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La strada verso la pacifica riunificazione della Corea

Da “La mia vita per la Pace”: ...Uscendo dal Cremlino, dopo aver incontrato Gorbachev, mi volsi a Bo Hi Pak, che mi aveva accompagnato fin lì, e gli affidai un incarico speciale: «Devo incontrare il presidente Kim Il Sung prima della fine del 1991». Gli spiegai: «Non c’è tempo. L’Unione Sovietica scomparirà nel volgere di un anno o due. Il problema adesso è la nostra nazione.

Devo a tutti i costi incontrare il presidente Kim e impedire che scoppi una guerra nella penisola coreana». Sapevo che, quando fosse crollata l’Unione Sovietica, sarebbero caduti insieme ad essa gran parte degli altri regimi comunisti in giro per il mondo. La Corea del Nord si sarebbe sentita stretta in un angolo, e non era prevedibile quale azione provocatoria avrebbe potuto attuare. L’ossessione della Corea del Nord per le armi nucleari rendeva la situazione ancor più preoccupante. Per scongiurare una guerra con la Corea del Nord ci serviva un canale per dialogare con il suo governo, ma in quella fase non ne avevamo alcuno. In una qualche maniera dovevo incontrare il presidente Kim e farmi promettere che non avrebbe sferrato il primo colpo contro la Corea del Sud.

Il presidente Kim Il Sung invitò mia moglie e me il 30 novembre 1991. A quel tempo ci trovavamo nelle Hawaii, così potemmo arrivare velocemente a Pechino. Mentre aspettavamo nella sala delle personalità dell’aeroporto internazionale Capital di Pechino, che il governo cinese aveva preparato per noi, venne a trovarci un rappresentante del governo nordcoreano che ci consegnò gli inviti ufficiali. Sui documenti era chiaramente visibile il sigillo ufficiale del governo di Pyongyang. «La Repubblica Democratica Popolare di Corea ha il piacere d’invitare il presidente Moon Sun Myung1 della Federation for World Peace, la sua signora e il suo seguito, a visitare la repubblica. La loro sicurezza è garantita durante il loro periodo di permanenza nel Nord». Era firmato: «Kim Dal Hyun, vice primo ministro, Consiglio dei Ministri della Repubblica Democratica Popolare di Corea, 30 novembre 1991».

Il nostro gruppo s’imbarcò su un volo speciale, identificato come Air Koryo 215, preparato per noi dal presidente Kim. Nessun capo di stato estero era mai salito su un volo speciale offerto dal presidente Kim, perciò quel trattamento risultò davvero eccezionale.

«Il Grande Leader Kim Il Sung la riceverà domani» mi disse. «L’incontro si svolgerà presso la residenza presidenziale di Majeon a Heungnam, perciò lei deve salire immediatamente su un volo speciale e andare a Heungnam». Lungo la strada, notai un grosso cartello che indicava la fabbrica di concimi azotati di Heungnam, dove ero stato costretto ai lavori forzati. Mi ricordai del tempo passato in prigione e provai una sensazione di disagio. Passai la notte in un albergo e il giorno seguente andai a trovare il presidente. Mentre mi dirigevo verso la residenza ufficiale, scoprii che il presidente Kim era sulla soglia, in attesa di salutarmi. Entrambi ci abbracciammo simultaneamente.

Io ero un anticomunista e lui il capo di un partito comunista, ma le ideologie e le filosofie non avevano importanza nel contesto del nostro incontro. Eravamo come fratelli che s’incontravano per la prima volta dopo una lunga separazione. Questo è ciò che può l’appartenenza allo stesso popolo e la condivisione dello stesso sangue. Per prima cosa, gli dissi: «Signor presidente, grazie alla cordiale considerazione riservatami, ho potuto incontrare la mia famiglia. Ci sono, però, dieci milioni di Coreani che appartengono a famiglie separate tra Nord e Sud, e non sanno neppure se i loro parenti dall’altra parte sono vivi o morti. Vorrei chiederle di concedere loro la possibilità d’incontrarsi».

... Lui e io parlavamo lo stesso dialetto, per cui eravamo a nostro agio uno con l’altro. Il presidente Kim rispose: «La penso anch’io così. A partire dall’anno prossimo, daremo vita un’organizzazione che permetterà ai compatrioti del Nord e del Sud d’incontrarsi». ….

Dopo aver parlato della mia visita a Jeongju, ( il mio paese natale) cominciai ad esporre le mie opinioni sugli armamenti nucleari. Rispettosamente consigliai che la Corea del Nord aderisse a un protocollo sulla denuclearizzazione della penisola coreana e firmasse un accordo di salvaguardia con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. ...Egli rispose candidamente: «Ci pensi un attimo. Chi è che dovrei sterminare producendo delle armi atomiche? Il mio stesso popolo? Sembro quel tipo di persona? Io ritengo che l’energia nucleare debba essere usata soltanto per scopi pacifici. Ho prestato grande attenzione a quello che lei ha voluto dirmi e prevedo che andrà tutto bene».

In quell’epoca, le relazioni tra Nord e Sud si trovavano in una fase critica, a causa delle polemiche sulle ispezioni nucleari in Corea del Nord, così avevo formulato la mia proposta con una certa riluttanza. Tutti i presenti furono sorpresi dalla risposta cortese del presidente Kim.

«Com’è andata la visita al suo paese?» mi chiese. «Ho provato tante emozioni. La casa dove ho vissuto era ancora lì, e mi sono messo a sedere nella sala grande, pensando al passato. Mi aspettavo di sentire da un momento all’altro la voce della mia mamma, che non c’è più, che mi chiamava. È stato molto emozionante». «Capisco» osservò. «Questo dimostra che il nostro paese dev’essere unificato immediatamente. Ho sentito dire che lei è stato un bambino piuttosto birichino. Ha potuto correre in giro, quando è stato lì questa volta?». Tutti i commensali risero alla battuta del presidente. «Avrei voluto arrampicarmi su un albero e andare a pescare - risposi - ma ho sentito dire che lei mi stava aspettando, così sono venuto subito qui. Spero che m’inviterà a venire ancora, una volta o l’altra».

Ad un certo punto, sentimmo che avevamo così tante cose da dirci e cominciammo a con versare come due vecchi amici, che si fossero incontrati dopo una lunga separazione. Le nostre risate echeggiarono nella sala da pranzo.

«Signor presidente» gli dissi, «lei è più anziano di me, così lei è come mio fratello maggiore». Mi rispose: «Presidente Moon, da ora in avanti consideriamoci come fratello maggiore e fratello minore» e mi prese saldamente la mano. Ci tenemmo per mano, ci avviammo lungo il corridoio e posammo per qualche fotografia ricordo. Poi lasciai la residenza.

Mi hanno raccontato che, dopo ch’ero andato via, il presidente Kim avrebbe detto a suo figlio Kim Jong Il: «Il presidente Moon è un grand’uomo. Ho incontrato tante persone nella mia vita, ma nessuno come lui. Pensa in grande ed ha un grande cuore. Mi sento vicino a lui. Mi sono sentito bene con lui e avrei voluto che rimanesse più a lungo. Voglio incontrarlo ancora. Dopo che sarò morto, se ci saranno questioni da discutere, per quanto riguarda le relazioni Nord-Sud, dovrai sempre chiedere consiglio al presidente Moon».

Dopo la fine della mia settimana di soggiorno e la mia partenza da Pyongyang, il primo ministro Hyung Muk Yeon guidò una delegazione nordcoreana a Seul. Il primo ministro Yeon firmò un’intesa per la denuclearizzazione della penisola coreana. Il 30 gennaio dell’anno seguente, la Corea del Nord sottoscrisse un accordo di salvaguardia nucleare con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, mantenendo così le promesse che il presidente Kim mi aveva fatto. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma questi furono i risultati che ottenni.

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