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Un nemico si trasforma in amico

Da “Madre della Pace”: Hak Ja Han Moon

Nel 1946, l’anno dopo la riconquistata indipendenza della Corea, Padre Moon fu arrestato mentre predicava in Corea del Nord. La polizia lo accusava di essere una spia per conto del Presidente Sudcoreano Syngman Rhee e lo rinchiuse alla prigione Daedong a Pyongyang. Lo torturarono crudelmente e, credendo che fosse morto, lo gettarono nella neve. I suoi seguaci lo trovarono e cominciarono i preparativi per il suo funerale. Ma lui non morì, si aggrappò tenacemente alla vita e grazie alle preghiere e alla medicina naturale, miracolosamente, si rianimò.

Un anno dopo, però, fu nuovamente arrestato e rinchiuso nel campo di sterminio di Hungnam, costretto ai lavori forzati presso la vicina fabbrica di fertilizzanti azotati. Furono due anni e otto mesi di difficoltà indescrivibili. In quell’ambiente la maggior parte dei prigionieri non sopravviveva più di sei mesi, morendo di malnutrizione, distrutti nel fisico per le fatiche sopportate.

Mentre accadeva tutto questo, anche mia madre e mia nonna venivano incarcerate dalla polizia comunista per la loro fede.

Per decenni il Governo Nordcoreano continuò a considerarci nemici di stato. Mio marito e io avevamo sviluppato in tutto il mondo le attività del programma “Vittoria sul Comunismo (VOC)” e fummo informati che Kim Il Sung, il leader supremo della Corea del Nord, voleva assassinarci.

Nel 1974 i membri della nostra congregazione dimostrarono pubblicamente, nella zona vicina al Palazzo delle Nazioni Unite, pregando e digiunando per sette giorni per parlare al mondo della sofferenza delle donne giapponesi prigioniere in Nord Corea. Nel giugno del 1975, poco dopo la caduta di Saigon, organizzammo la Manifestazione Mondiale per la Libertà della Corea, alla quale presero parte oltre un milione e duecentomila persone, riunite alla Yoido Plaza di Seul: una grande dimostrazione contro il comunismo.

Senza paura, ma anche senza rabbia, abbiamo sempre pregato incessantemente per la riconciliazione fra Corea del Nord e Corea del Sud. Non eravamo certo responsabili della divisione della nostra terra, ma ci sentivamo responsabili di sostenere la sua riunificazione pacifica. Abbiamo sempre sentito che la fine dei conflitti in Corea avrebbe portato il mondo intero alla pace.

Dunque, al ritorno dal nostro incontro con il Presidente Sovietico Gorbachev, decidemmo che avremmo incontrato il Presidente Kim Il Sung della Corea del Nord. Decidemmo anche che lo avremmo fatto entro la fine del 1991.

La decisione di andare in Corea del Nord sembrava più che altro un sogno impossibile. Il regime del Nord non concedeva l’ingresso neppure ai giornalisti provenienti da occidente, ma continuammo a pregare chiedendo il perdono e la riconciliazione. Chiedemmo a nostri volontari di trovare tutti i modi per avvicinarsi alla Corea del Nord, convinti che Dio avrebbe sicuramente indicato una strada, anche fra le barriere più insormontabili.

A metà novembre del 1991 giunse la risposta alle nostre preghiere. Eravamo negli Stati Uniti e un corriere ci consegnò un invito sigillato. In privato, lo aprimmo: era una missiva personale che ci informava che il Presidente Kim Il Sung in persona ci invitava a recarci in visita in Corea del Nord.

Senza far parola di quale sarebbe stata la nostra destinazione, preparammo i bagagli e partimmo per raggiungere il nostro centro studi nelle Hawaii. Tutti erano curiosi, sia i nostri figli che il personale a noi vicino: “Fa caldo alle Hawaii, ma voi mettete in valigia abiti invernali!”

Arrivati alle Hawaii ci chiudemmo in preghiera. Sapevamo che prima di mettere piede in Corea del Nord avremmo dovuto sciogliere qualsiasi risentimento e ricordo doloroso avessimo ancora nel cuore. Dovevamo perdonare Kim Il Sung, il cui regime aveva ferito un’intera nazione e il mondo intero, per non parlare di noi stessi e delle nostre famiglie. Ma se avessimo pensato a lui come al nemico non avremmo mai potuto perdonarlo. Solo se ci fossimo messi nella posizione di genitori nei suoi confronti, solo se avessi avuto verso di lui un cuore di madre avrei potuto perdonarlo. Una madre si batte persino per cambiare le leggi del suo paese se è l’unico modo per salvare suo figlio condannato a morte. Questo è il cuore di una mamma. È quindi con questo cuore che ho giurato di perdonare il mio nemico. In quei momenti non pregai mai affinché potessimo tornare sani e salvi dalla Corea del Nord.

In quelle ore non facemmo altro che pregare, con tanta serietà. Proprio come Giosuè aveva marciato attorno a Gerico sette volte, pregammo camminando lungo l’Isola Grande di Hawaii, offrendo tutto al Cielo. Solo quando sentimmo di aver sciolto ogni dolore che avevamo dentro il cuore, mio marito e io informammo alcuni che stavamo andando in Corea del Nord.

La reazione immediata fu: “State andando nella tana del nemico, è troppo pericoloso, è completamente diverso da Mosca. Là non c’è nessuna ambasciata della Corea del Sud o di qualche nazione occidentale, non avrete alcuna protezione. Qualunque cosa dica quella lettera, Kim Il Sung non vi farebbe mai entrare a meno di non volervi rinchiudere là per sempre.”

Naturalmente dicevano così perché erano preoccupati per noi, ma queste parole ci spingevano a indugiare, ci riportavano la paura e il dolore nel cuore. Sapevamo però che avremmo dovuto sinceramente perdonare Kim Il Sung abbracciandolo con amore incondizionato, qualunque fosse il rischio da affrontare. Ci sentimmo come Giacobbe; nell’andare verso suo fratello Esaù, che era intenzionato a ucciderlo, egli fu pronto a offrirgli tutto ciò che aveva, rischiando la sua stessa vita. Dopo aver trascorso 21 anni di enormi difficoltà, mantenendo tuttavia un cuore di affetto verso il fratello che lo odiava, Giacobbe ricevette la saggezza del cielo necessaria a conquistare il cuore di Esaù. È impossibile trasformare un nemico in amico senza dimostrargli un cuore sincero di genitore.

Qualche giorno dopo, sereni nella mente e uniti e determinati nel cuore, assieme a un gruppetto di collaboratori salimmo sul volo per Pechino. Al nostro arrivo, mentre attendevamo nella sala d’aspetto dell’aeroporto, un funzionario nordcoreano arrivò a consegnarci l’invito ufficiale. Sul documento, il sigillo ufficiale di Pyongyang. Il 30 novembre ci imbarcammo sul volo speciale JS215 della Chosŏn Minhang (l’Aviazione Civile di Corea) inviato appositamente dal Presidente Kim. In segno di cortesia nei confronti di mio marito, prima di atterrare a Pyongyang, sorvolarono Chŏngju, la città natale di mio marito.

Mentre volavamo nei cieli della Provincia di Pyong-an, dove eravamo nati, vedemmo il fiume Cheongcheon dove giocavamo da bambini. Mi sembrava quasi di poter sporgere il braccio e toccare le sue onde blu. Chissà se quel fiume aveva potuto continuare a seguire in pace il suo corso, in tutti quegli anni in cui la nostra terra era rimasta impietosamente divisa?

Il freddo dell’aspro inverno che ci accolse al nostro sbarco all’aeroporto di Pyongyang-Sunan sparì subito quando potemmo abbracciare i parenti di mio marito. Ormai erano tutti anziani, nonne e nonni. Afferrando le nostre mani, piansero. Nel mio cuore, una cascata di lacrime si stava facendo strada ma le trattenni, mordendomi le labbra e anche per mio marito fu così. Avevamo promesso di affrontare questo viaggio per il mondo e per Dio, nostro Genitore Celeste e non per noi stessi o per i nostri parenti. Ci rassicurammo a vicenda, dicendo che ci sarebbe stata un’altra occasione per ritrovarsi, pronti a fare come ci è insegnato in Ecclesiaste 11 “Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai.”

Ci alloggiarono alla Peony Guest Hall e il giorno dopo, come da nostra tradizione, ci alzammo presto a pregare. Sicuramente, se c’erano delle videocamere di sorveglianza nella nostra camera, tutte le nostre preghiere per la riunificazione della Corea sono state registrate. Sia in quel giorno che nel successivo ci accompagnarono in visita a Pyongyang.

Il terzo giorno della nostra permanenza, incontrammo un gruppo di esponenti del Governo Nordcoreano presso il Palazzo del Congresso Mansudae, sede dell’Assemblea Popolare Suprema. Quel momento è rimasto nella leggenda. Mio marito e io eravamo perfettamente consapevoli che parlare di Dio, contro l’ideologia “Juche”, ci esponeva al rischio di essere condannati a morte, ma eravamo pronti anche a questo se fosse stato il prezzo per la pace e l’unificazione. Che sia ricordato per sempre: nel cuore stesso del regime Nordcoreano, Padre Moon condannò apertamente l’idea Juche e il concetto del regno Juche, con voce forte e chiara: “L’unificazione fra la Corea del Nord e la Corea del Sud non potrà avvenire sulla base del pensiero Juche del Presidente Kim Il Sung. La Corea del Nord e la Corea del Sud potranno riunirsi pacificamente, facendo della Corea la nazione guida del mondo intero, solo attraverso l’ideologia che al centro di ogni cosa accoglie Dio e grazie al pensiero ‘head-wing’ che insegniamo nell’Unificazionismo.

Arrivò persino a confutare la loro propaganda in base alla quale la Guerra di Corea incominciò con l’invasione del Nord da parte del Sud. Padre Moon concluse il suo discorso ammonendoli: “Come potete considerarvi dei leader? Non riuscite neppure ad avere un controllo sui vostri organi sessuali!” I Nordcoreani furono completamente spiazzati.

Gli agenti di sicurezza erano già pronti a fare irruzione con le armi spianate, ad un loro minimo cenno. I membri del nostro movimento che ci accompagnavano, anche se avevano avuto un’idea di ciò che Padre Moon avrebbe potuto dire, sudavano freddo. Avevo viaggiato nel mondo intero con mio marito e avevamo incontrato leader di molte nazioni, ma da nessun’altra parte dovemmo mostrare un coraggio, una serietà e una determinazione come quel giorno a Pyongyang.

Il discorso di Padre Moon si prolungò ben oltre l’ora di pranzo e dopo mangiammo tutti a tavoli separati, in un silenzio di tomba. Molti pensavano che qualunque speranza di poter incontrare il Presidente Kim era ormai perduta. Mio marito disse che non importava, che aveva detto tutto ciò che era venuto a dire.

Il sesto giorno, il Presidente Kim mandò due elicotteri per trasportarci fino a Chŏngju, a visitare la casa dove mio marito era nato. Secondo le istruzioni del Presidente, la stradina che portava alla sua vecchia casa era stata messa a nuovo e le tombe dei suoi genitori erano state risistemate, dando loro una lapide dignitosa. Avevano persino ridipinto e ridecorato la casa dove era nato e fuori, nel cortile sterrato, avevano steso della sabbia e della ghiaia. Andammo a offrire dei fiori alla tomba dei suoi genitori. Guardai nel cielo, in direzione di Anju, dov’ero nata io, a neanche 30 chilometri di distanza. Chissà se la vecchia casa che mi aveva accolta così confortevolmente c’è ancora? E il mais, nel nostro campo sul retro, cresce ancora oggi? Dove sarà la tomba del nonno? Avevo tante, tante domande, ma le tenni tutte dentro. Eravamo giunti fino a lì per incontrare il Presidente Kim Il Sung su mandato del nostro Genitore Celeste, per dare un futuro alla nostra patria. Eravamo lì per il bene della nazione e del mondo intero, non potevo certo soffermarmi sui miei sentimenti personali in un momento storico così importante. Io stessa ero lì affinché un giorno tutti i Coreani e i popoli del mondo intero potessero liberamente tornare alla loro terra natale.

Il settimo giorno incontrammo il Presidente Kim. Quando varcammo la soglia della sua residenza ufficiale, un palazzo di marmo bianco a Majeon, nella Provincia di Hamgyongnam, ci stava già aspettando. Senza più seguire alcun protocollo, mio marito corse incontro al Presidente Kim salutandolo come se fossero stati vecchi amici e lui ricambiò il saluto, abbracciandolo. Tutti noi tirammo un sospiro profondo quando li vedemmo abbracciarsi con gioia. Quando il Presidente Kim vide che indossavo un abito coreano tradizionale, mi accolse con grande cortesia.

Subito fummo invitati a pranzo e, mangiando, iniziammo a conversare del più e del meno, parlando per esempio di caccia e pesca. Poi, gradualmente, Padre Moon e io cominciammo a raccontare di quello che stavamo facendo, parlando anche del Festival Mondiale della Cultura e dello Sport in programma l’anno dopo, in agosto. Sentendo che in quell’occasione 30.000 coppie avrebbero partecipato alla Cerimonia di Benedizione in Matrimonio, il Presidente Kim si offrì di ospitarle a Myeongsasimni Beach, nel distretto di Wonsan, dove fioriscono splendide distese di rose canine e si estendono spiagge bellissime. Promise anche di aprire il porto di Wonsan per accogliere tutte le coppie. Tutto d’un tratto avevamo così tante cose di cui parlare. Un’energia speciale si sprigionò nel nostro dialogo e andammo avanti ben oltre i tempi previsti. Mio marito si era preparato per anni e anni a incontrare il suo nemico e quando finalmente lo vide lo abbracciò con un amore fraterno profondo e intenso. Il Presidente Kim fu molto toccato dalla nostra sincerità e in quel nostro incontro accettò con calore tutte le nostre proposte.

A quei tempi chi visitava la Corea del Nord dalle nazioni del mondo libero lo faceva a rischio della vita. I comunisti odiano la religione e mio marito e io eravamo i fondatori di una congregazione religiosa. Eravamo inoltre alla guida di un movimento globale anticomunista. Non ci recammo in Corea del Nord per stringere rapporti d’affari. Non andammo là facendo finta di interessarci al benessere della Corea del Nord e pensando invece ai benefici che avremmo potuto ottenere per noi stessi. Questo è l’atteggiamento tipico dei politici, ma noi non fummo neanche sfiorati dall’idea. Noi andammo là per fare la volontà della provvidenza, con sincerità. Andammo là con il cuore di Dio, per illuminare e abbracciare i leader comunisti e aprire una strada per una vera e pacifica riunificazione. Entrammo in quella terra confidando solamente in Dio e portando al suo leader supremo un semplice consiglio: accogliere il decreto del Cielo.

Durante la nostra visita in Corea del Nord, anche se ci trattarono con tutti gli onori riservati agli ospiti di stato, non riuscimmo mai a riposare confortevolmente pensando alle migliaia e migliaia di famiglie divise a causa della separazione della Corea. Tutte le notti stavamo svegli in preghiera, cercando con tutto il cuore di portare la fortuna del cielo in quella terra. Trascorremmo quelle notti di veglia in segno di umile sottomissione a Dio, allo scopo di portare la Penisola Coreana a una riunificazione pacifica. I negoziati politici e gli accordi commerciali possono avere successo solo sulla base del vero amore di Dio. È sulla base di questa visione che i nostri colloqui con il Presidente Kim aprirono una nuova fase nel processo verso la riunificazione della Corea.

Ripensando a quegli anni, mi rendo conto che fu proprio nel momento in cui il comunismo aveva raggiunto il suo massimo sviluppo che mio marito e io andammo prima a Mosca e poi a Pyongyang, a rischio della vita. Andammo con un cuore pieno di gioia, rappresentando un mondo libero, abbracciando i nemici che ci avevano perseguitato pesantemente. È per questo che loro furono commossi e potemmo riconciliarci e ponemmo le basi per l’unificazione e la pace. Non andammo in Corea del Nord per ottenere qualcosa, ma per dare vero amore sincero. Per Dio mio marito e io fummo pronti a perdonare ciò che non può essere perdonato e ad amare chi non può essere amato.

Poco tempo dopo il Primo Ministro della Corea del Nord, Yon Hyong-muk, fu alla guida di una delegazione governativa inviata a Seul per la firma di una “Dichiarazione Congiunta sulla Denuclearizzazione della Penisola Coreana” assieme ai rappresentanti del Governo Sudcoreano. Nel corso dei mesi successivi il nostro movimento costruì a Pyongyang uno stabilimento industriale automobilistico, la “Pyeonghwa Motors”, il “Botong River Hotel” e il “Centro per la Pace Mondiale” come base per la futura riunificazione. In seguito, i semi che gettammo nel corso della nostra visita diedero i loro frutti, aprendo la strada alla visita in Corea del Nord da parte del Presidente Sudcoreano per dialogare sulla strada da intraprendere per l’unificazione.

I germogli della pace e dell’unità stanno crescendo e quando giungeranno alla piena fioritura, tutte le preghiere che mio marito e io abbiamo offerto per l’unificazione della Corea saranno ricordate per l’eternità.

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