuato e continua tuttora a soffrire sotto il potere del male. La redenzione completa, sia spirituale che fisica, attende perciò di essere realizzata al Secondo Avvento. Attraverso il lavoro di un nuovo Messia, ancora una volta verrà offerta agli uomini la possibilità di eliminare il peccato e di stabilire il Regno di Dio sulla terra.
Un modello per gli altri
Una gran parte del pensiero cristiano si è soffermata a dibattere la spinosa questione della vera natura di Gesù. Per secoli la domanda di Cristo: “Gli uomini chi dicono che io sia?” (Mc. 8:27) è stata motivo di accese discussioni da parte sia di teologi che di laici. Gesù era veramente Dio fatto uomo? Era semplicemente un uomo? Se era Dio, come ha potuto limitare sé stesso in questo modo? E se era uomo in che cosa differiva dagli altri? Qual è la sua relazione con lo Spirito Santo?
I Principi Divini vogliono far luce su tutti questi interrogativi cercando di chiarirli. Essi piegano che Gesù si può comprendere meglio se Io vediamo in rapporto all’ideale originale di Dio per l’uomo. A livelli diversi, una persona che realizza questo ideale acquista particolare valore e significato.
Innanzitutto, in accordo a gran parte della teologia cristiana, i Principi Divini affermano che ogni persona è stata creata come figlio di Dio. Quando un individuo matura secondo l’immagine di Dio che ha dentro di sé, si può dire che realizza la sua vera personalità o, secondo l’espressione di Gesù, è “perfetto com’è perfetto il Padre Celeste” (Mt. 5:48). Diventa, cioè, una persona in cui dimora lo spirito di Dio, una manifestazione visibile del Dio invisibile. In questo senso possiamo persino affermare che diventa il corpo di Dio.
In secondo luogo, poiché tutti gli esseri umani riflettono gli aspetti universali di Dio, tutti noi abbiamo in comune una stessa natura. Ogni individuo, tuttavia, incarna anche delle caratteristiche uniche di Dio: non esistono due persone perfettamente uguali. Un uomo che realizza l’ideale di perfezione non potrà mai essere duplicato, avrà eternamente una sua unicità.
Inoltre, Gesù una volta affermò che la vita di un uomo è più preziosa dell’intero universo. Come spiegano i Principi di Creazione, ogni individuo è come un microcosmo: il suo spirito è un’incapsulazione degli elementi del mondo spirituale, e il suo corpo è un’incapsulazione degli elementi del mondo fisico. Dunque, poiché ogni persona racchiude in sé tutti gli elementi del cosmo, ha Io stesso valore dell’universo.
Una volta compreso il vero valore dell’uomo, cerchiamo ora di rispondere alla domanda che per 2000 anni ha assillato la chiesa cristiana: Gesù è Dio stesso, o è semplicemente un uomo?
I Principi Divini affermano che Gesù era il modello di un vero uomo, di una persona che ha realizzato l’ideale originale di Dio per gli uomini. Gesù fu un’espressione visibile del Dio invisibile, un uomo d’individualità unica, una persona di valore cosmico. Perciò, come possiamo immaginare il suo valore, si può difficilmente paragonare a quello degli altri uomini caduti. Gesù fu il vero uomo, il modello per gli altri uomini, l’uomo che incise il suo nome nella storia del mondo. Tutti noi, in realtà, siamo destinati a essere come lui, anche se purtroppo nessuno di noi ha ancora potuto raggiungere questo livello.
In questo senso, dunque, i Principi Divini non negano che Gesù è Dio perché, come abbiamo indicato, un vero uomo è una cosa sola con Dio. Tuttavia, pongono l’accento il fatto che Gesù era divino, proprio in quanto era pienamente umano.
L’uomo Gesù
Paolo si riferì a Gesù come l’ultimo Adamo (1 Cor. 15:45). Secondo i Principi Divini questa è una brillante intuizione che purtroppo non è mai stata presa nella giusta considerazione ed elaborata dalle successive generazioni di pensatori cristiani. Il suo significato, tuttavia, è molto chiaro. In qualità di nuovo Adamo, Gesù doveva completare la missione divina affidata al suo antenato originale. Poiché Adamo, il primo uomo, non l’aveva realizzata, un altro uomo doveva venire al suo posto per portarla a compimento.
C’è un passo nel Vangelo di Giovanni in cui Gesù afferma appunto la sua umanità, piuttosto che la sua divinità: “Io vado al Padre, perché il Padre è maggiore di me” (Gv. 14:28). Con questa dichiarazione, che il Padre è più grande di lui, Gesù ha fatto una chiara distinzione tra sé stesso e Dio. C’è anche un altro punto in cui si vede come Gesù si distingua nettamente da Dio, quando esclama: “Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non uno solo, Dio” (Lc. 18:19).
Al di là di simili affermazioni, Gesù in apparenza non era diverso dagli altri uomini, anzi fu proprio per le sue caratteristiche umane che poté essere tentato da Satana nel deserto. Secondo i primi Vangeli Gesù si ritirava spesso a pregare in luoghi solitari perché, essendo uomo, aveva bisogno di ricevere da Dio la forza per continuare il suo difficile ministero. Come qualsiasi altra persona a volte aveva fame e sonno e, più di una volta, dal racconto degli evangelisti sappiamo che egli si senti esausto e pianse. Gesù provò anche tanto scoraggiamento a causa dell’opposizione dei farisei e della mancanza di fede del suo popolo, perfino nel suo villaggio di Nazareth. II suo cuore si sentì pieno di angoscia quando le persone a lui più vicine lo tradirono, lo rifiutarono e infine Io abbandonarono al suo destino. Per capire come Gesù fosse pienamente umano basta pensare alla sua agonia nel Giardino del Getsemani o al suo grido di solitudine pronunciato dalla croce: “Mio Dio mio Dio perché mi hai abbandonato?” (Mc. 15:34)
Atanasio di Alessandria, teologo cristiano dei primi tempi, sostenne che Gesù poteva aiutarci ed essere il nostro salvatore solo se era uno come noi, sotto ogni aspetto. [Principi Divini condividono questa opinione, ma in più aggiungono che se Gesù non fosse stato soggetto, come essere umano, alle nostre stesse tentazioni, non avrebbe mai potuto liberarci dalla dominazione satanica. Se Gesù non fosse stato umano, la sua vita, i suoi insegnamenti e il suo esempio non avrebbero alcun significato per noi.
La missione divina
Gesù, tuttavia, è diverso da noi. Oltre ad essere un uomo che ha realizzato l’ideale di creazione, egli si distingue dagli altri uomini per la sua missione. Nel Vangelo di Giovanni Gesù è descritto come la vera vite e i suoi seguaci come i tralci che, solo perché parte dell’albero, potevano dare buoni frutti. Rinascendo spiritualmente attraverso Gesù, un uomo caduto può restaurarsi come suo figlio spirituale, e alla fine diventare egli stesso simile a Cristo. Se Gesù fu il primo vero uomo, gli altri dovevano raggiungere la vera umanità in relazione a lui. Gesù era il tempio di Dio, e anche tutti gli altri uomini potevano diventare templi di Dio unendosi a lui. Per la sua missione divina Gesù fu unico, ma questa missione la doveva realizzare come uomo.
Nuova vita, nuova nascita
Una delle dichiarazioni più famose di Gesù che troviamo nel Nuovo Testamento, fu quella che egli fece a Nicodemo quando, con suo grande stupore, gli disse che un uomo, per entrare nel Regno di Dio, bisogna che “nasca di nuovo” (Gv. 3:3). In ogni epoca storica, da allora in poi, il concetto di rinascita è stato uno dei canoni fondamentali della fede cristiana. Alla luce dei Principi Divini, cerchiamo ora di capire perché l’umanità ha bisogno di rinascere.
Come si è detto, se Adamo ed Eva avessero realizzato l’ideale originario di Dio, diventando veri uomini, veri coniugi e veri genitori, allora il Regno dei Cieli sulla terra si sarebbe potuto stabilire centrato sudi loro; invece, a causa della caduta, Adamo ed Eva diventarono dei falsi genitori, dando nascita a figli contaminati dal peccato e, di conseguenza, a un mondo che possiamo chiamare il Regno dell’Inferno. In questo mondo uomini e donne caduti e in conflitto non possono trovare la liberazione fino a che non sono riscattati dal peccato e non rinascono a nuova vita ricevendo nuovo amore.
Come sappiamo, non si può rinascere senza genitori. Per ereditare l’amore e la grazia di Dio gli uomini caduti hanno dunque bisogno di genitori che per loro rappresentino Dio. In questo senso Gesù venne come Vero Padre per dare nuova vita a tutta l’umanità. Egli fu chiamato “ultimo Adamo” (1 Cor. 15:45) e “Padre eterno” (Is. 9:6) perché doveva essere il vero padre al posto di Adamo.
E che dire allora del ruolo della madre? Proprio come per la nascita fisica, così anche per la nascita spirituale è necessaria la presenza non solo di un padre, ma anche di una madre. Di conseguenza, dopo la crocifissione, Dio diede a Gesù lo Spirito Santo in posizione di madre spirituale o spirito femminile affinché collaborasse col Cristo risorto. Lo Spirito Santo ispira e conforta il cuore umano e ci guida nuovamente a Dio. Con la manifestazione della sua essenza femminile, lo Spirito Santo è tradizionalmente riconosciuto come il “Consolatore”. Come dall’amore dei genitori nascono i figli, così, attraverso uno scambio di dare e avere in amore, Gesù e lo Spirito Santo danno rinascita spirituale a tutti quelli che li seguono.
Quindi possiamo considerare Gesù e lo Spirito Santo come Vero Padre e Vera Madre spirituali. Rinascere attraverso di loro significa che il nostro spirito viene rinnovato dall’amore dei Veri Genitori spirituali.
Al di là di questo, tuttavia, i Principi Divini mettono in rilievo il fatto che per ottenere una completa restaurazione è necessaria non solo una rinascita spirituale, ma anche una rinascita fisica. La divisione tra spirito e corpo, così acutamente descritta dall’apostolo Paolo (Rm. 7), deve trovare una soluzione. Questa successiva dimensione di rinascita avverrà attraverso il Secondo Avvento.
La Trinità
Un canone della fede che lungo i secoli è stato oggetto di tante discussioni e controversie nell’ambito del Cristianesimo, è quello della Trinità. Sebbene le speculazioni su quest’argomento non siano quasi per nulla al centro del messaggio di Gesù, la chiesa cristiana del IV e del V secolo, ha ritenuto questo problema una questione d’importanza vitale. Il Concilio di Nicea del 305 d.C. e quello di Calcedonia del 451 d.C. furono indetti proprio per definire in che modo Dio, Gesù e lo Spirito Santo, pur essendo un’unica persona, sono tuttavia distinti. Per spiegare questo mistero e abbattere ogni obiezione i Padri della Chiesa furono costretti a ricorrere ai complicati concetti della filosofia greca. Non bisogna dimenticare tuttavia, com’è stato attualmente riconosciuto dagli storici della chiesa, che dietro alle discussioni teologiche di quei concili si celavano interessi di natura più spesso politica che religiosa.
Adamo ed Eva avrebbero dovuto unirsi a Dio, diventando i Veri Genitori dell'umanità. Invece si unirono a Satana diventando dei genitori caduti.
Vediamo ora qual è il punto di vista dei Principi Divini sul concetto di Trinità. È un fatto generalmente riconosciuto che, se non si fosse verificata la caduta, Dio non avrebbe avuto bisogno di Gesù e dello Spirito Santo per salvare l’umanità. Se Adamo ed Eva avessero raggiunto la loro perfezione come figlio e figlia di Dio, diventando entrambi l’incarnazione del carattere divino, sarebbero stati “perfetti com’è perfetto il Padre Celeste” (Mt. 5:48) e avrebbero raggiunto l’ideale di unità di cuore con Dio (Gv. 14:20).
Come veri figlio e figlia di Dio, Adamo ed Eva sarebbero potuti diventare veri marito e moglie, centrati su Dio. Se avessero realizzato tutto ciò, diventando i Veri Genitori dell’umanità, avrebbero formato insieme a Dio la Trinità originale, cioè una Trinità che pone al centro l’amore e l’ideale di Dio.
Invece, a causa della caduta, Adamo ed Eva divennero i falsi genitori dell’umanità, formando una trinità centrata su Satana. Di conseguenza, essendo ancora determinato a realizzare il Suo scopo di creazione, Dio chiamò Gesù e lo Spirito Santo nella posizione di secondo Adamo e di seconda Eva i quali, insieme a Lui, formano una Trinità spirituale al posto di Adamo ed Eva originali.
Come abbiamo accennato, stabilendo una trinità spirituale centrata su Dio, Gesù e lo Spirito Santo hanno realizzato solo la missione di Veri Genitori spirituali. Per questo motivo è nata la necessità di un Secondo Avvento. Quindi lo scopo del Signore del Secondo Avvento è quello di stabilire una trinità sia spirituale che fisica. È proprio riflettendo questo fatto, che il libro dell’Apocalisse preannuncia un matrimonio divino alla fine dei tempi: sono le nozze dell’Agnello, le nozze del Vero Adamo e della Vera Eva, un evento che, come affermano i Principi Divini, porterà una grande speranza a tutta l’umanità.
“Tripudiamo e facciamo esultanza, e a lui diamo la gloria, poiché sono giunte le nozze dell’Agnello, e la sua sposa è pronta…” (Ap. 19:7)
Il Messia e la sua sposa vengono in posizione di Veri Genitori dell'umanità, iniziando a stabilire, passo dopo passo, il Regno dei Cieli sulla terra.
Conclusione
Pur ricevendo l’appoggio di molti studiosi, l’affermazione dei Principi Divini secondo cui l’intenzione originaria di Gesù era ben diversa dalla crocifissione, si distacca notevolmente dagli insegnamenti teologici tradizionali.
Tuttavia, non occorre guardare molto lontano per rendersi conto di quanto sia necessaria una nuova comprensione della figura di Cristo e una reinterpretazione del suo messaggio alla luce degli attuali cambiamenti politici, culturali e intellettuali. Quando, negli anni ‘60, alcuni teologi come Thomas J. Alitzer della Emory University scandalizzarono tutti annunciando che “Dio è morto”, in parte volevano dire che la vecchia teologia era diventata del tutto irrilevante per l’uomo moderno. Certo i mali spirituali della società contemporanea come il divorzio, la criminalità, la droga e altri gravi problemi del genere, difficilmente sono affrontati in modo adeguato dall’insegnamento cristiano tradizionale.
Il Cristianesimo non è neppure stato in grado di evitare Io sviluppo di pericolose “religioni” secolari quali il fascismo e il comunismo. È dunque necessario qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo affinché questo vuoto venga colmato e la religione cristiana possa contribuire positivamente alla creazione di una nuova e migliore civiltà.
Un’immagine di Cristo che ricorre frequentemente nella chiesa cattolica, è quella che rappresenta il Sacro Cuore di Gesù. Questa rappresentazione suggerisce che, a causa del suo amore per l’umanità, il cuore di Gesù sta sanguinando: sanguina per il peccato dell’uomo, sanguina per le sofferenze del mondo. Gesù era venuto a eliminare questa sofferenza e a ricondurre il mondo a Dio, ma fu tragicamente rifiutato. Il suo cuore e quello di Dio continueranno a versare sangue fino a che la ruota della storia avrà portato l’umanità alla salvezza totale, nel Regno di Dio restaurato sulla terra.
Prima di quel giorno, naturalmente, alcune persone anticiperanno la “fine del mondo”. Molte profezie sia dell’Antico che del Nuovo Testamento indicano il verificarsi di un simile evento. Si parla del “sole che si oscurerà” delle “stelle che cadranno dal cielo” e di “un nuovo cielo ed una nuova terra”. Ma che cosa vuol dire tutto questo? Ha qualche significato per noi oggi?
Da molte persone è stato anche detto che attualmente stiamo vivendo in una nuova epoca storica, un’epoca di grandi cambiamenti, di interdipendenza mondiale, di convergenze culturali; un’epoca in cui l’uomo può veramente raggiungere le stelle o autodistruggersi con le armi da lui stesso costruite; un periodo in cui potrebbero adempiersi le profezie più disastrose descritte dalla Bibbia, o realizzarsi le più luminose promesse. Che cosa accadrà?
Nel prossimo capitolo di questo Corso di Studi sui Principi Divini, intitolato “La conclusione della storia umana”, esamineremo il significato delle profezie bibliche alla luce degli scopi finali di Dio nella storia, e analizzeremo la nostra epoca moderna dal punto di vista della provvidenza di Dio.
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